Beef,
divenuto “Lo scontro” in italiano, è una serie rivelazione in 10 puntate che
conto io stessa già fra le migliori dell’anno: esplora il tema della rabbia,
dalla scintilla di uno scontro di road
rage, come viene chiamato in inglese, ovvero di una schermaglia stradale
che lancia i due coinvolti in una spirale di ritorsioni e vendette che va fuori
controllo, fino a un finale spettacolare, profondo, divertente e un
“arrendersi” esistenziale che mostra i due contendenti più vicini l’uno
all’altra di quanto non ci si sarebbe aspettati. Se al debutto ho percepito questa
dark comedy come fastidiosa più che divertente, perché l’amarezza di due
persone che sfogavano la propria infelicità e frustrazione cercando di
distruggersi a vicenda era più dolorosa e demoralizzante che esilarante, a mano
a mano che le motivazioni di entrambi si sono rilevate e la loro umanità si è
mostrata come tridimensionale ha brillato sempre più, ed è stato catartico l’eccesso in cui sono arrivati i loro
comportamenti squilibrati, nel memorabile, emotivamente coinvolgente
finale.
Amy Lau (Ali Wong) è una ricca
donna d’affari di origine coreana che gestisce Kōyōhaus un’attività di vendita di
piante, e sta per concludere un importante affare con Jordan (Maria Bello), che
ha uno store di articoli per la casa, Forsters. È sposata con un
giapponese, George (Joseph Lee), uno pseudo-artista che crea vasi e che nessuno
prende sul serio, nemmeno la madre Fumi (Patti Yasutake), e con lui ha una
figlia. Il loro rapporto però è un po’ in crisi. Lei è sempre con i nervi a
fior di pelle, lui è un tipo sempre ultra-positivo. David Cho (Steven Yeun, The Walking Dead), pure di origine
coreana, è un appaltatore in bolletta che si arrangia con i lavoretti che
riesce a trovare per sbarcare il lunario e sogna di costruire una bella casa
per i propri genitori, costretti a tornare in Corea dopo il fallimento della
loro attività come manager di motel. Ha un fratello più giovane, Paul (Young
Mazino), che passa il tempo a giocare ai videogiochi e a investire in
criptovalute, che lui vorrebbe coinvolgere nel proprio lavoro. Lo aiuta
all’occorrenza il cugino Isaac (David Choe), da poco uscito di galera. Un po’
di tensione riesce a scaricarla frequentando la chiesa evangelica.
Amy e David si incontrano,
o meglio si scontrano, nel parcheggio fuori da Forsters, quando lui per poco
non va addosso all’auto di lei, che era andata lì per firmare un accordo molto
lucrativo, mentre lui per ritornare degli oggetti (il cui significato lo
scopriremo in seguito e non lo rivelo per evitare spoiler). L’alterco ha un’escalation
e lei sfreccia via con la sua auto bianca, ma non prima che lui riesca a
prendere il numero di targa. Rabbioso, si presenta a casa di Amy fingendosi
qualcun altro e, da lì, si progredisce in dispetti reciproci via via più
intensi e pericolosi che coinvolgono anche gli alti personaggi, perché Amy si
avvicina al fratello di lui e David al marito di lei.
Lee Sung Jin ha ideato una
miniserie che, a detta di chi è in grado di valutarlo, è ricchissima di specificità
e inside jokes per la cultura
coreano-americana, senza tropi per arruffianarsi i bianchi, come osservano
sull’HuffPost (qui)
dove pure riflettono sul backlash che
si è sollevato quando è venuto fuori un video in cui Choe, che interpreta il
cugino Issac, si vantava di aver costretto una ragazza a del sesso orale. In
seguito ha ritrattato dicendo che le sue dichiarazioni erano finzione
artistica. Questa glorificazione di una fantasia di stupro su una piattaforma
pubblica può causare danni irreparabili. La giornalista, lei stessa vittima di
stupro, ha dichiarato che ha trovato difficile separare il personaggio dal suo
interprete, e chiosa: “Considerando il capitale culturale di piattaforme come
Netflix e il potere dei direttori di casting di Hollywood, spero che questo
contraccolpo ricordi loro che le loro decisioni creative hanno conseguenze di
vasta portata al di là delle loro visioni artistiche. È importante ritenerli
responsabili ed esigere che non sostengano finanziariamente coloro che
considerano l'abuso sessuale una questione scherzosa”.
Al di là di questa polemica,
su cui vale la pena riflettere, la serie è stata vista anche come una metafora
dei social media, dove feroci faide, rabbia, ossessioni, rancori e meschinità
vengono talvolta fomentate da sciocchezze e divampano per dar sfogo a
insoddisfazioni che spesso non sono nemmeno ideologiche, ma dovute a malessere
individuale. Al di là della differenza di stato economico da protagonisti, qui
è proprio la psicologia dei personaggi a fare da motore al loro scontro. Si è caustici
nel riuscire a mostrare l’amarezza di due persone infelici, che cercano di
sabotarsi a vicenda rendendo la propria vita via via più miserabile, con due
notevoli prove attoriali da parte degli interpreti.
Beef ha ricevuto nei giorni scorsi la nomination agli Emmy come miglior limited series, così come l’hanno ricevuta i due interpreti.
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