sabato 17 aprile 2021

BELGRAVIA: dall'autore di Downton Abbey

Se si ha nostalgia per le atmosfere di Downton Abbey, non si sbaglia a immergersi nelle sei puntate di Belgravia (ITV), dall’autore di entrambe Julian Fellows che ha basato questa sua ultima creazione su un suo romanzo dallo stesso titolo. La regia è di John Alexander (Sense and Sensibility). Ambientazione vintage, trame che sanno di soap opera, colpi di scena inaspettati e risoluzioni utili all’atteso lieto fine. Tutto sullo sfondo della Londra posh del quartiere che dà il nome alla miniserie. 

Gli eventi principali sono preceduti da un antefatto di 25 anni prima: a Bruxelles nel giugno del 1815, due giorni prima della battaglia di Waterloo e alla vigilia della battaglia di Quatre Bras, la contessa di Richmond tiene un gran ballo in onore del Duca di Wellington. A quella festa partecipano Edmund Bellasis (Jeremy Neumark Jones) e Sophia Trenchard (Emily Reid). Lui è il figlio dei conti di Brokenhurst, Caroline (Hariet Walter) e Peregrine (Tom Wilkinson), una delle più ricche e importanti famiglie; lei è la figlia Anne (Tamsin Greig, Episodes) e James (Philip Glenister), un mercante di successo noto come Il Mago per la sua capacità di fornire cibo e vestiario all’esercito. Edmund e Sophia sono molto innamorati, ma le famiglie, quella di lui in particolare, disapprovano per la differenza sociale fra i due. Entrambi muoiono giovani a poca distanza l’uno dall’altra, ma quello che c’è stato fra loro e quello che è accaduto quella notte si riflette tutt’ora su tutti gli altri.

Anne e James, oltre alla defunta Sophia, hanno un altro figlio, Oliver (Richard Gouldin), non portato per gli affari ma per la vita di campagna, che comincia ad essere geloso delle attenzioni che il padre riserva a Charles Pope (Jack Bardoe), un ragazzo che invece sul piano lavorativo si prospetta molto in gamba e che si innamora, ricambiato, di Lady Maria Grey (EllaPurnell), figlia della Contessa di Templemore, che vuole che la figlia sposi John Bellasis (Adam James), destinato ad ereditare la fortuna di quella famiglia, sebbene il padre, un reverendo, sperperi le fortune di famiglia nel gioco. John acconsente al fidanzamento, ma intesse una tresca con la moglie di Oliver, Susan (Alice Eve).  

Nonostante i molti intrecci è un talento di Fellows quello di saper delineare con chiarezza e in modo credibile questi intricati rapporti e nonostante l’utilizzo di un deus ex machina al momento giusto (una donna in possesso di alcune lettere e documenti risolutivi), tanto gli ostacoli che costruiscono il motore della storia quanto gli escamotage per risolverli sono sia consoni e stringenti rispetto ai mores che ritrae, sia fluidi e sensati nel loro appagante superamento.

Se il gusto e il clima, e molto la musica anche, ricordano quelle del maggior successo televisivo dell’autore, ci sono anche notevoli differenze. In primo luogo il fatto che qui non si parla della decadenza di una famiglia e del declino dei costumi aristocratici, ma all’opposto di borghesi che lavorano e sono emergenti. Siamo agli inizi dell’epoca Vittoriana e c’è molta voglia di fare. Certi contrasti sono più apparenti: la stessa servitù è vista meno come famiglia, più come impiegati. Sono ancora tutti vincolari da etichetta e valori di convenienza e apparenza, facili  vergogne ed imbarazzi sociali. Se i titoli nobiliari hanno ancora un peso, anche il vile denaro non ha un ruolo indifferente.

Centrali sono i rapporti familiari, ma si medita sul lutto e sul valore dei ricordi e della memoria, così come sui pregiudizi, che tanto condizionano a tutti i livelli i comportamenti  e le vite dei protagonisti. Le donne, e quelle più mature, sono in primo piano qui: Caroline e Anne in particolare, le madri dei due defunti innamorati, sono uno i due punti di riferimento essenziali e il loro rapporto riesce ad avere notevole nuance in mano ad attrici consumate. Non manca per altri aspetti una buona dose di prevedibili villain che si arricciano i baffi per la cattiveria, in quanto a  finezze siamo più sul livello del film di Downton che non a quello degli albori della serie, e non c’è una Lady Violet che con umorismo graffiante alleggerisca le situazioni.

Sebbene Belgravia sia autoconclusiva e il programma non abbia ricevuto le lodi che, specie al debutto, avevano ricevuto i conti di Grantham, ci potrebbe essere una seconda stagione (si legga qui su RadioTimes). Se è la vostra tazza di tè, come direbbero gli inglesi, ovvero se è il vostro genere, è una tazza di tè che si sorseggia gradevolmente senza grosso impegno.  

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