Mi rendo
conto che difficilmente riuscirò a scrivere su argomenti a cui vorrei poter
dedicare più attenzione. Butto giù perciò due righe veloci, come traccia, su alcuni
programmi che meriterebbero ben più approfondimento. Questa è un post dedicato
a due serie drammatiche. A breve ne farò seguire uno su due commedie.
Succession – stagione tre: credo sia in assoluto uno dei migliori programmi
in circolazione in questo momento e sta diventando una delle grandi serie di
tutti i tempi. La terza stagione, forte anche di quello che ha costruito prima,
è stata spettacolosa. Sono rimasta sbalordita ad ogni episodio. E che dialoghi!
Da mozzare il fiato. Business, potere, lealtà in conflitto, rapporti
familiari…questa creazione di Jesse Armstrong è sia complessa e sottile, quanto
feroce e di impatto. Non fa prigionieri. Dolorosa e spietata. Disumana e senza
cuore, in molti aspetti. Il sottofinale “Chiantishire” (3.08) ha uno dei
cliffhanger più memorabili che si ricordino in tanto tempo. Eticamente mi
sembra un po’ all’opposto di una delle altre grandi serie del momento, Ted Lasso e, tangenzialmente, trovo
buffa la coincidenza che uno dei personaggi di maggior spicco di Succession, Ken Roy (un coinvolgente
Jeremy Strong), abbia un nome speculare a uno dei personaggi più trascinanti di
Ted Lasso, Roy Kent (Brett
Goldstein). Qui
ho parlato della seconda stagione di Succession,
mentre della prima non ho mai parlato, pur avendola io indicata come una delle
migliori dell’anno.
The Morning Show – seconda stagione: che scivolone. Cavalcando la questione del
#metoo la prima stagione del programma, di cui avevo parlato qui,
mi aveva convinta a sufficienza da continuare a seguirla. Il secondo ciclo di
puntate, ambientate prima della pandemia, è sembrato senza direzione.
L’improvvisa bisessualità di Bradley (Reese Witherspoon) è parsa un escamotage
per coprire il vuoto di idee. Non basta assumere Julianna Margulies (nel ruolo
di Laura Peterson), per brava e amata che sia, a far decollare un’intesa e una
storia. Poi io sono attratta dal personaggio di Cory (un appassionato Billy
Crudup, ruolo per il quale ha vinto l’Emmy nel 2020), ma questo giro mi è parso
ridotto a fare il cagnolino scodinzolante dietro a Bradley, anche se alla luce
della season finale mi è sembrato anche
sensato. Vogliamo parlare della “trasferta” italiana di Mitch? Inguardabile. La
sua amicizia con la documentarista italiana Paola Lambruschini (Valeria Golino)
è stata pietosa: ero in imbarazzo per loro. Anche se devo ammettere che mi sono
goduta da morire che a chiamare la produzione per verificare di Mitch (mi
esprimo così per evitare spoiler della 2.08) sia stato dall’Italia Il Gazzettino di Mestre e non, per dire,
Il Corriere della Sera o La Repubblica – certo, hanno chiamato
per un commento senza verificare la notizia e chiedevano conferma, ma in ogni
caso…mitico. Tornando a Mitch, e sì che
il suo personaggio poteva essere un buono spunto per parlare di cancel culture vs. cultura della
responsabilità. Che delusione, e che cast sprecato. In chiusura mi hanno fatto
sperare che possano in una terza stagione affrontare con criterio la pandemia.
Quello che ho sinceramente apprezzato è un dialogo fra Bradley e Alex (Jennifer
Aniston) in cui la prima dice alla seconda che le relazioni non devono essere
“transactional”, una transazione commerciale in qualche maniera, paritaria al
cento per cento in ciò che si dà e ciò che si riceve. È un’idea che condivido, ma
che ho sentito poco e importante da approfondire. Non credo di non averla mai
vista esplicitata in modo così diretto in una serie TV e penso che sia una gran
cosa che sia stato fatto.
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