venerdì 14 febbraio 2020

MODERN LOVE: una serie asciutta e delicata

Ha il sapore di una raccolta di racconti Modern Love, la serie antologica che ha debuttato su Amazon lo scorso ottobre basata su una rubrica settimanale del New York Times (qui) diventata anche un podcast. A dispetto della bella sigla di apertura che zigzaga su romantici momenti di varie coppie, qui il senso dell’Amore Moderno suggerito dal titolo non è esclusivamente, anche se lo è prevalentemente, di tipo sentimental-relazionale.

Maggie (Cristin Milioti, A to Z), una critica newyorkese, frequenta molti uomini, ma a giudicare se sono adatti a no a lei c’è il portiere del complesso dove vive, Guzmin (Laurentiu Possa) – 1.01; una giornalista (Catherine Keener, Forever), raccontando la propria storia al suo intervistato, Joshua (Dev Patel, The Newsroom), gli fa rendere conto di non farsi sfuggire la donna che ama sul serio – 1.02; Lexi (Anne Hathaway, Il Diavolo veste Prada, Interstellar) sabota involontariamente ogni relazione e ogni posto di lavoro che ha, a causa del disturbo bipolare di cui soffre – 1.03; Sarah (Tina Fey, 30 Rock) e Dennis (John Slattery, Mad Men) sono una coppia con il matrimonio in crisi che cerca di ritrovare la connessione persa – 1.04 – in una puntata scritta e diretta da Sharon Horgan (Catastrophe); al loro primo appuntamento, Yasmine (Sofia Boutella) e Rob (John Gallagher Jr, The Newsroom) finiscono all’ospedale – 1.05; Maddy (Julia Garner, Maniac) vede nel suo capo al lavoro, Peter (Shea Whigham, Homecoming),  una figura paterna – 1.06 (qui la regia è di Emmy Rossum di Shameless); una coppia gay, Tobin (Andrew Scott) e Andy (Brandon Kyle Goodman),  intende adottare il bebè di una senzatetto incinta – 1.07 (questa storia era tratta da uno scritto di Dan Savage); Margot (Jane Alexander, Tell Me You Love Me) e Kenji (James Saito) sono coppia di anziani che si innamorano facendo jogging – 1.08.

L’ultima puntata ha una coda in cui tutti i personaggi delle puntate vengono ripresi, cosa che in sé mi ha fatto molto piacere, ma è apparsa un po’ posticcia, appiccicata. Più senso avrebbe avuto se nelle varie puntate ci fossero state comparse degli altri protagonisti, magari fugaci e tangenziali nel mostrare comunque un mondo variegato e interconnesso, ma così non è stato per cui mostrarlo così solo alla fine non è stata una scelta retorica troppo felice. Ma è la sola vera critica negativa che mi sento di rivolgere.

C’è molta delicatezza in queste storie per la gran parte scritte e dirette da John Carney, e molto realismo nel mostrare l’amore nella sua ineffabilità, e nelle sue difficoltà anche. Non sono commedie romantiche di facili sentimenti, e nemmeno si mostra un amore fatto di magici trasporti e perfezioni estatiche che, se ci sono, sono piuttosto attimi fuggevoli, ma è un’esplorazione onesta di un sentimento che porta anche delusione e amarezza, insicurezza e rimpianti. È spesso commovente, ma non sciropposo, né costruito a tavolino fuori dal nulla. Dal momento che si tratta di vignette autoconclusive, si gioca bene con il tempo, che passa veloce. La narrazione è asciutta. Elegante. 

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