venerdì 26 agosto 2022

QUEER AS FOLK - 2022: deludente

Con rammarico devo ammettere che proprio non mi è piaciuta la nuova incarnazione di Queer As Folk. Premetto che sono una grande estimatrice della serie britannica (Channel4) originaria del 1999, ideata da Russell T Davies, per me un vero capolavoro del piccolo schermo, e ho amato molto anche il remake americano (Showtime, 2000-2005) su entrambe ho scritto estensivamente, anche una guida ai singoli episodi proprio in questo blog (parte qui), oltre che saggi (qui e qui) e comprendo anche bene e apprezzo quello che rappresenta, ma il primo pensiero che ho avuto guardando questo reboot firmato da Stephen Dunn è che senso avesse presentarsi sotto l’etichetta di Queer as Folk, perché l’unica vera funzione che ci ho visto io, al di là di vaghi richiami e riferimenti (il Babylon, la macchina che esplode, il parto nel pilot, Nathan e Canal Street e Manchester nella season finale…), è quella di avere un “avviamento”, ovvero in un ambiente saturo di proposte fra le quali è difficile emergere, avere il vantaggio di essere scoperti più facilmente grazie al traino di un marchio di successo.

Brodie Beaumont (Devin Way) lascia la facoltà di medicina per tornarsene a New Orleans, dove vivono i genitori Brenda (Kim Cattrall, Sex and the city) e Winston (Ed Begley Jr), e il fratello Julian (Ryan O’Connell). Spera di poter riallacciare i legami con il suo ex, Noah (Johnny Sibilly), un avvocato. Si reca per una serata al Babylon e la notte in cui si verifica una sparatoria si prende una pallottola al braccio per salvare Mingus (Fin Argus). Quest’ultimo è un ragazzo adolescente non-binario che frequenta ancora il liceo, che aspirano (vogliono il pronome plurale) ad esibirsi come drag queen (belle le sue performance - in particolare quella in 1.07), cosa che facevano proprio quella sera al locale, incoraggiati dalla madre Judy (Juliette Lewis, Yellowjackets). Quella stessa sera Shar, a cui Brodie ha donato il suo sperma, in quanto è la compagna della sua migliore amica Ruthie, partoriscono (Shar è non binaria e pure loro vogliono i pronomi plurali) due gemelli. Ruthie insegna lettere in un liceo, e fa i suoi allievi c’è Mingus.  

Concedo due aspetti apprezzabili a questa versione, che sono nello spirito originario. La serie ha sempre voluto mostrare gay che non si scusano per quello che sono, ma vivono la propria vita a dispetto di tutto. Questo aspetto è stato preservato. Sono passati molti anni dalla prima “edizione” e la realtà è cambiata molto, sia in termini di accettazione sociale condivisa della realtà omosessuale sia anche solo per la tecnologia, con quello che comporta in termini di socializzazione, ma le sfide da vincere sono ancora molte e quello che conta rimane sempre la realtà umana. Anche se, ammetto, certi comportanti a me non sono sembrati tanto rivendicare il diritto a essere se stessi nel mondo, come li hanno proposti, quando cattiva educazione (penso specificatamente a Shar e Brodie a cena fuori per il proprio anniversario).

L’altro elemento significativo è che QAF aveva saputo mostrare realtà che non si erano mai viste prima. Ab origine era vedere un uomo adulto avere una relazione omosessuale con un ragazzo della metà dei suoi anni (con le problematiche del consenso). La versione americana esordiva dicendo che tutto ruota intorno al sesso. Qui ho riso quando ho visto che quando appare la schermata che dice che si tratta di una serie originale del canale televisivo Peacock, aggiungono poi la sottolineatura a “cock” (che è “cazzo” in inglese), però il sesso non è altrettantro centrale, si direbbe. Si è scelto in ogni caso di mostrarlo in termini che io personalmente non avevo mai visto, e lo applaudo. Intanto attraverso Ruthie, un personaggio trans. So bene che non è il caso di chiedere come “siano fatte” le persone, che non è appropriato e non sono affari nostri, allo stesso mi rendo conto di non avere tutta questa esposizione, e come me immagino altri, a corpi che hanno sia caratteristiche sessuali femminili che maschili, come è il caso di Jesse James Keitel, che interpreta Ruthie, che vediamo nell’intimità con la sua compagna Shar (CG). Penso che sia importante averla invece questa esposizione, proprio perché quei corpi fanno parte delle naturali declinazioni in cui si presenta l’essere umano. Sotto questo profilo apprezzo che abbiamo mostrato il personaggio nella sua nudità (1.02) nel fare sesso. Per me è stato significativo. Lo stesso dicasi per Marvi (Eric Graise), che, amputato, si muove sulla sedia a rotelle: fuori dalla serie Ramy, quando mai si vedono esplorate le esigenze sessuali dei personaggi con disabilità? Qui lo vediamo copulare, con le sue gambe a moncherino ben visibili: non credo di averlo mai visto prima. Necessario. E lo stesso dicasi ancora per Julian, un personaggio con CP, paralisi cerebrale. La serie, che ha anche una buona iniezione di Pose - e l'interpretazione di Armand Fields ha reso Bussey uno dei personaggi più umani -, è davvero inclusiva e mostra i vari colori dell’arcobaleno.

Peccato per tutto il resto: abrasiva, cringy, attivamente sgradevole, eccessiva solo per esserlo (Vogliamo parlare dell'atroce cena in 1.07?). Non sono nemmeno del tutto convinta della scelta di debuttare con un evento che ha colpito molto la coscienza collettiva: una sparatoria al nightclub queer frequentato dagli amici. Certo è un buon punto di partenza per mostrare la vulnerabilità di queste persone, e come la affrontano come comunità. Il tema delle conseguenze di aver vissuto un evento traumatico come un attacco armato, e il lutto, non mi è dispiaciuto. Allo stesso tempo, per noi che non conosciamo per nulla i personaggi, l’impatto emotivo è molto limitato. Muore spoiler minore Daddius (Chris Renfro), che era il ragazzo di uno dei protagonisti, ma noi alla sua dipartita diciamo “chi?”, a mala pena ricordiamo chi era, non esattamente il migliore dei traini. Siamo a New Orleans, ma anche qui, la città è usata male. Non basta mostrare due carri al Mardi Gras per trasmettere lo spirito di una città che ho sempre sentito dire essere gay-friendly. Penso a una serie strepitosa come Treme, e qui a paragone per me la città è completamente assente. Ammetto che qualche perplessità l’ho avuta anche su come viene ritratto l’essere genitori, soprattutto da parte delle neomamme, anche se a seguire la storia fino alla fine si dà anche un senso. La droga poi è sempre stato un leit motiv anche nelle versioni precedenti, ma qui sembra trattata un po' troppo allegramente.

Non scoraggerei nessuno a guardare questa nuova versione di Queer As Folk, ma se venisse rinnovata per una seconda stagione non credo che la seguirei. È stata una delusione.

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