lunedì 25 luglio 2011

TREME: osservazioni sullo stile narrativo


!Spoiler della seconda stagione!

Guardando la seconda stagione di Treme mi vengono da fare alcune osservazioni sullo stile narrativo generale del programma. Jennifer Amstrong su Entertainment Weekly (6 maggio 2011) scrive:

“Bisogna dar credito allo stile a combustione lenta di cui sono stati pionieri trionfi della HBO come I Soprano o The Wire per la deliziosa gamma di sensuali piaceri in offerta nella seconda stagione del drama in onda sul quel canale, Treme, sulla New Orleans post-Katrina. Gli ideatori David Simon e Eric Overmyer approfittano in pieno della relazione di fiducia che hanno costruito con gli spettatori, che possono mettersi comodi e lasciare che i tentacolari fili delle storie della serie aleggino sopra di loro senza preoccuparsi di dove stanno andando. È il raro genere di programma che migliora più sta a stufare nel suo sugo.
Questo grazie alla gamma di sentimenti ed esperienze in cui si crogiola – la musica, il cibo, il sesso, l’amore, la brutalità, la guarigione, la redenzione.”

Treme ha uno stile tutto suo, lento, apparentemente casuale e minimo che ti trascina senza che tu nemmeno te ne accorga. Non è per tutti. Mi pare di poter enucleare tre modalità in cui la narrazione si costruisce, tre echi del modo in cui concepisce la scrittura e la rappresentazione di uno stato d’animo, prima ancora che di vite.

IL CIELO È INDIFFERENTE

C’è innanzitutto quella che chiamerei una scrittura in cui “il cielo è indifferente”. Dopo la tragedia dell’uragano la vita riprende, e ci sono eventi strazianti come gioiosi, ma hanno tutti lo stesso valore e la stessa dignità sotto il cielo della città. Penso alla storia dell’aggressione e stupro (2.03) a LaDonna (Khandi Alexander) da parte di due ragazzi. Ho visto molte storie di stupro negli anni in TV e questa è riuscita ad essere tanto originale quanto potente: la sfilza di pillole che LaDonna deve prendere da bicchierini di plastica (contro ogni possibile malattia sessualmente trasmissibile, per prevenire il rischio di HIV, contro un  possibile gravidanza), e come i medici riescono abilmente a proteggere la sua privacy eludendo il marito che è ignaro di tutto (2.03); il suo sguardo terrorizzato a fine puntata  dopo che ha  appena finito di dire che sta bene (2.03); il suo sguardo perso nel vuoto e il pesante silenzio della sua casa, nei pochi secondi in cui la mostrano, mente tutto fuori è festa per il Natale (2.04); la sua difficoltà  a passare in mezzo alla gente per portare le birre ai clienti, e il suo successivo vomitare, lasciare il locale e rimanere a letto tutto il giorno (2.05)… C’è chi, come Salon, ha ne ha criticato la rappresentazione dicendo che un evento tanto atroce doveva avere più spazio e preponderanza. Il fatto che questa storia sia fatta di frammenti intramezzati da mille altri frammenti di vite ed esperienze differenti è una scelta estetica ben precisa. La violenza (di cui vediamo solo l’inizio e comunque non la parte sessuale) è uno dei tanti eventi comuni nella vita della città. Il tema della puntata dell’aggressione (2.03) è stato molto sulla sicurezza - anche Janette (Kim Dickens) è costretta a tornare momentaneamente a casa da New York perché sono entrati in casa sua e hanno fatto del vandalismo. Quello che è capitato a LaDonna poteva capitare a Janette magari, ma è successo così. È un momento intenso e catastrofico nella vita di una persona, ma giusto uno dei tanti eventi significativi e insignificanti di un’altra giornata sotto il cielo della terra che gira. E questa è una specifica caratteristica di scrittura.

IN THE MOMENT – NEL MOMENTO PRESENTE

La serie potremmo dire che è declinata al presente: è perennemente “in the moment”, nell’hic at nunc. Antoine Batiste (Wendell Pierce) fa questa osservazione sul jazz, in classe con dei ragazzi (2.06). Dice che è un tipo di musica che fa dell’improvvisazione la sua forza, che è nei geni, che è qualcosa che ha inventato New Orleans. Nell’esprimere la città, perciò, ha senso che la narrativa ricalchi le caratteristiche estetiche della musica che tanto ne costruisce l’identità, anche proprio perché il soggetto del ritratto è prevalentemente la città.

PERSONAGGI SCOLLEGATI

Robert Lloyd sul Los Angeles Times scrive: “Ogni città ha il suo proprio singolare carattere – chiedete solo a Minneapolis di St. Paul – ma non c’è forse nessuna città americana così singolarmente singolare, così ostinatamente esotica, così attaccata alla suo essere diversa come New Orleans, quella piccola cosmopoli funky posta in una conca fra il lago Pontchartrain e il fiume Mississippi. Una città in degrado con un’economia turistica, bloccata nel tempo e fuori dal tempo, conservatrice e anarchica, vulnerabile e violenta, è la City That Care Forgot (la Città che l’Aver Cura ha Dimenticato) ma a volte anche la Città Che Si Dimentica di Aver Cura”. La città è proprio la vera protagonista (e il titolo dovrebbe renderlo chiaro dato che si tratta proprio di un quartiere della città). E il modo cui questo è reso è molto particolare. Solitamente, anche nelle serie dove i cast sono molto ampi, i personaggi sono collegati fra loro. Non qui. Salvo piccoli gruppi, i personaggi si muovono su binari autonomi, ignari gli uni delle vite degli altri. Non si conoscono nemmeno, in molti casi. Le vite sono vissute le une a fianco delle altre, e magari in qualche momento si intersecano o scorrono parallele, ma non sono un unicum su uno sfondo, sono scollegate. E proprio per questa ragione, lo sfondo riesce a prevalere e assume un’identità propria.

Treme e New Orleans sono una sensibilità, un’attitude nei confronti della vita, e il modo in cui la serie è costruita è il modo in cui ne facciamo esperienza in prima persona.

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