La seconda stagione di American Crime Story, dedicata a The assassination of Gianni Versace, l’assassinio di Gianni Versace (Édgar Ramírez), della rete FX, si poggia su quattro elementi fondamentali: l’esaminazione degli elementi che
fanno di un giovane ragazzo un criminale, l’omofobia, il senso estetico e la
mobilità temporale.
La storia è nota: un
giovane ragazzo di origine filippina, Andrew Cunanan (Darren Criss, Glee), si presenta in Florida davanti
alla casa del noto stilista italiano Gianni Versace, da cui era ossessionato, e
gli spara uccidendolo. Non era il primo assassinato di questo killer che in
chiusura, prima che lo prendano, decide di togliersi la vita. Fra le sue
vittime si incontrano altre sfortunate persone che hanno incrociato la sua
strada, o come amici o come amanti più o meno occasionali. La serie indaga la
vita e le motivazioni di Andrew, e ci fa scendere nella sua follia, non
scusandolo per questo, ma elicitando una cum-patio che lo rende comunque umano.
Il padre, Modesto “Pete”
(Jon Jon Briones), un imbroglione tormentato dall’idea fissa del successo, lo
trattava con smaccato favore rispetto ai fratelli (quando comprano casa nuova
al figlioletto spetta la camera matrimoniale), alla stregua un principino a cui
tutto è concesso, ma abusava sessualmente di lui. Gli viene inculcato fin da
piccolo che lui è speciale, e si merita tutto ciò che desidera. Crescendo però
il ragazzo riesce a crearsi delle opportunità solo mentendo e assumendo ogni
volta un’identità inventata diversa. Sa come deve apparire per essere al centro
dell’attenzione, ma non riesce mai a essere se stesso. E non riesce a farsi
amare. Come non percepire la sua tragica tristezza quando si stende vicino al
cadavere di un giovane architetto che diceva di amare, David Madson (Cody Fern),
ma che lo respingeva, e lo abbraccia dopo avergli sparato alle spalle? Criss è
eccellente nella parte, a momenti narciso potente ed esaltato dalle stesse
illusioni che crea, a momenti ragazzino deluso e fragile di fronte all’aridità
della propria realtà.
Intrecciato a tutta la
narrazione c’è il grande tema dell’omofobia, pervasiva nelle vite di tutti i
personaggi, che sia il giovane Gianni Versace che i compagni di scuola prendono
in giro e le insegnanti qualificano come “pervertito” perché disegna abiti femminili
e che deve imparare il mestiere dalla madre di nascosto; che sia il giovane
militare Jeff Trail (Finn Wittrock), che in caserma vive sotto l’opprimente
regola del “don’t ask, don’t tell” (2.05); che sia l’uomo d’affari che di
nascosto dalla moglie cerca piacere con altri uomini; che sia il compagno di
una vita di Versace, Antonio D’Amico (Ricky Martin), il cui dolore al momento
del funerale non viene nemmeno riconosciuto, come se non esistente, e a cui il
prete ritrae la mano sdegnato, non permettendogli di baciargliela, come ha
consentito a tutto il resto della famiglia – a lui non spetta nulla; che sia
infine Andrew stesso. Non sono passati
così tanti anni, ma era un mondo diverso, fatto di omertà e vergogna, spesso
interiorizzata.
Della cultura omosessuale
e non solo, Versace era un’icona, con una visione e un’estetica dirompente e
precisa, fatta di sensazioni e percezioni, ma anche di amore e passione, e
legame per la famiglia e la sorella Donatella (Penélope Cruz) in particolare. È
stato un uomo con un talento vivo che ha portato in vita un sogno, da vero
artista, e una persona che pur provenendo da un ambiente povero, ha saputo
creare un impero. La serie, stilisticamente e cromaticamente, soprattutto in
alcuni passaggi, abbraccia questa estetica.
La narrazione non segue
un percorso cronologico. Si parte da quel luglio 1997 per rimbalzare indietro
nel tempo, dedicando una puntata all’omicidio di Lee Miglin (2.03), nel maggio
precedente, e all’ex-ufficiale di marina
Jeff Trail (2.04) ancora prima e poi aventi
e poi ancora indietro in percorso da pallina di flipper che non è mai stato
lineare. Non crea confusione, ma necessariamente richiede una visione attenta e
d’insieme.
La serie, basata sul
libro di Maureen Orth intitolato “Vulgar Favors: Andrew Cunanan, Gianni
Versace, e the Largest Failed Manhunt in US History”, è stata criticata dalla
famiglia Versace che ne ha preso le distanze dichiarandola non autorizzata e da
considerarsi un’opera di fantasia. Di rimando Ryan Murphy, produttore esecutivo
e regista del pilot, pur ammettendo che ovviamente non si tratta di una serie
documentaristica, respinge l’idea di considerarla pura finzione narrativa
perché basata appunto su fonti saggistiche.
La serie, scritta da Tom
Rob Smith, riesce a mescolare e far conflagrare in una visione appagante grandeur
e glamour con squallore e disperazione.
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