Ideata da Lucia Aniello,
Paul W. Downs, e Jen Statsky, Hacks
(dell’americana HBO Max) ha vinto nel 2021 il Golden Globe Award per la Miglior
Serie Televisiva - Musical o Commedia, oltre che una serie di Emmy
(sceneggiatura, regia, attrice protagonista). Sono premi meritati, e si ride,
ma l’ho trovata più una serie pregnante che divertente. Il confine fra tragedia
e commedia è sottile.
Deborah Vance (Jean Smart,
Legion, Watchmen), una leggendaria diva della stand-up comedy di Las Vegas,
viene informata da Marty (Christopher McDonald), CEO del casinò Palmetto dove
si esibisce, che il numero delle due esibizioni dovrà essere ridotto per fare
spazio a nuovi artisti. Lei vuole rimanere attuale e Jimmy (Paul W. Downs), il
suo manager, decide di affiancarle contro la sua volontà una giovane
promettente scrittrice comica, Ava Daniels (Hannah Einbinder). Sebbene
brillante, una battuta offensiva su Twitter le ha bruciato parecchie
opportunità e, recalcitrante, accetta di lavorare per una donna che
inizialmente ritiene ormai poco divertente e sorpassata. Finora Deborah si è
solo avvalsa dell’aiuto di un direttore operativo, Marcus (Carl Clemons-Hopkins), e l’inaspettato incontro con la ragazza, per lei troppo piena di sé, non va nel
migliore dei modi, sono ostili e non vogliono lavorare insieme, ma decidono di
farlo e progressivamente imparano a conoscersi e a sopportarsi, e ad apprezzare
il talento l’una dell’altra, collaborando per creare del materiale da cabaret
pungente, onesto e attuale.
Uno degli aspetti più
interessanti è quello del rapporto fra le due donne e come si costruisce: passano
di continuo fra momenti di apprezzamento reciproco ed epifanie su che cosa le
rende davvero speciali a momenti in sui si danno genuinamente i nervi e non
vogliono vedersi più. La prospettiva dell’età pure è significativa sia perché
sono due età diverse e quindi in fasi della propria esistenza differenti, e si
vede, e sia perché sono figlie di epoche storiche che non affrontano le questioni della
vita allo stesso modo. Questo è importante perché in modo trasversale passa
come ciascuna generazione ha delle sfide proprie e diverse e le difformi prospettive possono arricchire tutti. In questo la serie sa, con poco, essere molto
incisiva.
Nessuna delle due ha peli
sulla lingua ed entrambe sanno usare il linguaggio per mandare frecciatine e
colpire nel segno. Sono persone che usano le proprie capacità verbali per far ridere, ma anche per
graffiare, e graffiare lo sanno fare bene, indubbiamente. Sono caustiche. Sono abituate
a cogliere i momenti nevralgici delle situazioni. Parlano la stessa lingua,
quella della comicità, ma allo stesso tempo è una lingua che è cambiata con il passare degli anni. Il loro rapporto, ora di rivalità ora di complicità, sostenuto da parte
di entrambe e della Smart in particolare, davvero è tutto lo show, e la vis
comica e la forza del programma progrediscono proprio a mano a mano che loro si
conoscono e noi impariamo a conoscerle.
E se il vecchio adagio
vuole che il migliore umorismo nasca dai momenti di vulnerabilità, qui ce ne
sono in abbondanza. Deborah ad esempio è stata lasciata dal marito per sua
sorella minore decenni prima, e la sua biografia vuole che lei gli abbia
bruciato la casa per vendetta. Ma forse non è andata proprio così. Con la figlia
(Kaitlin Olson), che ormai adulta si sente sempre trascurata e messa al secondo
posto rispetto al lavoro, ha un rapporto conflittuale. Ha trasformato le sue
disgrazie in battute, ma non sono arrivate senza duro lavoro. E il senso della
comicità, lo sviscerarsi e vivisezionarsi per altrui divertimento, mettere in
scena le proprie disillusioni senza vergogna e anche senza protezione, e con il
distacco necessario a poterci ridere su, è ciò che rende la scrittura comica un’arte.
Amara.
Una serie in qualche modo feroce, ma anche autentica e intensa. La seconda stagione debutta negli USA il 12 maggio.
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