sabato 6 agosto 2022

FOUNDATION: appassionante serie sci-fi ispirata ad Asimov

È in primo luogo un’ode alla matematica, la serie di fantascienza Foundation (Apple TV+). Pur avendo letto il primo della originaria seminale trilogia della Fondazione di Asimov, a cui ci si è molto liberamente ispirati qui, ne ho un ricordo quasi nullo, quindi le mie considerazioni sulla serie si basano solo sulla controparte televisiva, che sono consapevole essere molto più al femminile di quanto non fosse il materiale originario, cosa di cui non mi lamento, anzi. Da quello che leggo ci si è allontanati parecchio dalla sorgente anche su altri fronti.

Siamo nell’anno 12067 dell’Era Imperiale. Hari Seldon (Jared Harris, Mad Men, Chernobyl) è uno scienziato esperto in quello che chiamano psicostoria, una disciplina che attraverso un misto di matematica, statistica, psicologia e sociologia è in grado di fare proiezioni su eventi storici futuri. I suoi studi lo hanno portato a prevedere la rovina dell’Impero Galattico, retto da una dinastica genetica, ovvero costituita da cloni dell’imperatore originario, Cleon I: fratello Alba (prima Cooper Carter, poi Cassian Bilton), fratello Giorno (Lee Pace) e fratello Tramonto (Terrence Mann) sono l’imperatore nelle tre diverse fasi della vita. Sono presenti contemporaneamente gli uni per gli altri, anche se solo la versione matura è quella che nel presente comanda, in questo caso Fratello Giorno – Cleon XII. All’anziano del gruppo spetta di narrare gli eventi in forma pittorica come ultima eredità, in una sorta di grande affresco che viene ampliato progressivamente. Fratello Alba intreccia una storia d'amore con Azura (Amy Tyger), giardiniera di palazzo, con conseguenze impreviste. Vivono su Trantor, capitale dell'Impero Galattico, e ad affiancarli in tutte le fasi della loro vita c’è Demerzel (Laura Birn), una degli ultimissimi robot coscienti sopravvissuti alla guerra tra umani e androidi. Le vicende che li riguardano sono indubbiamente una delle parti più riuscite.

Nonostante conflitti, in particolare fra i governi dei pianeti di Anacreon e Thespis, l’Impero è nel pieno del proprio splendore, e i regnanti non vogliono credere a Seldon e lo mettono sotto processo. Con lui anche una giovane ragazza prodigio da lui appena convocata, Gaal Dornick (Lou Llobell), che è riuscita a risolvere da sola un problema matematico molto complesso, la congettura di Abraxas. La ragazza proviene dal pianeta Synnax, dove gli abitanti aspettano solo il risveglio del loro Dio, definito “il Dormiente”, e considerano lo studio un’eresia. Seldon, e con lui Gaal, è condannato per aver anticipato una dissoluzione che i regnanti vogliono evitare, ma gli è dato il permesso di costruire una Fondazione su un pianeta ai margini dello spazio, Terminus, con l’obiettivo di salvaguardare il più possibile le conoscenze umane per rendere più facile e veloce la ricostruzione – da 30.000 anni di oscurità si passerebbe a 1000. Alcuni decenni dopo, su Terminus lavorano una serie di scienziati, che devono vedersela con una struttura che si libra nell’aria ad alcuni metri dal suolo, che nessuno sa che cosa sia, chiamata “la Volta,” che crea un perimetro invisibile, il “campo nullo”, che fa perdere i sensi a chiunque si avvicini troppo. Guardiana di Terminus è Salvor Hardin (Leah Harvey), una donna molto combattiva che ha strane visioni.

La mitologia di Fondazione è complessa, ma comprensibile: capita di sentirsi un po’ disorientati nella visione, anche per via degli sbalzi temporali (magari con i personaggi criogenicamente addormentati o che fanno salti spaziali), ma allo stesso tempo è evidente che l’autore/produttore David S. Goyer, ha le idee chiare e se si ha pazienza a poco a poco i pezzi vanno al loro posto. Il worldbuilding è davvero notevole, e in favore di questo si può apprezzare un ritmo che ad alcuni è apparso un po’ lento. Sebbene non sia una serie-rivelazione, è decisamente appassionante e mette in campo questioni significative e inusitate. In particolare, oltre al valore della matematica, definita “pura”, si ragiona sul contrasto fra fede e scienza, e ancor di più fra l’immobilismo e la stasi versus la mutabilità e il rinnovarsi. L’impero e i tre uomini che lo rappresentano incarnano la permanenza incorruttibile. A far loro da contrappeso c’è una delle religioni più potenti dell’impero, il Luminismo, che crede nelle tre dee e ha al proprio vertice una sacerdotessa, una “Zefira”, che assume il ruolo di “Proxima”. Il loro credo è quello della reincarnazione e del cambiamento. Lo scontro fra queste due posizioni opposte, esplorate in particolare negli episodi “Morte e Luna Vergine” (1.06) e poi “Il pezzo mancante” (1.08), e rappresentato qui sia in modo allegorico che nell’effettiva discussione fra le parti, è un tema sempreverde che si presta anche a una declinazione di gender (con l’Impero nel ruolo del patriarcato) visto il genere sessuale dei protagonisti, ma che non si limita sicuramente a quella lettura. Sebbene “l’assenza di anima” dell’immutabile mi abbia lasciata perplessa (un clone è comunque un essere separato, perché non conta solo la genetica), si è fatta una bella apologia del valore e del senso del cambiamento.

Questa epopea sci-fi si prende molto sul serio, e sarebbe ideale che riuscisse a trovare una modalità per alleggerire in parte il proprio tono, pur mantenendo la gravitas necessaria, ma alla fine personalmente preferisco così piuttosto che scada nell’umorismo adolescenziale a cui ricorrono molte produzioni di azione e avventura. L’autore ha lanciato il progetto dichiarandosi pronto a svolgerlo per 80 puntate e il budget investito è indubbiamente alto valori produttivi ed  effetti speciali sono notevoli. Intanto c’è stato il rinnovo per una seconda stagione, e io intendo di certo proseguire nella visione.

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