Wednesday, o se preferite Mercoledì, la rivisitazione per Netflix ad opera di Tim Burton del noto personaggio, è
diventato un successo istantaneo, già un culto, ed è facile capire il perché: è
un sapiente cocktail che miscela umorismo macabro, rivalità e riti di passaggio
adolescenziali, mistero e investigazione che incrocia Nancy Drew a Stranger Things, con un pizzichino di Riverdale e una spruzzata di Buffy, sullo sfondo di un look che
mescola l’attuale trend per l’estetica dark-academia e studenti con poteri
sovrannaturali alla Harry Potter, pure
inseriti in un simile contesto scolastico e di corpo docenti, con un’eroina
sicura di sé, ma in fondo vulnerabile, che sardonicamente enuncia battute
graffianti. In più è ancorata a un cult della TV, e lo reinterpreta dando anche
letture nuove ad elementi ricorsivi ben noti, come lo schioccare delle dita che
i protagonisti fanno nella sigla originaria. Godibilissimo.
Mercoledì Addams - una
Jenna Ortega che in questo ruolo non viene mai vista battere le ciglia, cosa
che ne aumenta l’aria vagamente inquietante, e che si merita tutti gli applausi
che sta ricevendo per la sua memorabile iconica interpretazione – viene espulsa
da scuola per aver liberato dei piraña in una piscina della scuola, piena di
compagni, che avevano maltrattato suo fratello minore, Pugsley. È ormai l’ottava scuola da
cui viene cacciata e i genitori, la madre Morticia (Catherine Zeta-Jones) e il
padre Gomez (Luis Guzmán), decidono di iscriverla nella loro alma mater, la
Nevermore Academy (nome che è un riferimento ad Edgar Allan Poe), che accoglie
emarginati di ogni genere, vampiri, lupi mannari, gorgoni, sirene, e persone
con poteri particolari, come ad esempio Xavier (Percy Hynes White ), che ha il
potere di far vivere la propria arte (se disegna un ragno, questo può animarsi
e uscire dal figlio) o Eugene Otinger (Moosa Mostafa) che ha il potere di
controllare le api…
La preside Weems
(Gwendoline Christie, Il Trono di Spade),
ex-allieva della scuola nonché vecchia compagna di Morticia, la accoglie con
entusiasmo e Mercoledì, pur contro la sua volontà, si vede costretta a
frequentare la scuola e a frequentare sedute di psicoterapia con la dottoressa
Valerie Kinbott (Riki Lindhome, del duo comico Garfunkel and Oates). Punto di
riferimento adulto per ogni necessità è la “normie”, come chiamano i “normali”,
Marilyn Thornhill (Christina Ricci, che ricordiamo ha interpretato lei stessa
Mercoledì nel film La Famiglia Addams
degli anni ‘90), insegnante di botanica. A “vegliare” su di lei c’è in ogni
caso Mano (Thing in originale, Victor Dorobantu), una mano senziente che riesce
a vedere e comunicare con lei. Anche zio Fester fa una comparsata (1.07) – e chi
avrebbe detto che Fred Armisen (Portlandia) sarebbe stato così perfetto per la
parte?
La giovane Addams, che accompagna
il look gotico e un atteggiamento nichilista a un broncio d’ordinanza, si vede pure
costretta a dividere la sua stanza con la gioiosa, radiosa, sorridente e coloratissima
Enid (Emma Myers), una licantropa, che ha una cotta per un gorgone, Ajax
(Georgie Farmer), che cerca comunque di farsela amica. Raccoglie immediatamente
la dichiarata rivalità di una sirena, Bianca Barclay (Joy Sunday), brillante
studentessa. Mercoledì scopre di avere il potere psichico di visioni del
passato e del futuro, che la colgono all’improvviso, senza che lei possa
controllarlo o prevederlo. Un compagno di classe viene ucciso da una misteriosa
creatura e lei indaga, nonostante questo le attiri l’ostilità dello sceriffo
Donovan Galpin (Jamie McShane) della Jericho, la cittadina del Vermont dove si
trova la scuola. Il figlio di lui, Tyler (Hunter Doohan), che non ha un buon
rapporto col padre, e lavora al locale coffee shop, dimostra un interesse per
lei.
Se dalla seconda puntata
ne ho capito lo spirito, il pilot non mi aveva troppo entusiasmata, devo
ammettere. Mi ha preso in contropiede perché trovavo la protagonista spocchiosa
e che si reputava superiore agli altri (cosa che lei esplicitamente in seguito
dice di non sentirsi), e non gradivo il disprezzo che dimostrava nei confronti dei
compagni: non trovavo affatto divertenti le battute dirette a ferirli. Non ci
ho visto nemmeno sadismo, solo noia. Non
sono mancati i detrattori in generale, che hanno accusato Netflix di aver
confezionato un prodotto troppo alla CW, ovvero una classica storiella
adolescenziale, solo decorativamente gotica, poco realistica e prevedibile,
incapace di staccarsi dai classici tropi delle rivalità scolastiche,
rivelazioni sul passato dei genitori e indecisioni romantiche, e di sguazzare
in modo derivativo in quei cliché tribali dell’adolescenza a cui la
protagonista dice di non essere interessata. Non basta darle qualche tratto
autistico, renderla asociale e non farle volere un cellulare per renderla anticonvenzionale.
Parte delle critiche a
questa creazione di Alfred Gough e Miles Millar (entrambi già ideatori di Smallville) hanno fondamento, ma in
realtà la serie funziona ugualmente, e in parte anche perché dietro alle risate
che l’eccesso di impassibilità, il gusto per il macabro e le battute taglienti garantiscono
– se guardi gli Addams non è il realismo dei dialoghi che cerchi - si vede
comunque una persona che si percepisce come diversa, e che non ha timore di
mostrarlo, come celebra la gloriosa scena di ballo alla festa della scuola in
“Woe what a Night” (1.04) ormai diventata virale: è un inno alla propria
bizzarra individualità e indubbiamente una delle scene televisive memorabili
dell’anno.
Intrattenimento YA creepy mortalmente gustoso.
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