È tanto banale quanto
azzeccato definire Das Letzte Wort – The Last Word (L’ultima Parola) su
Netflix, come il Six Feet Under tedesco.
Karla Fazius (Anke Engelke)
rimane improvvisamente vedova il giorno del suo venticinquesimo anniversario di
matrimonio con il marito Stephan (Johannes Zeiler), che amava molto, colpito da
un aneurisma. È uno shock per tutta la famiglia, in particolare per
l’adolescente Tonio (Juri Winkler), che lo aveva insultato l’ultima volta che
lo aveva visto, e che cerca supporto psicologico per affrontare quanto
avvenuto, ma anche per la figlia Judith (Nina Gummich), una fotografa, che per
l’occasione torna a Berlino. Karla riceve una serie di scosse biografiche,
perché appunto deve riaversi da una perdita tanto improvvisa quanto dolorosa,
ma anche perché scopre presto che il marito, un dentista, aveva in realtà
lasciato il lavoro per dedicarsi all’attività artistica in un suo studio e
glielo aveva sempre tenuto nascosto e lei ora, se non è proprio in bolletta, ha
necessità di lavorare; in più, la madre Mina (Gudrun Ritter) è stata cacciata
dalla casa di riposo per il suo comportamento ribelle e ora vive con loro. Dopo
il funerale decide di prendersi una licenza come elogista funebre, e inizia a
lavorare per Andreas Borowski (Thorsten Merten, anche ideatore della serie),
direttore di un’agenzia di pompe funebri a gestione familiare, in crisi. Il
figlio ventiduenne, Ronnie (Aaron Hilmer) già lavora nel preparare i cadaveri,
e il padre vorrebbe idealmente lasciargli in eredità l’attività, ma la moglie
Frauke (Claudia Gesler-Bading) preferirebbe liberarsene.
Curiosamente, la colonna
sonora usa molto le canzoni dell’italiano Paolo Conte, ma è la pimpante “I’m
Gonna Live Till I Die” cantata da Frank Sinatra a fare da sigla, in una
celebrazione di vita, mentre le immagini, in un buon montaggio, ci mostrano
varie bare in un crematorio e una che si avvia all’inceneritore. Ci allerta del
fatto che la serie non sarà un mortorio, perdonate il gioco di parole, ma
accanto a temi tanto grevi c’è energia e vitalità, e anche umorismo.
C’è l’utilizzo del realismo magico, un po’ come accadeva proprio nel celebrato Six Feet Under, nei momenti in cui Karla parla con il marito defunto che vede e dialoga con cui come se fosse presente qui e ora. Per lei è un modo di elaborare il lutto. Questo tema non è estraneo al piccolo schermo – facilmente vengono in mente titoli come After Life o Sorry For Your Loss. Qui avviene nel confronto costante con quello di molte altre persone. Per Karla infatti un modo di comprendere e superare quello che è capitato è proprio lo svolgere la professione di oratrice funebre, che io nemmeno avevo idea esistesse, quando deve cercare le ultime parole con cui onorare una vita di una persona e dirle addio. La serie stessa, nella sesta e ultima puntata della prima stagione, più breve e frettolosa delle altre, e che volendo potrebbe con soddisfazione fungere da chiusura definitiva, cerca di lasciare noi con delle parole finali che possano dare sollievo, conforto, senso.
Che cos’è la morte? Una
fine, un inizio, una porta? (1.04) La vita che abbiamo vissuto è stata la
migliore che avremmo potuto vivere? Siamo stati veramente felici? (1.01) Quanto
tempo ci vuole per conoscere veramente qualcuno (1.02)? Qual è il modo migliore
per onorare la memoria di qualcuno? Si medita sul senso della morte, ma
soprattutto per i vivi, per chi rimane. E l’idea ultima è che non c’è un modo
giusto, o sbagliato, per portare un lutto. Tonio ad un certo punto (1.04) dice
che si sente come “un divo in una zona di guerra che non deve sapere che c’è la
guerra”. Die Trauerrede, l’elogio funebre, deve rendere giustizia al
defunto, ma come celebrare la vita di un giovane uomo morto per incidente, che
aveva comportamenti crudeli da serial killer in erba fin da bambino, e che è
più facile amare da morto che da vivo (1.05)? Che funerale dare a una madre che
ti ha sempre vessata e, nelle parole poco consone della protagonista che non ha
peli sulla lingua, si è comportata da autentica stronza? Un funerale è per i
vivi: chi ha più diritto di dire la propria sul modo in cui è più giusto
salutare la persona amata?
Non tutto è perfetto – la moglie di Borowski e la nonna sono state troppo macchiette – ma Das Letzte Wort ha ragionato con spessore, ma anche con la giusta leggerezza, su temi difficili costruendo solidi personaggi e credibili rapporti fra loro. Ancora non c’è voce di una seconda stagione, ma mi auguro davvero che Netflix voglia aspettare ancora qualche stagione prima di fare il funerale alla serie.
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