venerdì 13 aprile 2018

STAR TREK - DISCOVERY: la prima stagione



Premetto che ho un passato da Trekkie, anche se per me Star Trek è sempre stato la serie classica, non le altre incarnazioni: se la prima è stata quasi una religione, con le altre ho una familiarità solo superficiale. Star Trek: Discovery è stata in questa prospettiva un esperimento interessante. Credo che sia riuscito ad allargare la percezione dello spettatore di quello che questo mondo è e dovrebbe essere, in fondo in qualche caso (ma non in conclusione di stagione) anche tradendo lo spirito ultimo, ottimista e pacifico, che lo anima. Se con la “parodia” di The Orville, che ho stroncato ma poi in cuor mio rivalutato perché coglie in pieno la filosofia autentica della serie originaria, ho avuto una iniziale resistenza, qui ho avuto al contrario una reazione immediatamente positiva, pur sentendo che non si era pienamente in sintonia anche quando aderiva comunque al canone: ma va bene così. Ciascuno ha una propria idea di quello che Star Trek dovrebbe essere, ma sta bene essere trascinati fuori dalla propria “zona di conforto”. 

Ideata da Bryan Fuller (che ha lasciato presto, anche a causa dei suoi impegni con American Gods) e Alex Kurtzman per CBS All Access e disponibile sul mercato internazionale su Netflix, l’ultima nata del franchise è ambientata circa 10 anni prima della serie originaria e nel corso della prima stagione si esamina la guerra fra la Federazione e i Klingon, seguendo l’equipaggio della USS Discovery.   

Michael Burnham (Sonequa Martin-Green, The Walkind Dead, in un ruolo che incarna alla perfezione), la protagonista principale – Fuller ha il vezzo di chiamare con nomi maschili i suoi personaggi femminili, scelta che non posso dire mi faccia impazzire -,  è un ex-primo ufficiale della USS Shenzhou che, ammutinata contro il suo capitano, viene arruolata dal capitano Gabriel Lorca  (Jason Isaacs, Harry Potter) sulla sua nave. È una umana che, in seguito alla perdita dei genitori, è stata cresciuta secondo la cultura vulcaniana dal padre adottivo Sarek (James Frain, Orphan Black), cosa che la rende sorella adottiva di Spock. Si sente responsabile dello scoppio della guerra e si adopera perché vi abbia fine. I Kilingoniani, ispirati dal leader T’Kuvma, in un progetto in seguito portato avanti da Voq e L’Rell (Mary Chiefo), vogliono riunire il loro impero e sconfiggere la Federazione.  

Sulla Discovery lavora come primo ufficiale il primo kelpiano della flotta, Saru (Doug Jones) che ha sul retro della nuca dei gangli che si eccitano in caso di pericolo, caratteristica essenziale per lui che appartiene a una specie di predati: ammetto che è il mio preferito. Paul Stamets (Anthony Rapp) è l’ufficiale scientifico, esperto di astromicologia, che porta a scoprire un nuovo modo di navigazione che utilizza particele di micelio; è il primo personaggio apertamente gay nella storia di Star Trek e ha una storia con l’ufficiale medico Hugh  (Wilson Cruz). A diventare presto amica di Michael è Sylva Tilly (Mary Wiseman), una cadetta all’ultimo anno dell’accademia, mentre suo interesse sentimentale diventa il tenente Ash Tyler (Shazad Latif).

Con showrunner Grechen J Berg e Aaron Harberts, la narrazione, più dark di quanto siamo abituati e fortemente serializzata in un primo arco compatto, è molto ricca di azione e di colpi di sena, ben strutturati e calibrati, e da lasciare veramente con il fiato sospeso. Poi, in sintonia con la serialità più recente, si è poco sentimentali nei confronti della sorte dei protagonisti. Se serve meglio la narrazione la loro morte, non la si esclude. Il cast è forte. Di principio si sostengono gli ideali di diversità e giustizia e si mette in guardia contro l’arroganza culturale mostrando il rischio di fraintendimenti e la difficoltà a conoscersi e integrarsi, con una funzione di commento velato alla realtà contemporanea anche, e una riflessione sulle politiche di identità. Lungo la via ci si perde in più di un’occasione: vedere l’equipaggio assentire con soddisfazione per il fatto che si sono dimostrati bravi guerrieri in considerazione del fatto che sono in realtà scienziati fa alzare più di qualche sopracciglio: nella gioia di aver vinto, questo sarebbe contemporaneamente qualcosa di cui rammaricarsi; l’abbondante tempo trascorso in uno strip club / bordello nell’ultima puntata, le troppe scene con i klingon… Si chiude con un sottofinale un po’ troppo retorico e smaccato, che comunque ci sta, e una ultimissima scena è emozionante e toccante, con un homage che commuove. Nel complesso una serie che, almeno nella sua prima stagione, non è imperdibile, ma è godibile.   

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