Le ipotesi distopiche di Black Mirror, che hanno di regola come
punto focale la tecnologia e i media, sono riprese dopo quattro anni di assenza
con una sesta stagione che comincia con un debutto molto solido, ma poi vira
indubbiamente verso un Red Mirror.
Ovvero, se tradizionalmente la serie fa riferimento al display nero di quando spegniamo
gli schermi (siano della TV, del PC, del tablet, del cellulare o quant’altro)
in cui vediamo riflessi come in uno specchio noi stessi, nella gran parte degli
episodi di questa tranche, si vira invece decisamente verso l’horror, un orrore
che non fa veramente paura, ma che è decisamente truculento, rosso sangue, appunto
un Red Mirror. ATTENZIONE SPOILER
La prima delle nuove
puntate, “Joan is awful – Joan è terribile” (6.01), si concentra su una giovane
donna, la Joan del titolo (Annie Murphy, Schitt’s
Creek) che si rende conto che, a stretto giro, la sua vita viene mandata in
onda dal servizio Streamberry – Netflix che si prende con autoironia -
ricostruita da un quamcomputer (un computer quantistico), solo in modo tale da
accentuare il più possibile i suoi tratti in modo da farla sembrare davvero una
persona orribile. Ad interpretarla nella finzione è Salma Hayek. Alla nausea e
allo shock momentanei prende posto il senso si rivalsa e giustizia. Oltre alla
riflessione sull’”orrore mesmerizzante” che attira il pubblico, e che almeno da tre
delle puntate sembra un leit motiv della stagione, si riflette su ciò che è
reale e ciò che non lo è, e sullo sfruttamento dell’immagine delle persone: Joan
è una persona qualunque, ma qualcuno a cui la gente può relazionarsi. C’è più
di un colpo di scena inaspettato, anche in considerazione del fatto che queste
anime simulate dal computer si considerano reali, e la tensione è sempre al
massimo. Non voglio rivelare di più se non dicendo che diventa un concettuale mise-en-abyme.
La migliore delle puntate di questo gruppo.
La seconda delle proposte,
“Loch Henry” (6.02), vede una giovane coppia, Davis (Samuel Blenkin) e Pia (Myhala
Herrold, Industry) recarsi in Scozia
per girare un documentario. Volevano farlo su un guardiano di uova rare, ma
finiscono per farlo su un locale serial killer torturatore, Iain Adair. Ne esce
una sorta di horror anche piuttosto prevedibile, ma la riflessione è su quello
che attiva lo spettatore, su quello che la gente guarda (non un protettore di
uova, ma un torturatore) e su come l’industria premi questo genere di
operazioni, spacciandole per arte, e curandole come tale, ma con totale
disinteresse nei confronti della realtà umana che ci sta sotto. E nel corso di
una fittizia diegetica premiazione ai BAFTA (premio TV britannico) si fa anche una strizzatina
d’occhio a puntate precedenti della serie, menzionando fra i documentari un
certo “The Callow Years”, dove Callow era il sindaco protagonista della
primissima puntata di Black Mirror, e
un certo “Junipero Dreaming” riferimento all’amato episodio di San Junipero
(3.04). Per gli Easter egg della stagione, si veda questo
articolo di Entertainment Weekly.
Una fine horror, che
lascia francamente sconcertati, è anche quella di “Beyond the Sea” (6.03), dove
due astronauti Cliff (Aaron Paul, Breaking
Bad) e David (Josh Hartnett), bloccati nello spazio per anni, riescono a
tornare sulla terra con le proprie famiglie grazie a repliche meccaniche dei
loro corpi. Quando degli estremisti contrari a questa tecnologia uccidono la famiglia
di David e gli distruggono il corpo meccanico, il compagno Cliff gli offre
generosamente di usare il link al proprio corpo meccanico per avere un po’ di
tregua dal lavoro. Così conosce la moglie di lui, Lana (Kate Mara). Prevedibilmente
la situazione prende una brutta piega, ma con una conclusione diversa da quella
che ci sia sarebbe aspettati, o che almeno io mi sarei aspettata.
Ancora la nostra
ossessione per le celebrità e i dettagli più scabrosi e torbidi delle loro vite
è davanti all’obiettivo in “Mazey Day”, dove l’attrice che porta il nome che dà
il titolo all’episodio (Clara Rugaard), dopo un omicidio stradale non
confessato, sparisce dalla scena pubblica e un gruppo di amorali paparazzi
fanno di tutto per scattare la foto scoop. E se le ultime inquadrature sono
l’essenza delle serie e di quell’orrore mesmerizzante che si menziona in
apertura, con la fotografa Bo (Zazie Beetz) che scatta qualcosa che sta alla
nostra immaginazione vedere quel che ben intuisce, il twist qui c’è nello
svolgimento all’insegna dell’horror sovrannaturale, con la diva che si dimostra
essere una licantropa, scelta che non sono sicura di gradire in questo
contesto.
L’apice di questa tendenza
lo abbiamo nella conclusiva “Demon 79”, dove un simpatico demone (Paapa
Essiedu), che deve completare la sua iniziazione e “mettere le ali”, e che si
manifesta attraverso una tessera del domino, convince una commessa indiana,
Nida (Aniana Vasan), che nella vita quotidiana subisce costanti
micro-aggressioni, a uccidere 3 persone per scongiurare la fine del mondo, che,
colpo di scena, visto che lei non porta a termine il suo compito, arriva
davvero. L’episodio, l’unico che non sia stato scritto solo dall’autore Charlie
Brooker, ma anche da Bisha K. Ali, che affronta tematiche di razzismo,
xenofobia e atteggiamenti fascisti ostili alle minoranze, è pieno di rabbia e
tende decisamente allo splatter. Ambientata nel 1979, ha proprio negli opening credits l’indicazione che si
tratta di un episodio Red Mirror.
Ispirata a The Twilight Zone - Ai Confini della Realtà, Black Mirror ha sempre indagato il lato oscuro della tecnologia, abitando il confine “fra piacere e disagio” come ha detto a suo tempo l’ideatore a The Guardian (qui). Sebbene continui ad offrire in ogni caso spunti di riflessione attuali e pregnanti anche con questa tangente “rossa”, un approccio più “tradizionale” lo preferisco
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