Rolin Jones, ideatore di Intervista col Vampiro (Interview with the Vampire. AMC, inedito
in Italia), tratto dall’omonimo romanzo del 1976 della recentemente scomparsa
Anne Rice, ha messo a fuoco in modo eccellente nello speciale di backstage
della serie che cosa differenzia questa saga di vampiri dalle altre:
l’attenzione non va ai poteri che hanno (che peraltro qui sono piuttosto
classici), ma di sottofondo c’è il tema del fardello dell’esistenza e di come
resistere, che cosa l’accumulo dei lutti e delle perdite e dei rimpianti
provocano all’animo, e che cosa si fa per rialzarsi e per sopravvivere.
L’autrice avrebbe scritto il romanzo in risposta alla morte della figlia, e gli
autori hanno cercato di attenersi rigorosamente allo spirito del materiale
ricreato, mostrando quello a cui i protagonisti rinunciano nella loro nuova
vita e la solitudine e il vuoto che comporta anche quando sono in compagnia di
qualcuno.
Siamo ai giorni nostri. Louis
de Pointe du Lac (Jacob Anderson, Verme Grigio de Il Trono di Spade) si offre di essere intervistato, nel suo
lussuoso appartamento di Dubai dove viene seguito dal suo assistente Rashid (Assad
Zaman), da un giornalista che già aveva incontrato in passato e che aveva
provato ad intervistarlo decine di anni prima, Daniel Molloy (Eric Bogosian),
che ha una illustre carriera alle spalle, ma è ormai malato. Gli racconta di
come negli anni ’10 del Ventesimo secolo abbia incontrato a New Orleans – un
setting d’atmosfera che ha un ruolo di rilievo - il vampiro Lestat de Lioncourt
(Sam Reid), arrogante, testardo, violento, snob, carismatico, manipolatorio, interessato
solo a nutrire i propri molteplici appetiti. È stato “il mio assassino,
il mio mentore, il amante, il mio creatore”, spiega, e insieme hanno formato
una famiglia, anche poi con la giovane Claudia (Bailey Bass) che viene
“trasformata” a soli 14 anni (crescendola così rispetto al libro) per salvarla
da morte certa, una specie di figlia per loro. La lusinga della vita che spetta
loro è una promessa che è in sè stessa anche una tragedia.
Per ricordare “Buffy”, il
sottotesto è diventato rapidamente testo: alcune delle tematiche metaforiche
classiche di queste narrazioni, segnatamente l’omosessualità, qui viene resa
molto esplicita (ma era invece stata esclusa nella versione cinematografica con
Tom Cruise e Brad Pitt) e non solo negli intrecci del plot, ma perfino dalle
stesse parole del giornalista che vi vede il campo di interesse dei “queer
theorists”; e in modo più pregnante di quanto non abbia visto altrove, si
affronta in modo diretto l’argomento dell’abuso domestico, con tanto di trigger warning all’esordio di alcune puntate.
E poi il razzismo, con un Louis nero che vive in un Sud di inizio del XX
secolo, il potere, il fascino intossicante che ha, i limiti che ci si impone o
autoimpone, l’amore, la seduzione, l’invecchiare rimanendo in un corpo che non
muta, la cultura, i desideri (la mente umana si riduce a “voglio cibo, voglio
sesso, voglio andare a casa”, come sostiene Lestat?) e l’appagamento (essere il
killer di qualcuno è la soddisfazione di essere la fine della vita di
qualcuno?), l’autodistruzione, la realizzazione dei sé, mortalità e
immortalità, i mores…
Pregnante è il tema del
ricordo: “La memoria è un mostro. Noi dimentichiamo, lei no” (1.02). Qui,
riportare a galla i ricordi è inteso come odissea, come viaggio, come “ricostruzione”.
È una
confessione, una performance quella che mette in atto Louis davanti a Daniel? Si
tratta di un modo per arrivare alla verità? Che valore ha ricordare? Ricordare
è giudicare, condannare o assolvere?
La serie è carnale,
intensa, ferale anche (la caccia, le uccisioni). C’è il sangue, molto sangue. E
nota acutamente The
Daily Beast “(q)uesta Intervista
è anche intelligente con il suo umorismo. È quasi come se la serie strizzasse
l'occhio al nostro rapporto decennale con questi personaggi. La queerness di Louis e Lestat è presa sul
serio, ma allo stesso tempo - e visto quanto a lungo molti fan hanno aspettato
che la sessualità fosse così esplicita - ha un senso dell'umorismo anche per
quanto riguarda la manifesta sensualità gay.
Il desiderio di essere
"prosciugato", ad esempio, porta con sé certamente una nuova
connotazione in questa serie. Quando Lestat converte Louis e lo porta per la
prima volta nella sua bara, gli dice sfacciatamente: "Puoi stare
sopra". E quale sottotesto più grande ci può essere dell'essere in the closet se non quello di essere
nella bara?”
Non solo le performance sono
di prim’ordine, ma la ricostruzione dei set (che evita i soliti stilemi del
genere, ad esempio un ricorrere a rosso e nero), i costumi, i valori produttivi
tutti sono ineccepibili. La season finale
è un po’ sospesa, ma la serie è stata già rinnovata per una seconda stagione.
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