domenica 14 giugno 2020

WORK IN PROGRESS: 180 mandorle di vita

Work in progress è trasmessa dall'americana Showtime. Siamo a Chicago. Abby (Abby McEnany) è una 45enne “queer, mascolina e grassa “ – così si auto-identifica – che a questo punto della sua vita è talmente infelice da essere suicidaria. Una collega sul posto di lavoro le sbandiera delle mandorle, suggerendogliele come modo per dimagrire, sapendo che lei, senza successo, sta cercando di perdere peso. Quasi per ripicca se le compra con l’idea che rappresentino i giorni della sua vita. Ha deciso di concedersene 180, una al dì, e se per quando saranno terminate non sarà cambiato qualcosa, la farà finita. Il titolo delle puntate corrisponde al numero o ai numeri delle mandorle a cui è arrivata. 

Un giorno Abby esce a pranzo con la sorella maggiore Alison (Karin Anglin) e rimane molto colpita dal un ragazzo trans, 23 anni più giovane di lei, Chris (Theo Germaine), uno  spirito libero molto sicuro di sé. Anche lui è intrigato da lei, e cominciano una relazione. Abby ha come figura di riferimento e di supporto l’amica di lunga data Campbell (Celeste Pechous). Nel cast c’è anche Julia Sweeney che interpreta se stessa. Abby più volte nella vita è stata paragonata a un suo personaggio androgino del Saturday Night Live, Pat, fonte di molto dolore per lei, e non ce l’ha in simpatia, finché non la conosce di persona.

Fulcro portante delle serie è l’accettazione di sé: Abby non si piace, soffre di ansia, attacchi di panico e di disturbo ossessivo compulsivo, sembra non riuscire mai a trovare un luogo dove è accettata completamente per quello che è e si aspetta sempre che, nel rivelarsi autenticamente, sia destinata ad allontanare le persone.

Ha un aspetto decisamente butch, e il fatto di essere gender nonconforming, quindi di non conformarsi allo stereotipo del genere sensuale di appartenenza, la mette costantemente in situazioni emotivamente devastanti. Non è mai tanto chiaro come quando non riesce a trovare un bagno pubblico (1.04) in cui possa andare a fare i propri bisogni senza vedere che le donne la scambiano per un uomo e chiamano la sicurezza. Accade perfino nei locali per lesbiche. Semplicemente il mondo non è fatto per lei, e questa estraneità è un affronto continuo alla sua identità. E il suo essere altro è talvolta anche percepito come una minaccia. 
  
Tiene costantemente un diario – ne ha uno sgabuzzino pieno – in cui scrive di quello che le capita nella vita. Mostrarlo agli altri, confessarsi, è un passo enorme, che in passato le è costato caro. La serie, con periodici flashback, ci riporta a quando lei era più giovane per mostrarci la reiterazione di certe esperienze nella sua vita, per farci capire perché ora è quella che è. Sono proprio le paure che poi la minano ulteriormente: il terrore di rivelare a Chris un incidente involontario che teme lo allontani è quello che alla fine lo allontana (1.07). Profezie che si autoavverano.

Le sue ferite aperte sono quello che la serie ci mostra. Mi arrabbio ogni volta che la vedo sullo schermo gettare le mandorle nella spazzatura – considero immorale buttare via cibo perfettamente edibile per nessuna valida ragione.  Soprassedendo su questo aspetto, è narrativamente potente, anche perché minimo e strisciate, vedere che, rapidamente, getta via quei semi, che sono giorni, momenti di vita che se ne vanno, anche quando la presenza nella sua vita di Chris dovrebbe averla resa più gioiosa – e lo ha fatto. Sono il ricordo costante, anche quando sembra normale, che nella testa ha il costante pensiero di farla finita.

Una relazione nuova per Abby, che in passato non ha mai frequentato uomini trans, è una scoperta. C’è qualcosa di dolce e puro nel loro rapporto. L’ho guardato anche con un certo stupore, per il coraggio di una coppia che apparentemente non ha molto in comune, e che ha numerosi ostacoli, anche legati all’età. Eppure funziona. Eppure è un avvicinamento naturale, di scoperta e di apprezzamento reciproco.

Grazie anche al personaggio della Sweeney, si riflette molto sulle implicazioni della rappresentazione, sul diritto a parlare in prima persona della propria storia e su come possa essere una questione di equità sociale. Non ci sono molti personaggi come Abby sul piccolo schermo, e nel guardarla mi accorgo di quanto ce ne sia bisogno. Anche solo vederla. Mette a fuoco il mondo in modo più vero, più umano, più onesto. In chiusura (1.10) c’è uno scontro proprio rispetto a questo tema. Julia ha invitato Abby a uno spettacolo teatrale in cui di nuovo veste in panni di Pat (un personaggio che sul serio la Sweeney ha interpretato), ed è entusiasta di mostrarle che non lo fa con derisione, ma auto-consapevole di sé e dei propri punti deboli. Abby lo considera illusorio e rovinoso, e le rinfaccia di non aver capito nulla e di non averla interpellata. Se è inevitabile che chiunque abbia una propria prospettiva sulla vita degli altri, non bisogna prescindere dalla prospettiva primaria di chi quella vita la vive in prima persona: è una voce necessaria, da ascoltare.

Ideata dalla McEnany, da Tim Mason e scritta da entrambi e da  Lilly Wachowski, si tratta di una serie comica, e ci sono momenti in cui si ride di gusto, a partire dai primi minuti, in cui vediamo la protagonista dalla propria psicoterapeuta, fino alla finale (1.10) quando la protagonista prende in considerazione vari modi per farla finita. Un personaggio minore, King (Armand Fields), le ricorda che “everybody is fucked up – tutti sono un casino” (1.07) Si dice che l’umorismo migliore venga dai momenti di dolore, e qui viene proprio da lì. Anche per questo ha un sapore feroce, a volte; nella crudezza dei punti dolenti forse la risata è il solo balsamo, la sola occasione catartica.

La stagione termina con Abby emotivamente al peggio possibile su più fronti – perfino in modo esageratamente forzato in quella direzione, mi è parso – ma per chiudersi in modo sensato e commovente. ATTENZIONE SPOILER. Non ha più mandorle. Chris la lascia, ma non per il litigio avuto, ma perché non si sente di affrontare la responsabilità di essere la sola ragione che la tiene in vita. E le consegna in una busta quello che a sua insaputa le aveva rubato il primo giorno in cui si erano incontrati: una mandorla. Inaspettato (almeno per me) e magnifico.

È stata confermata una seconda stagione di 10 episodi.  

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