È in primo luogo un’ode
alla matematica, la serie di fantascienza Foundation
(Apple TV+). Pur avendo letto il primo della originaria seminale trilogia della
Fondazione di Asimov, a cui ci si è molto
liberamente ispirati qui, ne ho un ricordo quasi nullo, quindi le mie
considerazioni sulla serie si basano solo sulla controparte televisiva, che sono
consapevole essere molto più al femminile di quanto non fosse il materiale
originario, cosa di cui non mi lamento, anzi. Da quello che leggo ci si è
allontanati parecchio dalla sorgente anche su altri fronti.
Siamo nell’anno 12067
dell’Era Imperiale. Hari Seldon (Jared Harris, Mad Men, Chernobyl) è uno
scienziato esperto in quello che chiamano psicostoria, una disciplina che
attraverso un misto di matematica, statistica, psicologia e sociologia è in
grado di fare proiezioni su eventi storici futuri. I suoi studi lo hanno
portato a prevedere la rovina dell’Impero Galattico, retto da una dinastica
genetica, ovvero costituita da cloni dell’imperatore originario, Cleon I:
fratello Alba (prima Cooper Carter, poi Cassian Bilton), fratello Giorno (Lee
Pace) e fratello Tramonto (Terrence Mann) sono l’imperatore nelle tre diverse
fasi della vita. Sono presenti contemporaneamente gli uni per gli altri, anche
se solo la versione matura è quella che nel presente comanda, in questo caso
Fratello Giorno – Cleon XII. All’anziano del gruppo spetta di narrare gli
eventi in forma pittorica come ultima eredità, in una sorta di grande affresco
che viene ampliato progressivamente. Fratello Alba intreccia una storia d'amore
con Azura (Amy Tyger), giardiniera di palazzo, con conseguenze impreviste. Vivono
su Trantor, capitale dell'Impero Galattico, e ad affiancarli in tutte le fasi
della loro vita c’è Demerzel (Laura Birn), una degli ultimissimi robot coscienti
sopravvissuti alla guerra tra umani e androidi. Le vicende che li riguardano sono indubbiamente una delle parti più riuscite.
Nonostante conflitti, in
particolare fra i governi dei pianeti di Anacreon e Thespis, l’Impero è nel
pieno del proprio splendore, e i regnanti non vogliono credere a Seldon e lo
mettono sotto processo. Con lui anche una giovane ragazza prodigio da lui
appena convocata, Gaal Dornick (Lou Llobell), che è riuscita a risolvere da
sola un problema matematico molto complesso, la congettura di Abraxas. La
ragazza proviene dal pianeta Synnax, dove gli abitanti aspettano solo il
risveglio del loro Dio, definito “il Dormiente”, e considerano lo studio
un’eresia. Seldon, e con lui Gaal, è condannato per aver anticipato una
dissoluzione che i regnanti vogliono evitare, ma gli è dato il permesso di
costruire una Fondazione su un pianeta ai margini dello spazio, Terminus, con
l’obiettivo di salvaguardare il più possibile le conoscenze umane per rendere
più facile e veloce la ricostruzione – da 30.000 anni di oscurità si passerebbe
a 1000. Alcuni decenni dopo, su Terminus lavorano una serie di scienziati, che
devono vedersela con una struttura che si libra nell’aria ad alcuni metri dal
suolo, che nessuno sa che cosa sia, chiamata “la Volta,” che crea un perimetro
invisibile, il “campo nullo”, che fa perdere i sensi a chiunque si avvicini
troppo. Guardiana di Terminus è Salvor Hardin (Leah Harvey), una donna molto
combattiva che ha strane visioni.
La mitologia di Fondazione è complessa, ma
comprensibile: capita di sentirsi un po’ disorientati nella visione, anche per
via degli sbalzi temporali (magari con i personaggi criogenicamente
addormentati o che fanno salti spaziali), ma allo stesso tempo è evidente che
l’autore/produttore David S. Goyer, ha le idee chiare e se si ha pazienza a
poco a poco i pezzi vanno al loro posto. Il worldbuilding
è davvero notevole, e in favore di questo si può apprezzare un ritmo che ad
alcuni è apparso un po’ lento. Sebbene non sia una serie-rivelazione, è
decisamente appassionante e mette in campo questioni significative e inusitate.
In particolare, oltre al valore della matematica, definita “pura”, si ragiona
sul contrasto fra fede e scienza, e ancor di più fra l’immobilismo e la stasi versus
la mutabilità e il rinnovarsi. L’impero e i tre uomini che lo rappresentano
incarnano la permanenza incorruttibile. A far loro da contrappeso c’è una delle
religioni più potenti dell’impero, il Luminismo, che crede nelle tre dee e ha
al proprio vertice una sacerdotessa, una “Zefira”, che assume il ruolo di
“Proxima”. Il loro credo è quello della reincarnazione e del cambiamento. Lo
scontro fra queste due posizioni opposte, esplorate in particolare negli
episodi “Morte e Luna Vergine” (1.06) e poi “Il pezzo mancante” (1.08), e
rappresentato qui sia in modo allegorico che nell’effettiva discussione fra le
parti, è un tema sempreverde che si presta anche a una declinazione di gender
(con l’Impero nel ruolo del patriarcato) visto il genere sessuale dei
protagonisti, ma che non si limita sicuramente a quella lettura. Sebbene
“l’assenza di anima” dell’immutabile mi abbia lasciata perplessa (un clone è
comunque un essere separato, perché non conta solo la genetica), si è fatta una
bella apologia del valore e del senso del cambiamento.
Questa epopea sci-fi si prende molto sul serio, e sarebbe ideale che riuscisse a trovare una modalità per alleggerire in parte il proprio tono, pur mantenendo la gravitas necessaria, ma alla fine personalmente preferisco così piuttosto che scada nell’umorismo adolescenziale a cui ricorrono molte produzioni di azione e avventura. L’autore ha lanciato il progetto dichiarandosi pronto a svolgerlo per 80 puntate e il budget investito è indubbiamente alto — valori produttivi ed effetti speciali sono notevoli. Intanto c’è stato il rinnovo per una seconda stagione, e io intendo di certo proseguire nella visione.
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