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martedì 18 luglio 2023

BEEF - LO SCONTRO: una dark comedy amara e catartica

Beef, divenuto “Lo scontro” in italiano, è una serie rivelazione in 10 puntate che conto io stessa già fra le migliori dell’anno: esplora il tema della rabbia, dalla scintilla di uno scontro di road rage, come viene chiamato in inglese, ovvero di una schermaglia stradale che lancia i due coinvolti in una spirale di ritorsioni e vendette che va fuori controllo, fino a un finale spettacolare, profondo, divertente e un “arrendersi” esistenziale che mostra i due contendenti più vicini l’uno all’altra di quanto non ci si sarebbe aspettati. Se al debutto ho percepito questa dark comedy come fastidiosa più che divertente, perché l’amarezza di due persone che sfogavano la propria infelicità e frustrazione cercando di distruggersi a vicenda era più dolorosa e demoralizzante che esilarante, a mano a mano che le motivazioni di entrambi si sono rilevate e la loro umanità si è mostrata come tridimensionale ha brillato sempre più, ed è stato catartico  l’eccesso in cui sono arrivati i loro comportamenti squilibrati, nel memorabile, emotivamente coinvolgente finale.  

Amy Lau (Ali Wong) è una ricca donna d’affari di origine coreana che gestisce Kōyōhaus un’attività di vendita di piante, e sta per concludere un importante affare con Jordan (Maria Bello), che ha uno store di articoli per la casa, Forsters. È sposata con un giapponese, George (Joseph Lee), uno pseudo-artista che crea vasi e che nessuno prende sul serio, nemmeno la madre Fumi (Patti Yasutake), e con lui ha una figlia. Il loro rapporto però è un po’ in crisi. Lei è sempre con i nervi a fior di pelle, lui è un tipo sempre ultra-positivo. David Cho (Steven Yeun, The Walking Dead), pure di origine coreana, è un appaltatore in bolletta che si arrangia con i lavoretti che riesce a trovare per sbarcare il lunario e sogna di costruire una bella casa per i propri genitori, costretti a tornare in Corea dopo il fallimento della loro attività come manager di motel. Ha un fratello più giovane, Paul (Young Mazino), che passa il tempo a giocare ai videogiochi e a investire in criptovalute, che lui vorrebbe coinvolgere nel proprio lavoro. Lo aiuta all’occorrenza il cugino Isaac (David Choe), da poco uscito di galera. Un po’ di tensione riesce a scaricarla frequentando la chiesa evangelica.

Amy e David si incontrano, o meglio si scontrano, nel parcheggio fuori da Forsters, quando lui per poco non va addosso all’auto di lei, che era andata lì per firmare un accordo molto lucrativo, mentre lui per ritornare degli oggetti (il cui significato lo scopriremo in seguito e non lo rivelo per evitare spoiler). L’alterco ha un’escalation e lei sfreccia via con la sua auto bianca, ma non prima che lui riesca a prendere il numero di targa. Rabbioso, si presenta a casa di Amy fingendosi qualcun altro e, da lì, si progredisce in dispetti reciproci via via più intensi e pericolosi che coinvolgono anche gli alti personaggi, perché Amy si avvicina al fratello di lui e David al marito di lei.

Lee Sung Jin ha ideato una miniserie che, a detta di chi è in grado di valutarlo, è ricchissima di specificità e inside jokes per la cultura coreano-americana, senza tropi per arruffianarsi i bianchi, come osservano sull’HuffPost (qui) dove pure riflettono sul backlash che si è sollevato quando è venuto fuori un video in cui Choe, che interpreta il cugino Issac, si vantava di aver costretto una ragazza a del sesso orale. In seguito ha ritrattato dicendo che le sue dichiarazioni erano finzione artistica. Questa glorificazione di una fantasia di stupro su una piattaforma pubblica può causare danni irreparabili. La giornalista, lei stessa vittima di stupro, ha dichiarato che ha trovato difficile separare il personaggio dal suo interprete, e chiosa: “Considerando il capitale culturale di piattaforme come Netflix e il potere dei direttori di casting di Hollywood, spero che questo contraccolpo ricordi loro che le loro decisioni creative hanno conseguenze di vasta portata al di là delle loro visioni artistiche. È importante ritenerli responsabili ed esigere che non sostengano finanziariamente coloro che considerano l'abuso sessuale una questione scherzosa”.

