Lo spassoso, esuberante, gustoso,
eccessivo Rivals (Disney TV+), ambientato nel mondo della concorrenza
spietata fra le televisioni indipendenti inglesi negli anni ’80, offre una
critica metatestuale a se stessa nella season finale della prima
stagione (1.08). Due emittenti si stanno scontrando per ottenere la
concessione: la Corinium, che l’ha avuta finora, e la neonata Venturer.
Quest’ultima si vende come l’immagine del focolare intorno a cui ci si raduna
per sentire delle storie. Il piccolo schermo, sostengono, ha il potere di
riunirci, di portare nuove idee, aiuta a perdonarci, è una finestra sulla vita
delle altre persone, cerca la verità e si pregia di integrità; è in definitiva
la più grande forma d’arte creata dall’uomo. La prima di contro, che definisce
questa posizione una di “lirismo saccente”, offre al contrario quello che il
pubblico vuole e dietro a una facciata di moralità ci sono manipolazioni e puro
interesse arrivista, dove ci si finge ipocritamente distanti da volgarità e
violenza si nasconde il letamaio di abusi ignorati perché più comodo per
gli affari. A quale modello si ispira Rivals? A quest’ultimo ̶ rivalità, tradimenti, edonismo ̶ sembra strizzarci l’occhio: mentre nella diegesi di sottofondo su uno
schermo scorrono le immagini del magniloquente discorso pro-nobiltà della
televisione, assistiamo a un omicidio non intenzionale; o così almeno pare –
nel libro, che non ho letto, questa scena pare non ci sia e che il personaggio
sia non solo vivo in seguito ma pure significativo nello svolgimento della
trama; cosa ne farà il programma? Cerchiamo il piccante, il torbido, l’osceno.
L’ironia e l’umorismo sono quello che permettono a Rivals di scollarsi
da quel genere vagamente soap-operatico in cui si muove, pur avvalendosi dei
suoi stilemi, perché contemporaneamente lo irride. È come se ammettesse di essere tutto quello,
una Dallas o Dynasty dei giorni mostri in salsa British, ma smaliziata
per averne la piena consapevolezza e attenta a non condonarla nei suoi aspetti più
beceri, se non per un momentaneo innocuo divertimento, posizione che la redime.
Siamo nel 1986, Lord Tony
Baddingham (David Tennant, Doctor Who, Broadchurch, Good Omens),
uno che sul caminetto ha inciso il motto della famiglia “pacifico è il Paese
che è ben armato”, sposato con Monica (Claire Rushbrook), per inalzare il
profilo della propria emittente televisiva, la Corinium, il cui più grande
successo è “Quattro uomini in campagna” la cui attrattiva è mostrare uomini
mezzi discinti, assume l’apprezzato giornalista della BBC Declan O'Hara (Aidan
Turner, Poldark, Being Human), a cui viene affidato un suo talk
show, che si trasferisce in una grande casa di campagna nella bucolica fittizia
contea di Rutshire, nella regione delle Cotswolds nel sud-ovest
dell’Inghilterra, con la moglie Maud O'Hara (Victoria Smurfit) ex-attrice che
già in passato lo ha tradito e a cui la scelta del marito sta stretta, e alle
sue figlie, Agatha detta ‘Taggie’ (Bella Maclean), che aspira ad avere una sua
attività di catering, e Caitlin (Catriona Chandler), che presto va in collegio.
Lord Baddingham assume anche una talentuosa produttrice americana, Cameron Cook
(Nafessa Williams) con cui intreccia una relazione, e mira a distruggere, dal
momento che non riesce ad averlo dalla sua parte, un suo grande rivale che non sopporta
e verso il quale schiuma di rabbia, l’adorato donnaiolo perennemente arrapato Rupert
Campbell-Black (Alex Hassell), ex-campione olimpico di equitazione diventato
poi politico conservatore e ministro dello sport, di cui si prende una gran
cotta Taggie e che dopo un’iniziale ostilità con Declan ne diventa amico,
rivelandosi più corretto di quanto non ci si aspettasse da lui. Grande amica di
Rupert, e prima a salutare la famiglia di Declan appena si insediano nella
nuova case, è Lizzie Vereker (Katherine Parkinson, The It Crowd, Humans),
scrittrice di romanzi rosa frustrata da un marito che la ignora, James (Oliver
Chris), un vanesio conduttore alla Corinium, e presto sviluppa sentimenti
romantici per il ben più attento Freddie (Danny Dyer), un imprenditore di
successo nel campo dell’elettronica, sposato senza amore con Valerie (Lisa
McGrillis) a cui interessa prevalentemente la scalata sociale. Qui il trailer
ufficiale.
Basato sull’omonimo romanzo del
1988 di Jilly Cooper e con una sigla che è un incrocio fra The Morning Show
e Bad Sisters, Rivals, già rinnovato per una seconda stagione, si
lancia con gusto spavaldo e gioiosamente scandaloso nell’arena di rivalità,
appetiti rampanti e maligni dispetti del “decennio dell’avidità” e
dell’ostentazione dell’opulenza, in un calibrato mix di nostalgia e satira,
radicato in una recitazione eccellente. Rivals è un piacere nella misura
in cui riesce ad essere senza vergogna e senza scuse, nelle sfuriate di Baddingham,
nelle capriole d’alcova di Rupert, che Taggie incrocia la prima volta mentre
gioca a tennis in costume adamitico, in Maud che arriva su un cammello per capodanno
che è anche festa di compleanno di suo figlio, nelle maliziose frasi “birichine”
per le quali si sghignazza, che sia l’appassionato “che bello sentire il software
diventare hardware” (1.08), il riferirsi
al “calore biblico del suo cespuglio in fiamme” (1.05) o a lui (Rupert) vestito
da Babbo Natale che trova lei nuda a letto che lo invita ad infilare un lungo
pezzo di carbone nella sua calza (1.03)… insomma i doppi sensi non mancano. Fra
una partita a croquet e un garden party o una battuta di caccia, una
trasferta in Spagna per una award ceremony, una bottiglia di champagne
che viene stappata o un volo in elicottero, si è dissoluti e salaci, ma attenti
anche a decostruire dinamiche sociali e guerre di classe, privilegiati e paria,
con affilata veridicità – il reverendo anglicano troppo “amichevole” stupra una
dipendente della Corinium e a lei si chiede di dimenticare perché lui è troppo
importante, il collaboratore gay si domanda se si esista veramente se nessuno
si accorge di te e devi fare tutto nell’ombra… Come osserva Zoe
Williams sul Guardian il programma non finge che gli anni ’80 non
fossero così: “L'omofobia velenosa e senza ritegno della politica Tory; gli
stupri taciuti, lo sfruttamento sessuale, l'abuso di potere, l'oggettificazione.
Per non parlare della disuguaglianza, dello snobismo, dell'eccesso di
volgarità, della deferenza davvero nauseante nei confronti dell'aristocrazia -
una resa vile alla loro innata superiorità - e del razzismo e della misoginoir”.
(NB. Misoginoir è una crasi fra misoginia e noir, e quindi fa riferimento alla
quella misoginia specificatamente rivolta alle donne nere).
Scritta da Dominic Treadwell-Collins e Laura Wade insieme agli sceneggiatori della loro writers room è intrattenimento che può vantare anche diversi premi e che ha raccolto entusiaste reazioni sia dal pubblico che dalla critica.