Come ho
fatto nel post precedente, butto giù qualche pensiero, questa volta per due
commedie, su serie che meriterebbero ben altro approfondimento, ma che mi rendo
conto in questo momento di non poter fare.
Dickinson - stagione tre: questa stagione è l’ultima della mirabolante,
poetica, bizzarra serie dedicata alla poetessa americana. Io sono meno
entusiasta dei molti estimatori, ma ho apprezzato la sua verve sovversiva
infusa di femminismo – le puntate all’ospedale psichiatrico e sul testamento
del padre sono buoni esempi -, e di amore per la parola e la scrittura, che ha
declinato questo arco conclusivo ancorata al tema della speranza, con il
sottofondo della Guerra Civile e la storia secondaria di primi soldati neri
dell’esercito, guardando alle dinamiche di potere razziste con serietà, ma con
leggerezza e con umorismo. Forse bisogna cogliere l’invito fatto nella 3.04,
dove c’è il cameo, se così possiamo dire, di Walt Whitman, e smettere di
cercare di capire e sentire, provare, farsi emozionare, come nel “viaggio nel
futuro” (3.07) in cui Emily e la sorella Lavinia (bizzarra a modo suo),
incontrano Sylvia Plath. L’ho percepita più visionaria delle stagioni
precedenti. Io non l’ho abbracciata appassionatamente come forse merita, perché
non è propriamente “la mia tazza di tè”, come si direbbe in inglese, ma ho
saputo apprezzarla per contenuto e stile: dice molto e lo fa con originalità. Qui
avevo parlato della prima stagione, qui
della seconda.
The Great – stagione due: questa serie si commenta da sola con il proprio
titolo, è grande. Divertente, intelligente, arguta, piena di spirito e di brio,
e di amore. È una delle mie preferite in assoluto. E i suoi motteggi
filosofici e illuministi sono uno spasso come altrove non si vede. Allo stesso
tempo ha saputo diventare anche, inaspettatamente, molto romantica. Peter
innamorato di Katherine e convinto che lei lo ricambi e lei che lo rifiuta e
proprio non ne vuole sapere ha avuto dei momenti davvero esilaranti. Come non
sciogliersi quando Peter vede Katherine accasciata a piangere e gli evapora in
un istante ogni proposito rabbioso contro di lei? Loro che si vogliono
ammazzare a vicenda, ma che allo stesso tempo sono genuinamente innamorati l’uno
dell’altra è stato ossimoricamente perfetto, un’incarnazione dell’odi et amo e dei complicati assurdi
meccanismi dell’amore. Huzzah per
Elle Fanning e Nichoas Hoult nel ruolo degli interpreti principali. E per Tony
McNamara che li scrive con tale vis umoristica e verve. Ho gradito anche
Gillian Anderson come guest star nel ruolo della madre di Katherine. La prima
stagione mi ha conquistata senza riserve, ma anche nella seconda gettata è
riuscita a mantenere la stessa tensione e passione - per le riforme sociali,
per una Russia (e un mondo) migliori, un ruolo attivo delle donne… È anche rimasta sboccata al
punto giusto senza risultare vogare e violenta senza essere disturbante. Se
solo una critica negativa volessi sollevare, riguarda Orlo. Sembrava volessero rappresentarlo
come asessuale. Sarebbe stato importante, anche solo per quanto scarsa è la
loro visibilità sugli schermi, poi però si è andati in una direzione diversa
senza una vera spiegazione. Un vero peccato, anche perché poteva crearsi una
bella dinamica, magari, con il sempre-esilarante capo della chiesa Archie, le
cui pulsioni sessuali sono state in questa stagione fuori controllo. Qui
avevo parlato della prima stagione.
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