venerdì 9 aprile 2021

KUNG FU: non è "Kung Fu"

In un momento storico come questo, in cui si è assistito negli Stati Uniti ad un’impennata di razzismo nei confronti dei cinesi specificatamente e degli orientali in senso ampio, è magnifico vedere una nuova serie che ha come eroina una grintosa giovane donna proprio di origine cinese. È la prima serie drammatica di un network statunitense ad avere un cast prevalentemente asiatico, e viene da dire che era anche ora. Kung Fu, di cui è protagonista, che ha debuttato il 7 aprile sull’americana The CW ed è per ora inedita in Italia, non è tanto un roboot dell’omonima serie degli anni 70, quando una vera e propria re-immaginazione delle vicende, a partire da una premessa similare. Va però per la sua strada. Avrò anche seguito l’originale con David Carradine più di trent’anni fa, ma sono piuttosto certa che non prevedesse una spada magica. C’è un influsso de La Tigre e il Dragone, come è stato notato.

SPOILER SUL PILOT. Nicky Chen (Olivia Liang) è una ragazza che viene mandata dalla madre in Cina: in teoria per conoscere la cultura delle sue origini, in realtà per trovare un marito. Lei, che non è intenzionata, scappa e si rifugia in un monastero shaolin di giovani donne guerriere dove trascorre tre anni ad imparare il Kung Fu, mollando così di fatto università, ragazzo e famiglia.

Un giorno vengono attaccati, tutto viene bruciato, e una ribelle, Zhilang (Yvonne Chapman) uccide Pei Ling (Vanessa Kai), la sua shifu, rubando una spada che in seguito scoprirà avere presunte proprietà magiche. Decisa a vendicare la memoria della sua maestra traovando la colpevole, decide di tornare nella nativa San Francisco ripresentandosi senza preavviso alla sua famiglia d’origine. La madre Mei-Li (Kheng Hua Tan) la accoglie dicendo che sua figlia è morta tre anni prima. Sono imminenti le nozze della sorella Althea (Shannon Dang), una vera esperta di computer, con Dennis (Tony Chung), mentre il fratello Ryan (Jon Prasida), aspirante medico, le rinfaccia che ha dovuto fare coming out da solo un anno prima con i genitori, visto che lei se ne era andata privandolo del suo sostegno (era l’unica che sapesse che era gay). Il padre Jin (Tzi Ma, The Farewell), proprietario e cuoco di un ristorante, viene pestato da degli strozzini collegati alla Triade, che vogliono da lui una grossa somma di denaro. Nicky, forte delle sue abilità di lottatrice, decide di assicurare alla giustizia questi criminali, anche con l’aiuto del suo ex Evan (Gavin Stenhouse), ora assistente procuratore distrettuale, che nel frattempo si è trovato un’altra ragazza. Nicky, al suo ritorno, conosce anche Henry (Eddi Liu) un appassionato di arti marziali e sinologia, che l’aiuta a indagare su questa misteriosa spada, che le rivela essere uno di otto oggetti che daranno grande potere a chi li possiede.

Dal pilot di questo terzo tentativo di riportare Kung Fu sugli schermi televisivi, sviluppato da Christina M. Kim, abbastanza esplicativo e diretto nel dichiarare le proprie premesse, sembra che non mancheranno avventure gradevoli e piene di coreografiche scene di combattimento, di una volitiva giovane donna che intende combattere il crimine e le ingiustizie che vede, farcite un po’ con una storia pseudo-mitologica e con una missione videogioco di ritrovamento di manufatti, qualche spruzzata di romanticismo qui e lì e (benvenuti) semi di cultura cinese. Qualcuno si è lamentato che fa troppo affidamento sul rallenty nelle scene di combattimento, ben coreografate, ma a me non è dispiaciuto. Nulla di male, è una serie d’azione come tante, solo, non è Kung Fu.

Certo, quando tocca la spada per la prima volta, la protagonista si ustiona la mano. Si ripensano ai marchi che aveva Caine… Ma lì, c’era proprio la lezione ultima imparata dall’allievo, che rinchiuso, per aprirsi la porta e non morire, doveva spostare con le proprie braccia un pentolone rovente, rimanendo così marchiato a vita con il simbolo della scuola.

Quello che rendeva speciale le vicende di Caine era la filosofia e l’etica che guidavano il suo comportamento, appresi negli anni del monastero. Nell’originale, le lezioni imparate dal maestro cieco Po (Keye Luke) e dal maestro Kan (Philip Ahn) venivano illustrate attraverso dei flashback e attraverso il ricordo si capiva come informavano le azioni del presente. Lui, un monaco a tutti gli effetti per quanto in fuga, era una persona molto mite, ora adulta, che viveva comunque la spiritualità che gli era stata insegnata. Qui, tutto questo non c’è, e dal pilot sembra che non ci sarà. È vero, Nikki ha come delle “visioni” della sua mentore - non da “matta”, diciamo che immagina la sua presenza e i suoi insegnamenti e noi la vediamo fisicamente come vicina a lei -  che la guida: “crei il sentiero che vivi”, “la fede rende l’impossibile possibile”… Però fuori da qualche massima buttata lì non si capisce nemmeno quale possa essere l’apprendimento morale e spirituale, di vita, che ha fatto suo e che l’ha trasformata. È come se ne avesse una conoscenza istantaneo-Bignami, e fosse diventata questa lottatrice che lascia stupito chi la vede, ma tutto è rimasto molto superficiale. Ho trovato molto più pregnante la conversazione con la madre che le rammenta che non è sufficiente dire “scusa” per cancellare tutto d’incanto, che non le pillolette di saggezza della sua Shifu. Questo è il delitto in una serie che richiama un illustre antecedente di cui poteva fare a meno: è un’altra cosa, e va bene che sia così. Un pilot però è solo un pilot, e magari avrò occasione di ricredermi, ma non posso negare che questa sia stata una delusione. Non è quello che cerco, quando mi accosto a quel titolo.

Intanto, secondo quanto scriver l’Hollywood Reporter (qui) “Kung Fu ha debuttato con 1.4 milioni di spettatori e un rating di 0.22 tra gli adulti 18-49. È l’audience più grande per la CW nella fascia oraria delle 20.00 in quasi due anni e mezzo”.

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