È la quintessenza della
narrazione erotetica Only Murders in the
Building (Disney+), ibridata con umorismo venato di malinconia e
consapevolezza trasmediale: domande, domande domande la cui risposta ci
accompagna nella risoluzione di un giallo – “hai sempre avuto bisogno di sapere
che cosa era successo”, dice la madre alla figlia protagonista (1.06)
ricordando i tempi in cui cercava di raccontarle le favole.
Tre inquilini
dell’Arconia, un complesso di appartamenti nell’Upper West Side di New York,
condividono una grande passione per i podcast di true crime. Charles-Haden Savage (Steve Martin) è un attore
televisivo che ha un passato di successo nel ruolo di Brazzos, un investigatore
del piccolo schermo; è un uomo solo finchè non comincia a frequentare una
musicista che suona il fagotto che vive nel suo stesso palazzo, Jan (Amy Ryan).
Oliver Putnam (Martin Short), che fra tutti è quello che è trascinato dal
maggior entusiasmo, è un regista di Broadway dalle alterne fortune ora in
difficoltà; a sostenerlo riluttantemente è solo un vecchio amico produttore, Teddy
Dimas (Nathan Lane). Mabel Mora (Selena Gomez) è una ristrutturatrice di
appartamenti che già da piccola frequentava l’edificio. Un giorno proprio lì si
verifica un omicidio: a morire è Tim Kono (Julian Cihi), ma mentre gli investigatori credono che sia stato un suicidio, i tre la pensano diversamente
e decidono di investigare e contemporaneamente produrre loro stessi un podcast
sulle indagini. Mabel lo tiene inizialmente nascosto ai suoi due nuovi anziani
amici, ma da bimba era una grande amica di Kono che faceva parte di un gruppo
da lei chiamati i suoi Hardy Boys, dal nome di una collana di gialli per
ragazzi che ruota intorno ad adolescenti che sono segugi dilettanti, perché con
loro si divertiva a risolvere piccoli misteri. Già un’altra amica del gruppo,
Zoe, aveva perso la vita anni fa ed un altro di loro, Oscar (Aaron Dominguez),
era stato condannato perché ritenuto responsabile.
Ideata da Steve Martin e
John Hoffman (Grace and Frankie), la
serie può contare su un improbabile trio che, a dispetto dell’età dei
protagonisti, funziona alla grande. Sarà anche che è occasione di commenti fra
loro e si gioca con gusto sullo scarto generazionale, ma non suona mai viscido
che due uomini anziani trascorrano così tanto tempo con una donna giovanissima.
E la Gomes, di fronte a due pesi massimi come Martin e Short se la cava più che
egregiamente, contrappunto serioso e sardonico alla effervescente verve dei
due. Le loro vite segretamente solitarie trovano nella passione comune genuino
affetto e amicizia. Mi ha fatto pensare a una sorta di versione umana di Scooby
Doo.
Si fa anche ilarmente la
parodia del genere, come quando ad essere sospettato è Sting, che nel ruolo di
sé stesso sta con autoironia al gioco, e si scherza con le sue canzoni (1.03;
1.04). Non so se ho mai riso così di gusto come quando Oliver si è trovato in
ascensore con il cantante e ha detto al proprio cane di non stare troppo vicino
alla star, utilizzando umoristicamente il titolo di una canzone dei Police “Don’t
stand so close to me”, il gruppo di cui Sting faceva parte.
Di fatto si arriva anche a
una conclusione del giallo – ci sono thriller e suspense - e anche con un
apprezzamento per il fandom: qui irriducibili appassionati vengono coinvolti
nella storia dei protagonisti. C’è una certa eleganza formale - la sigla è evocativa di certe copertine
del New Yorker - e anche il gusto di provare qualcosa di innovativo. Come ha scritto acutamente Gregory
Lawrence su The Collider, “(è)
Edgar Wright che incontra 30 Rock. È
audace ma calmo, terrificante ma confortante, triste ma sciocco, satirico ma
empatico - ed è tutte queste cose servite da chef che si fidano di te, perché
tu ti fidi di loro”. E a proposito di 30
Rock, anche Tina Fey compare fra le guest star.
Brioso e coinvolgente, divertente con cuore: uno dei debutti più forti del 2021.
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