"Non sappiamo perché
siamo qui. Non sappiamo chi ha costruito il silo. Non sappiamo perché tutto ciò
che è fuori dal silo è così com'è. Non sappiamo quando sarà sicuro uscire.
Sappiamo solo che quel giorno non è oggi". Viene ripetuto più volte, quasi
un mantra, questo ricorsivo epigramma che gli abitanti del Silo della omonima serie distopica di AppleTV+ conoscono a memoria.
È ideata
da Graham Yost (Justified) e basata
sulla La Trilogia del Silo, nove
romanzi dell'autore Hugh Howey. Ha debuttato lo scorso 5 maggio 2023 ed ha
appena chiusa la sua coinvolgente prima stagione con una season finale appagante, ma alo stesso tempo intrigante a
sufficienza da lasciare sete per una già confermata seconda stagione. Sin
dall’esordio è molto appassionante, una serie che sa quello che è e dove vuole
andare e non perde tempo, asciutta, efficace, di grande atmosfera. La sigla,
soprattutto musicalmente parlando, richiama Westworld,
ed è uno spettacolo in sé con i suoi giochi di spirali, scale a chiocciola, e
rimandi al DNA, alla spina dorsale e al generatore che sostiene la vita della
comunità ritratta.
Siamo in un futuro
imprecisato e la gente vive in un bunker sotterraneo, il silo del titolo, da
cui non ha la possibilità di uscire a meno che non lo chieda espressamente. In
quel caso, se proprio dice ad alta voce “Voglio uscire”, non può più ritirarlo,
diventa irrevocabile, la persona viene arrestata ed espulsa, cosa che equivale
ad un suicidio, perché la vita fuori è invivibile. Ma lo è davvero? Viene
chiesto a queste persone, debitamente preparate con un apposito abbigliamento
stile “astronauta”, di pulire una volta uscite il vetro degli oblò delle
vetrate da cui la comunità che abbandonano riesce a guardare fuori e che
mostrano una terra invivibile, e gli eventuali cadaveri di chi è uscito. Non
sono però obbligati a farlo. Se si deve eliminare qualcuno dalla comunità in
ogni caso, lo si manda “a pulire”, come dicono in gergo.
Agli inizi della storia si
festeggia il 140° anniversario del Giorno della Libertà, il giorno in cui fu
sedata una ribellione che minacciava di aprire le porte del silo al mondo
esterno, durante la quale sono stati distrutti tutti i file e i libri
appartenenti al mondo passato. Quello
che è stato prima non si sa, si conosce solo attraverso “reliquie”, oggetti del
mondo passato, ammessi solo se legali. I livelli del silo sono numerosissimi e
tutta la vita è regolata da ferree regole sotto il controllo del Giudiziario. La
serie debutta con lo sceriffo Holston (David Oyelowo) che chiede di poter
uscire. Tempo prima lo aveva fatto la moglie Allison (Rashida Jones), convinta
che fuori non fosse così invivibile come dicevano, a seguito della scoperta di
alcuni file e, pur avendo ricevuto l’autorizzazione a rimanere incinta,
sospettosa del fatto che i loro problemi di fertilità non fossero dovuti a
loro. George, l’esperto di computer con cui Alison aveva fatto queste scoperte,
viene trovato ucciso, e Juliette (Rebecca Ferguson, anche produttrice
esecutiva), che era la sua ragazza (con cui aveva una relazione, anche se non
autorizzata), è convinta che non sia un suicidio come vogliono far credere. Lei
è un’ingegnera da cui dipende il buon funzionamento del motore che tiene in
vita il silo e George l’aveva messa a parte di alcune scoperte.
Presto si sente in dovere
di accettare una proposta che le arriva dalla sindaca Ruth (Geraldine James, Anne with and E) e diventerà lei la
nuova sceriffa, incarico che accetta per poter meglio indagare. Viene
affiancata nel suo ruolo da Paul Billings (Chinaza Uche), vero esperto del
Patto, il documento che regola la vita nel loro microcosmo, e affetto dalla
"sindrome", una condizione medica che provoca tremori che vuole
tenere nascosta. Juliette finirà per scontrarsi con Robert Sims (Common) il minaccioso
capo della sicurezza, e con Bernard Holland (Tim Robbins), a capo del
Dipartimento IT. Trova invece degli alleati, anche se in qualche caso
riluttantemente, in Patrick Kennedy (Rick Gomez), un rustico addetto alla
manutenzione ed ex contrabbandiere di "reliquie", e nel timido Lukas
Kyle (Avi Nash), un esperto di tecnologia che per primo le fa notare che nel
cielo ci sono dei puntini luminosi, anche se nessuno dei due sa che cosa
possano essere. Juliette scoprirà che le cose non sono come sembrano. E lo
scopriamo anche noi. È separata dal padre, il dottor Pete Nichols (Iain Glen, Il Trono di Spade) da quando era
ragazzina, e ad avere nei suoi confronti un ruolo genitoriale e farle da
confidente è “Walk”, ovvero Martha Walker (Harriet Walter, Succession) esperta di ingegneria elettrica che gestisce
un'officina nei livelli inferiori del Silo da cui non esce letteralmente mai.
Con grande atmosfera, e
un’illuminazione di primordine che impedisce che ci sia la sensazione di
claustrofobia nonostante di svolga in sotterraneo, questa distopia procede lla
creazione di un mondo istantaneo. Il world
building avviene senza spiegoni o complicanze e riesce ad essere
dettagliato e a fornire i punti di riferimento essenziali per muoversi con
agilità in quel contesto, come il fatto che i vari piani del silo, oltre 100 e
privi di ascensore, si portano dietro anche differenze di classe (più
socialmente importante sei percepito, più stai in altro). Le tematiche che si
toccano sono legate alle divisioni sociali, al potere delle informazioni e come
vengono usate o tenute nascoste per il controllo sociale, all’autoritarismo,
alla nascita di teorie di cospirazione, alle menzogne del potere, al valore del
vedere (il panottico che è il silo, in cui tutti vengono controllati anche
senza saperlo, quello che si vede fuori, le immagini del mondo di prima), il
ruolo della memoria… Come scrive Lucy
Mangan sul Guardian, è uno studio
sulla cancellazione e su chi può scrivere e riscrivere la storia e tratta anche
dei vantaggi e degli svantaggi che si incrociano e competono di sapere la
verità o di negarla, sia per l'individuo e per la collettività; un ruolo di
rilievo lo hanno anche un paio di donne anziane (la sindaca e Walk), cosa rara
e preziosa da vedere, che ho apprezzato.
Si tratta di un drama fantascientifico ibridato con una storia da detective, uno di quegli appuntamenti a cui non vedi l’ora di concederti non appena esce il nuovo episodio. Le prime due puntate in particolare sono uno dei debutti migliori dell’anno, con la terza c’è forse un calo perché ci si focalizza sulle indagini, ma non c’è un momento di stanca, la trama si infittisce e ti trascina fino alla fine. Per me indubbiamente una dei programmi migliori dell’anno.
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