Al di là di questa polemica, su cui vale la pena riflettere, la serie è stata vista anche come una metafora dei social media, dove feroci faide, rabbia, ossessioni, rancori e meschinità vengono talvolta fomentate da sciocchezze e divampano per dar sfogo a insoddisfazioni che spesso non sono nemmeno ideologiche, ma dovute a malessere individuale. Al di là della differenza di stato economico da protagonisti, qui è proprio la psicologia dei personaggi a fare da motore al loro scontro. Si è caustici nel riuscire a mostrare l’amarezza di due persone infelici, che cercano di sabotarsi a vicenda rendendo la propria vita via via più miserabile, con due notevoli prove attoriali da parte degli interpreti.

Beef ha ricevuto nei giorni scorsi la nomination agli Emmy come miglior limited series, così come l’hanno ricevuta i due interpreti.

domenica 25 settembre 2016

THE NIGHT OF: tensiva, intensa, trascinante


È dedicata alla memoria di James Gandolfini The Night Of, eccellente limited series della HBO ideata da Steven Zaillian (Shindler’s List, che ha firmato la regia di 7 puntate su 8) e Richard Price (The Wire, che ha scritto o comunque co-scritto insieme al collega tutti gli episodi) sulla base della serie della BBC Criminal Justice. Il compianto attore qui doveva avere una parte (un diverso pilot era già stato girato) e risulta comunque tutt’ora fra i produttori esecutivi.
Un mite giovane studente universitario americano di origine pakistana, musulmano che vive con i genitori Salim e Safar (Peyman Moaadi e Joorna Jagannathan) nel Queens, Nasir “Naz” Khan (Riz Ahmed) una sera decide di prendere in prestito per andare a una festa il taxi che il padre usa per lavoro. Scambiandolo per un effettivo taxista, sale sul veicolo una ragazza, Andrea (Sofia Black D’Elia), e dopo aver conversato finiscono a casa di lei. Su istigazione della ragazza lui consuma delle droghe e fanno sesso. La mattina dopo lui si sveglia in una stanza diversa dalla camera da letto, ricordando molto poco. Vi si reca per salutare la giovane, ma la ritrova riversa sul letto morta, in un bagno di sangue, accoltellata numerose volte. Preso dal panico, scappa, portandosi dietro l’arma del delitto. Al suo arresto, quasi fortuito, lo interroga il detective Dennis Box (Bill Camp), ormai prossimo alla pensione. L’accusa è portata avanti dall’assistente procuratrice distrettuale Helen (Jeannie Berlin). Si prende a cuore il suo caso e si offre a difenderlo l’avvocato John Stone - John Turturro, nel ruolo che doveva appunto essere dell’amico scomparso Gandolfini, che doveva essere inizialmente sostituito da Robert DeNiro prima che questi vi dovesse rinunciare per altri impegni (SFGate) -, un uomo divorziato e solo,  un legale che si occupa di casi minori e che gode di scarsa stima presso i colleghi, e una persona che ha terribili problemi di dermatite, che colpisce prevalentemente i piedi, cosa che lo costringe ad andare in giro con i sandali, a peregrinare fra vari tentativi di soluzione e a frequentare gruppi di auto-aiuto. A prendere la direzione del suo caso per la difesa sarà poi un’avvocatessa con poca esperienza, Chandra (Amara Karan), scelta per la sua etnicità. In carcere Naz accetta presto la protezione di un potente criminale ex-campione di boxe, Freddy (Michael Kenneth Williams).
Sicuramente una delle migliori dell’anno, priva di cadute di stile o di tono, The Night Of è una criminal story con attenzione sì all’aspetto procedurale, ma non come sinonimo di “formulaico”, come troppo spesso ormai viene inteso quel termine; si avvicina filosoficamente, come ha notato il New York Times, al podcast Serial, a Making a Murderer di Netflix, alle recenti serie su OJ Simpson. Lenta, tensiva e meticolosa nella costruzione dei dettagli,  è prevalentemente un character study, uno studio su come il sistema carcerario può trasformare una brava persona in un criminale, su come gli ingranaggi della giustizia, anche quando tutti o quasi cercano di agire al meglio delle proprie possibilità, possano portare a risultati men che perfetti, e su come anche la miglior intenzionata delle persone agli occhi del mondo possa apparire come un perdente. Non sfugge a nessuno come i tormenti cutanei dell’avvocato siano una metafora di quello a cui si assiste. Secondini e carcerati vengono spesso dallo stesso ambiente, ci sono scambi di favori reciproci. Tutti i coinvolti sono esseri umani – si tiene nel rapporto il fatto che un poliziotto novellino ha vomitato sulla scena del crimine (1.03), perché è umano – e ciascuno di  loro ha la propria legittima prospettiva – una conferenza stampa in seguito all’arresto (1.03) viene proprio vista da diverse prospettive: i carcerati, i familiari, tutti i coinvolti nel perseguire o difendere l’accusato.
