La Corte Madre, ovvero
la Corte Distrettuale Federale del distretto sud di New York, è il tribunale americano
più importante insieme ala Corte Suprema: questo viene detto ai giovani
avvocati che, per l’accusa e per la difesa, si prestano a fare giuramento in For the People, la serie della ABC ideata
da Paul William Davies e prodotta da Shondaland (Grey’s Anatomy, Scandal, Le Regole del Delitto Perfetto) - e il
marchio di fabbrica si vede.
Fra i difensori pubblici
ci sono l’idealista Sandra (Britt Robertson, Life Unexpected, The Secret Circle,
Girlboss); la sua migliore amica
Allison (Jasmin Savoy Brown, The
Leftovers); e Jay (Wesam Keesh), che viene da una famiglia di immigrati e
aiuta occasionalmente i suoi nella tintoria di famiglia. Come pubblici
ministeri, i loro avversari sono Kate (Susannah Flood), che ricorda una
versione non umoristica di Paris Gellar in Gilmore
Girls, iper-organizzata che dichiara di non aver dormito più di quattro ore
per notte dalle elementari e di aver sempre pensato che in paragone a lei i
suoi insegnanti fossero dei pigri; Seth (Ben Rappaport) che ha una storia d’amore
con Allison; e Leonard (Regé-Jean Page),
figlio di una senatrice.
Tutti loro sono
ambiziosi e determinati, fortemente focalizzati sulla carriera in un mondo dove
non c‘è posto per i perdenti – la serie stessa trasmette quel genere di ansia.
Cercano di essere degni del prestigioso impiego che ricoprono, e sentono fortemente
la pressione nello svolgerlo, desiderosi anche di provarsi agli occhi dei loro
capi e mentori, che non lesinano loro lezioni di vita: Jill Carlan (Hope Davis,
Wayward Pines), per i difensori d’ufficio,
che ha la passione per le metafore sul baseball; Roger Gunn (Ben Shenkman),
dell’ufficio del procuratore, che non è un fan dell’umiltà nei suoi sottoposti
e nella vita privata è amico di Jill; e Tina Krissman (Anna Devere Smith), rigorosa
cancelliera. L’aspirazione per questi giovani è anche quella di fare la
differenza e mettere la propria impronta sul mondo. E alle vite personali di
mescolano brandelli di vite personali.
Dei casi, risolti nell’arco
della singola puntata, autoconclusiva con rispetto ad essi, vengono enucleati gli
elementi essenziali, e con velocità. Affrontano questioni spinose (terrorismo,
traffico di esseri umani…) e lo fanno anche con delle soluzioni eleganti (penso
alla difesa di un giovane nazista in 1.02). Si è lineari, puliti, essenziali,
anche negli scambi umani. Con la sola eccezione forse di Jay, un po’ più caratterizzato,
i personaggi in partenza sono sagome. Si è emozionalmente piatti, nella foga di
raggiungere le tappe con cui le storie vengono snocciolate. Non si sfigura, ma
non c’è nemmeno grande impatto. In grande misura, nulla di nuovo sotto il sole.
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