ATTENZIONE SPOILER
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ha appena chiuso la seconda stagione di Silo con una scena finale che ci
ha catapultati fuori dal solito contesto, ovvero nella Washington di 300 anni
prima, al momento dell’incontro fra Daniel (Ashley Zukerman), un deputato
statunitense, ed Helen (Jessica Henwick), una giornalista, già annunciati come
personaggi della terza stagione. Prima di questo calo di sipario ha continuato
ad essere accattivante, ma l’ho trovata sottotono rispetto alla prima, se si
escludono gli episodi finali. Premetto che non ho letto i libri, quindi non
avevo aspettative specifiche rispetto allo svolgimento degli eventi. Ciò che mi
è mancato di più in questa stagione sono le due tensioni che hanno alimentato la
serie in precedenza: quello verso il mondo esterno e quello verso “the before times”, i tempi precedenti. Loro, e
perciò noi, sono così concentrati su ciò che accade all'interno che l'esterno
si è un po’ perso, e mi è mancato.
La
delusione che il mondo circostante altro non fosse se non altri silo era stata
forte alla fine della prima stagione. Come se in Fallout ci fossero
stati solo altri Vault, senza un mondo esterno per quanto landa desolata.
All’esordio (2.01), con buona pace della continuità rispetto al parrucco della
protagonista che era differente, vedere montagne di scheletri e mummie umane ha
fatto una certa impressione - l’ultima volta che ne ho viste così tante e di
impatto nella finzione è stato in “Identity” (2.08 e 2.09) in The
Orville. Quando in seguito (2.04) Juliette (Rebecca Ferguson) ha confessato
che, calpestandoli, aveva pensato che al successivo passo quello sarebbe stato il
suo posto per morire, mi sono venuti i brividi. Entra presto in un altro silo,
il numero 17 scoprirà, quello da cui viene lei è il 18.
Il
pensiero dominante per me inizialmente è stato il senso di solitudine, e di
come per poco tempo è un conto, ma alla lunga di come sia difficile, e lo
stupore per l’intelligenza della protagonista. Certo, lei è l’ingegnera del
titolo (diventato “il tecnico” in italiano non si sa per quale ragione), ma
ugualmente…Non sto spesso a interrogarmi su che cosa avrei fatto io nella stessa
situazione dei personaggi che vedo, ma in questo caso l’ho fatto e, salvo dirmi
subito che avrei cercato di ricostruire il ponte nel nuovo silo, come avrei
fatto non ne ho idea. Stranamente non mi è venuto in mente MacGyver,
come a tanti nei commenti che ho letto, ma è vero. In realtà, la visione dentro
al silo mezzo distrutto mi ha evocato molto la lettura del libro “Piranesi” di
Susanna Clarke, qualcosa che non è mai accaduta durante la prima stagione. I
flashback che tanto aiutano a dare backstory al personaggio hanno dato una
buona spiegazione proprio rispetto alle sue capacità attuali: l’importanza di
riciclare e con quello la capacità di vedere cose vecchie e apparentemente da
buttare non solo come cose riparabili, ma anche come oggetti che possono essere
utilizzati con altre funzioni da quelle per cui sono intese e quindi lo
sviluppo di quel tipo di intelligenza che ora le torna utile; e poi la
brutalità con cui le è stato detto che sua madre era morta perché si era
ammazzata, senza giri di parole, che l’ha resa una che guarda in faccia la
realtà senza filtri sentimentali o di protezione emotiva. In questa stagione
peraltro è emersa come un personaggio dalla notevole intelligenza emotiva, empatica,
diplomatica, capace di mediare, come si è visto in scene con il personaggio di
Solo e con quello di “Eater”/Hope (Sara Hazemi) negli ultimi capitoli di questo
arco (che ho letto hanno tradotto “Tarma”/Hope in italiano – ho seguito la
serie in originale).
È una
prova della bontà della serie quando, se
la prima puntata è stata solo Juliette, solo a metà del secondo episodio ho
capito che sarebbe stato un episodio senza di lei. E il cliffhanger del primo
episodio era abbastanza forte da potersi permettere di mantenere la tensione anche saltandone uno. Juliette come
singola e il Silo come gruppo sono stati i due pilastri della storia in questa
seconda stagione: da un lato la necessità del ritorno, dall’altro i malumori e
gli scontri successivi all’uscita della nostra eroina – dopo 140 anni di pace è
arrivato il momento della rivolta, un tipo di storia che io per indole gradisco
meno, per quanto sia stata ben costruita. È stato anche affascinante vedere
come un gesto relativamente piccolo da parte di una persona possa creare un
eroe che galvanizza un'intera comunità e incanala aspirazioni e desideri di
libertà. Juliette esce dal silo e appare la scritta JL (Juliette Lives). Forse
è un parallelismo eccessivo, ma ho pensato alla ragazza che in Iran si è
spogliata contro un regime oppressivo a novembre – le puntate in questione sono
andate in onda poco dopo. Un semplice gesto di una persona, che alla fine
comporta un grande rischio personale e che di per sé non è grave al di fuori
del suo contesto, diventa rivoluzionario per ciò che incarna.
