mercoledì 1 giugno 2022

Dopo sei stagioni, addio a THIS IS US


Mi ero preparata i pacchetti di fazzoletti per la series finale di This is Us. Del resto, delle 106 puntate andate in onda in sei stagioni, solo per una manciata credo di non aver pianto. Anzi, se una critica si può muovere a questa creazione di Dan Fogelman è proprio quella di essere strappalacrime, addirittura emozionalmente monipolatoria, e sdolcinata magari. Per la finalissima in effetti sono serviti i fazzoletti, ma il giusto. Si è tenuta fedele a sé stessa, fino in fondo.

Non ho mai dato troppo credito alle vicende dei Pearsons, fatti salvi due aspetti. In un panorama televisivo che mostra sempre più famiglie disfunzionali, è stata in grado di presentarne una dove tutti si vogliono bene e i contrasti, anche dove sono grandi, si risolvono, rimanendo presenti gli uni per gli altri. In questo c’è qualcosa di “antico” e rassicurante, ma lo ha fatto mostrando una famiglia moderna, allargata, non completamente favolistica e fuori dal mondo. Poi, ho da subito molto apprezzato il modo in cui ha saputo riscrivere la mascolinità, ritraendo modelli virili che non per questo erano machisti, ma anche vulnerabili e capaci di mettersi in discussine e comunicare. E lo ha fatto davvero con tutti i personaggi uomini. Si comincia ad andare in quella direzione in altri show – penso a Ted Lasso – ma quieto quieto questo programma familiare ha saputo fare da apristrada.

La conclusione ha messo la lente di ingrandimento su quello che in realtà è un altro aspetto che ha svolto in modo magistrale, uno ovvio, ma che proprio per questo rischia troppo facilmente di non venire notato: l’intersecarsi dei piani temporali, la continua presenza di rimandi e di corrispondenze che si fanno eco. Ho deciso di vedere le ultime due puntate – “The Train (6.17) e “Us” (6.18) - una di fila all’altra, scelta che si è rivelata appropriata, forse anche perché erano entrambe scritte dall’ideatore e dirette da Ken Olin. Lì questo gioco di passaggi apparentemente semplici ha brillato. Basta solo pensare al “viaggio in treno” di Rebecca (Mandy Moore), e vederla osservare i figli fisicamente presenti nello stesso momento nella forma di tutti gli attori che nelle diverse età li hanno interpretati, per venire illuminati sul sottile gioco di memoria che la serie ha saputo costruire. O l’abile ripresa nella finale di un quadro di cui si era parlato nella quinta puntata della prima stagione – ne avevo fatto menzione qui nell’ultimo paragrafo, e invito a rileggerlo perché quello è davvero il senso, la poetica della serie tutta: ognuno di noi aggiunge qualcosa, e siamo sempre presenti, anche chi se ne va c’è ancora. Un magnifico messaggio su quel “noi” del titolo della puntata, sulla vita, sulla serie…

E così addio a Rebecca, Jack, Randall, Kate, Kevin e a tutti gli altri. Li lascio andare senza particolari rimpianti, ma è stato bello conoscerli. Saranno parte di me.

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