È un
giallo a tinte gotiche con un ritmo molto rilassato e venato di sottile
umorismo la produzione irlandese-canadese (Acorn TV, CityTV) Dead Still, che ha come protagonista un
fotografo di Dublino del 1880 specializzato nella ritrattistica dei defunti – è
risaputo che all’epoca era consuetudine fotografare i morti per avere un ultimo
ricordo del caro estinto. Se in inglese “dead still” può significare “immobile
come un morto”, qui ha proprio il senso di “fotogramma del defunto”.
Brock Biennerhasset
(Michael Smiley, Luther), azzoppato accidentalmente
dal fidato cocchiere Cecil (Jimmy Smnallhorne) che gli fa cadere l’attrezzatura
su un piede, è il fotografo commemorativo di cui sopra, ex-becchino, molto
preciso e un po’ burbero. Un giovane scavafosse con la passione per il disegno
a matita, Conall Malloy (Kerr Logan), lo considera un vero pioniere della sua
professione e riesce a farsi assumente come assistente. Ad affiancarlo c’è
anche Nancy (Eileen O’Higgins), aspirante attrice, la giovane nipote figlia
della sorella. In città, mascherati da apparenti suicidi, cominciano a
verificarsi una serie di omicidi, che vengono poi immortalati su pellicola.
L’investigatore della polizia locale, Regan (Aidan O’Hare), vorrebbe coinvolgere Brock
nell’investigazione, ma lui è riluttante, sebbene finisca per essere molto più coinvolto negli eventi di
quanto non sembrerebbe di primo acchito.
Le sei puntate della
prima stagione scivolano via con
leggerezza, con una trama verticale di usuali storie di case apparentemente infestate
da fantasmi, sedute spiritiche, rapimenti e qualche foto hard, e l’effettivo
lavoro di far sembrare vitali corpi ormai in rigor mortis, e la trama
orizzontale degli omicidi che coinvolgono i protagonisti in un crescendo. Ci si
avvale del repertorio classico di questo genere di narrazioni: figure in parte
in ombra, immagini evanescenti, personaggi ultraseri, figure che puntano il
dito verso il nulla, arcani segreti… ma si è troppo ironici per essere
veramente macabri, o per non dimostrare consapevolezza che si gioca con cliché
abusati. Lo humor sfocia in momenti di più schietta comedy.
La scrittura di John Morton,
co-ideatore insieme a Imogen Murphy che è regista di 4 delle 6 puntate, riflette sul senso della morte e sul valore
dello scatto fotografico, e anche di questi tipo specifico di arte post-mortem,
nel suo più esplicito valore mnemonico, ma pensata per dare conforto, per
mostrare l’umanità di chi ormai è scomparso, con il senso quasi di una
vocazione. “Non interrogo la tragedia” dichiara il protagonista (1.05), che
cerca solo di preservare l’essenza della persone per sempre. Le fotografie sono
i nostri veri fantasmi e catturano l’anima. Ci si sofferma anche sul
parallelismo fra questo genere e la fotografia delle scene del crimine, e sull’etica
della professione.
La puntata finale chiude l’arco senza sbavature, ma in forma di un biglietto, apre a un mistero per una seconda stagione.
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