La realtà ritratta dietro le sbarre è brutale, severa, de-umanizzante. Un ragazzo viene preso a calci da un atro perché sta male (1.02). I secondini nel loro discorso di apertura avvisano che se qualcuno oserà alzare le mani su di loro, avranno le ossa spaccate e saranno mandati in ospedale. È un quotidiano sopravvivere, fra angherie, violenze e alleanze. A volte aiuta la droga. Ogni sguardo può fare la differenza. E gli sguardi qui contano, anche fuori dal carcere, siano quelli di Naz con Chandra, o di Naz con la madre – lui rimane ferito nel rendersi conto che lei ha dubbi su di lui e sulla sua innocenza. Noi stessi ne abbiamo. La serie lascia intendere che è innocente, anche perché lui si crede tale, ma in corso di via c’è sempre un minimo di sospetto che possa poi di fatto essere anche colpevole, dato che sotto l’effetto di droghe non ricorda tutto ciò che è avvenuto. In fondo la soluzione è irrilevante. Conta di più quello che l’evento ha provocato, nella vita di Naz, ma anche di chi lo circonda. La madre è costretta ad andare a pulire i bagni per racimolare del denaro. Il padre si trova nei guai con i co-proprietari del taxi che guida per lavoro, dal momento che il veicolo in questione fa parte delle prove e non può essere utilizzato. Vorrebbero che denunciasse il suo stesso figlio per furto. “Guarda che cosa ha fatto a tutti noi” gli dicono. È solo imputato, ma già solo questo si ripercuote sull’intera comunità, in una società già islamofobica.
Le due vere stelle, sottili quanto brillanti, sono Ahmed che interpreta Naz, e Turturro nel ruolo di Stone. Il primo è eccellente, anche attraverso dialoghi molto succinti, a mostrare la trasformazione da innocente (in tutti i sensi) ragazzo – un “unicorno” lo definisce Freddy (1.08) – a uomo indurito e disilluso, costretto per sopravvivere a comportamenti che mai avrebbe messo diversamente in atto e nel mostrare la crescente consapevolezza di quello che l’ambiente che lo circonda gli richiede. Il secondo è un uomo sconfitto e solo che sa di essere meglio di quanto gli altri non credano e che cerca di aiutare il suo prossimo (che siano i suoi assistiti, la collega o un gatto a cui vuole evitare la morte in quanto randagio, e di cui cerca di prendersi cura pur essendo allergico). È un personaggio tenero e tragico, agrodolce, che potrebbe rischiare di risultare patetico se non fosse per l’interpretazione impeccabile di Turturro, che riesce a trasmettere nella trasandatezza del suo personaggio tutta la stanchezza per le ingiustizie quotidiane. Semplicemente spettacoloso. Sostenute puntata dopo puntata queste interpretazioni realizzano un ricamo sottile e prezioso di cicatrici di vita.
Il tono è cupo, totalmente privo di glamour, ma un’ineccepibile illuminazione fa sì che ci sia molto nitore. Nell’insegnargli a sopravvivere, il grande tema di fondo, Freddy suggerisce a Naz alcuni titoli di narrativa: L’arte della Guerra di Sun Tsu (anche titolo della puntata 1.04) Il richiamo della foresta di London (titolo scelto anche per la season finale) e L’altra faccia di mezzanotte di Sidney Sheldon. L’attenzione alla narrativa, e a come le vicende vengono raccontate, si nota in filigrana nella costruzione di accusa e difesa, dove in una certa misura la verità è irrilevante, viene ribadito al di qua e al di là delle sbarre, perché non lo aiuta. Conta la storia che si racconta. E la storia, o meglio le storie in competizione che costituiscono “The Night Of” - “La notte in questione”, potremmo tradurre, parole che Stone pronuncia nella sua arringa finale riferendosi ovviamente alla notte che ha portato Naz in tribunale - sono squisitamente costruite. Una visione trascinante.