giovedì 8 giugno 2023

TED LASSO: una terza e ultima stagione sottotono

Comincia con Ted Lasso (Jason Sudeikis) in aeroporto la terza e ultima stagione dell’omonima comedy (Apple TV+) che ha saputo conquistare il pubblico, e finisce ad arco quasi allo stesso modo con lui che ha deciso di rientrare negli Stati Uniti per stare vicino al figlio. Una fine scontata, e va bene in questo modo, così come sarebbe stato un tradimento dello spirito dello show se non avessimo avuto un lieto fine generale. Le puntate sono state più lunghe in questa tranche. Non è dispiaciuto in sé, ma c’è stata la sensazione che si sia persa la focalizzazione, in una stagione che ha regalato sorrisi e cuore come sempre, ma che non è stata di certo al pari delle altre, con alcune storie di cui si poteva fare volentieri a meno e altre che non avevano senso.

La prima puntata si apre e chiude con Ted piuttosto giù di corda. Il figlio Henry (Gus Turner), stato in visita da lui per sei settimane è tornato a casa dalla madre a Kansas City, e si rende conto che la sua ex ha un nuovo amore nella sua vita. In generale si chiede che senso abbia per lui rimanere in Inghilterra. La AFC Richmond, che allena, tutti si aspettano che arrivi ventesima; solo perché non c’è un ventunesimo, maligna Nathan “Nate” Shelley (Nick Mohammed), l’ex tuttofare diventato l’allenatore prodigio (Wonder Kid) e assunto dalla favorita West Ham, di proprietà di Rupert (Anthony Head, che se rimane nel cuore come l’osservatore di Buffy, qui sa essere odioso a sufficienza), l’ex della attuale proprietaria della AFC Richmond, Rebecca (Hannah Waddingham, Sex Education). In modo fin troppo evidentemente metaforico, Ted porta la squadra a visitare le fogne della città.

Da subito si mettono in parallelo due stili umani e professionali. Nate già dalla fine della scorsa stagione è ufficialmente il cattivo della situazione e nel suo nuovo ruolo si comporta come un bullo. Non risponde ai saluti, si aliena gli altri comportandosi da superiore, demolisce i propri giocatori mettendoli sulla "linea del cretino" quando sbagliano, chiede a un assistente che deve temporaneamente sostituirlo di farli correre finché non crollano. Ridicolizza un giornalista che gli pone una domanda. Ted al contrario li incoraggia e invita loro a trarre forza ciascuno dalle qualità che fanno brillare i compagni, e fa i complimenti a una giornalista che gli fa una domanda, e anche quando gli chiedono di commentare gli insulti di Nate nei suoi confronti, la butta sul ridere, lo loda e gli augura il meglio.

Sono entrambi due uomini infelici, ma mentre il primo scarica la propria rabbia e le proprie frustrazioni sugli altri, il secondo non lo fa. Essere depressi non è una scusa per trattale male gli altri: è una scelta sulla base del tipo di uomo che vuoi essere, ci dice la serie. Sembra quasi favolistico, ma credo che non lo sia, che sia alla fine anche una questione di credere nel principio che due mali non fanno un bene e abitudine ad agire sulla base di quella convinzione. Questo ottimismo, questo credere al di là delle circostanze nel prossimo e nelle potenzialità di ciascuno, è quello che ha reso amabile il personaggio. Ted Lasso non è un’ingenuità, è una scelta etica. Questo la serie lo reitera in più situazioni, come quando (3.04) la squadra si rende conto che è stato Nate a strappare il loro poster motivazionale, “Believe”. Ted aveva scelto di non dirlo, ma quando Coach Beard (Brendan Hunt) opta per farlo loro reagiscono con rabbia, ma questo non li aiuta: giocare motivati dall’odio non aiuta a vincere è la lezione.

Il rifiuto della cosiddetta mascolinità tossica e il re-inquadrare le ansie legate a successo e fallimento pure sono due pilastri di questa commedia che ha entusiasmato molti da subito, proprio perché ha fatto una scelta radicale diversa dai soliti cinismo e sarcasmo. In questa stagione però forse si è premuto anche troppo l’acceleratore solo su questo insegnare ad essere persone migliori, con una puntata sul razzismo, una puntata sull’omofobia…fastidiosamente interessati a fare la morale più che ha mostrare come l’intelligenza emotiva e l’empatia possano essere più efficaci della più grande competenza tecnica.

In corso di via in ogni caso, la squadra riprende vigore e scala la classifica, grazie anche ad un arco che introduce la carismatica egotica generosa superstar Zava (Maximilian Osinski), un calciatore ispirato in buona parte a Zlatan Ibrahimovic, evidente dal look perfino a me che di calcio non potrei saperne di meno, così come Nate riesce a riscattarsi e a tornare “sulla retta via”, anche grazie all’amore della cameriera del suo locale preferito, Jade (Edyta Budnik).

Il grande altro punto di forza della serie è l’amicizia al femminile: Keeley (Juno Temple) e Rebecca. Qui si passa il Bechdel Test alla grande, si vedono proprio le donne esserci le une per le altre. Questo è rimasto. Rompere la relazione fa Keeley e Roy Kent (Brett Goldstein) poi era stato un errore a cui troppo tardi hanno posto rimedio, e la storia sentimentale di lei con Jack (Jodi Balfour, For All Mankind) fatta solo di love bombing è parsa pretestuosa, propinataci solo per tenere Keeley lontana da Roy e per aggiungere una mini-storyline lesbica che proprio non ci stava: si capiva in partenza che sarebbe naufragata. Roy rimane uno dei personaggi più divertenti con i suoi grugniti monosillabici e il suo cipiglio astioso addolciti dagli incontri con la nipotina Phoebe (Elodie Blomfield) – ma la vicenda senza senso del suo alito pensante ce la potevano anche risparmiare - e il suo nuovo ruolo da allenatore che si prende a cuore la professionalità di Jamie Tartt (Phil Dunster), in passato suo rivale, è stato uno degli highlight della stagione.

La promozione a personaggio di maggior rilievo di Trent Crimm (James Lance), giornalista ora interessato a scriver un libro su di loro ha funzionato bene (anche se preferivo il suo titolo per il libro, “The Lasso Way” a quello in cui poi è stato cambiato, “The Richmond Way”), ma l’uscita di scena della psicologa, la dottoressa Sharon Fieldstone (Sarah Niles), che ha fatto una comparsata solo in apertura e chiusura, è stata uno spreco. 

Non arrivo a scrivere “Battute spazzatura, trama inetta, sceneggiatura debole... dobbiamo continuare? Questo spettacolo incasinato, noioso e a prova di resistenza è diventato molto più importante di quanto meritasse”, come fa Sian Cain nell’Articolo del Guardian, ma se uno vuole capire che cosa ha reso grande Ted Lasso, è alle prime due stagioni che deve guardare, non certo a questa, però come ammonisce Entertainment Weekly, non dobbiamo lasciare che la deludente terza e conclusiva diminuisca l’eredità spirituale della serie.  

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