Delude Altered Carbon (Netflix), ideata da
Laeta Kalogridis e tratta dall’omonimo libro di Richard K. Morgan. La parte fantascientifica
del futuro immaginato è inventiva e intrigante, e di fatto la vera ragione per
eventualmente immergersi in questa fantasia, la parte investigativa è trita e
per quanto costruita in modo non casuale, sufficientemente banale, con dialoghi
da telefilm formulaico.
Siamo nel 2324, non è
chiaro su quale pianeta. La morte come la conosciamo è stata sconfitta. I corpi
sono ora mere custodie, mentre l’anima, la coscienza e l’identità di una persona
sono conservate in una pila corticale posizionata sul retro del collo che,
distrutto il corpo fisico, possono essere trasferite in un’altra custodia, a
meno di non essere distrutte essere stesse. Solo in quel caso ci sarà la vera
morte, che secondo un gruppo di religiosi è quello da cui non dobbiamo fuggire.
Solo gli straricchi possono permettersi un back-up su cloud per cui, se perfino
anche la pila viene distrutta, riescono comunque a salvarsi. Uno di questi
potenti quasi-immortali, Laurens Bancroft (James Purefoy), è stato ucciso e
quando la sua identità è stata recuperata da cloud, non riesce a capire chi
possa averlo ucciso, dal momento che dal salvataggio della memoria mancavano
gli ultimi due giorni. Re-incarna perciò in un nuovo corpo uno “Spedi”, Takeshi
Kovacs (Joel Kinnaman), un soldato appositamente addestrato, nella custodia che
in precedenza era stata di Elias Ryker, un poliziotto, per scoprire la verità di
quanto è accaduto. Takeshi era stato messo in stasi carceraria negli ultimi 250
anni per aver combattuto contro il Protettorato e ora si ritrova a collaborare (o
a scontrarsi) con la polizia di Bay City,e in particolare con la Kristin
Hortega (Martha Higareda), che era stata l’amante di Ryker.
Il futuro distopico
immaginato è davvero affascinante, anche perché pensato nel dettaglio. Non solo
le persone si trasferiscono da un corpo all’altro, un clone o anche un corpo
sintetico, ma possono essere infilate in un corpo di sesso o età diversa
magari, per le ragioni più varie. Esistono esseri totalmente virtuali, come in
questo caso Poe (Chris Conner), dell’albergo “Il Corvo”. Un po’ Blade Runner, un po’ Westworld, la società immaginata
permette di riflettere su diversi temi (identità, corruzione, potere, costrutti
mentali, famiglia, amore, lealtà…), ma primo fra tutti evidentemente su quello
della morte e sul suo valore. Qui la vita eterna è solo per pochi ricchi e
questo dà enorme potere su chi non può permettersela.
La sostanza però manca
di spessore, si è troppo adolescenzial-sbruffoncelli e spacconi. I proiettili
volano come coriandoli. C’è ampia violenza “caramella”, con molti combattimenti-coreografia
e parecchia tortura, e la perenne promessa di sesso estremo che soddisfi ogni
fantasia a cui di fatto si ammicca solamente. Non di affronta facilmente –
molto ragionevolmente – il tema dello snuff
sex, e qui è stato fatto, cosa in sé anche sensata, viste le premesse, e
coraggiosa. Peccato che tutto rimanga molto epidermico.
Il presunto omicidio da
risolvere (che giunge a una adeguata conclusione) poteva essere in fondo un
pretesto per altro. Si è cercato, infatti di liberarsi da quella gabbia, ma
senza successo e si è rimasti un crime
ordinario con un rivestimento e una patina noir
sci-fi e cyberpunk, nulla di più.
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