La serie
non vi ha indugiato, ma ho trovato intellettualmente stimolanti i numerosi
aspetti sociopolitici, economici e di potere legati alla gestione del Silo: Billings
(Chinaza Uche) che si fida del giusto processo e del lavoro dei Fondatori e la
spiegazione che la cancellazione del passato è stata fatta di proposito per
evitare rivolte future (2.08); il libro “biblico”, L’Ordine, ha un protocollo
su chi incolpare e in che ordine - ho sempre pensato che le persone dei piani
alti e medi che odiavano le persone della Meccanica fosse una questione di
sistema di classe, in cui i piani alti si sentivano snob e altezzosi, superiori
ai piani bassi; coloro che detengono il
potere sono in grado di sapere di più della popolazione generale e di tenerlo
nascosto, ma non molto di più: anche loro stanno effettivamente
brancolando nel buio - quando nella season finale (2.10) Lukas (Avi Nash) rivela a
Bernard che cosa ha scoperto, e il suo mondo crolla, Tim Robbins è stato
raggelante nel mostrare quanto fosse sconvolto il suo personaggio; non sono
solo cattivi a dispetto delle proprie azioni: la dicotomia libertà-pericolo è
viva nelle loro menti come in quelle di chiunque altro; come è facile e privo
di gran sforzi mostrare qualcosa come qualcos'altro: è stato un gran colpo di
scena (2.04) che Meadows (Tanya Moodie) morisse avvelenata (anche se la fine
della sindaca Ruth nella prima stagione doveva essere di monito), ma il modo in
cui Bernard è riuscito a incastrare Knox (Shane McRae) e Shirley (Remmie Milner)
e come ha manipolato il pubblico è stato istruttivo sotto questo profilo. Un
grande filo conduttore della stagione sono le menzogne (per le vicende di entrambi
i silo).
Grande
nuovo arrivo è stato il personaggio di Solo (il Steve Zahn di “Treme”). La sua
paranoia, la sua paura, il suo essere solo di fatto oltre che di nome e tutto
quanto lo ha attorniato mi ha spesso fatto pensare a “Lost”. L’incertezza sulla
sua identità, l’impossibilità di inquadrare come mai sapesse così tante cose e
avesse un misto di entusiasmo infantile per esse e terrore di contatto con
altri, la sua possibilità di mangiare senza la preoccupazione di procurarsi il
cibo, i graffiti e i cadaveri all’interno del suo bunker sono stati elementi che
hanno alimentato la suspense finché nel dinamico sottofinale non si è scoperta
la verità: è Jimmy, ed era il figlio del
capo dell'IT del silo 17; aveva solo 12 anni quando scoppiò la rivolta e i
genitori gli avevano ordinato di non
aprire a nessuno, aveva visto il padre ammazzato dai genitori di quei ragazzi
che credono lui il killer che li ha lasciati orfani, anche loro presenze nel
nuovo silo arrivate come colpo di scena.
Lukas, il
geniale osservatore di stelle, scopre la verità dei tunnel quando prima di lui
solo altre tre persone erano riuscite a farlo: Salvador Quinn, Meadows e George,
che era stato brevemente fidanzato di Juliette. La sua sete di sapere, anche
pungolata da Bernard, è stata una delle cose che più mi è piaciuta, così come sono
sempre sedotta dal doloroso stupore dei personaggi per come era la Terra prima:
“Che cosa hanno fatto Bernard? Come hanno fatto a perdere questo mondo?” dice Meadows
guardando il nostro bel pianeta sul suo visore; “È vero? Mostramelo!” esorta la moglie Kathleen
allo sceriffo Billings quando scopre di una pagina con immagini di come era il
passato: la loro mancanza è per qualcosa che non hanno mai conosciuto. È così
relazionabile, umano e agrodolce. Ti fa apprezzare quello che abbiamo…Robert
(Common), Camille (Alexandria Riley), Patrick (Rick Gomez), Martha (Harriet
Walter)…ci sarebbe molto da scrivere. Tanti fili sono poi rimasti sospesi, ma
la serie è stata rinnovata per altre due stagioni prima della chiusura, quindi
ci sarà modo di rispondere ai quesiti rimasti aperti. Juliette è tornata al suo silo, ma abbiamo lascito lei e Bernard ad arrostire nelle fiamme, ad esempio. Per ora intanto, la serie è rimasta appagante.
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