Con la sua quinta stagione si è chiuso quest’anno Big Love. La serie ideata da Mark V. Olsen e Will Scheffer che si concentra attorno alla vita di una famiglia poligama, gli Henrickson, è stata un crescendo in intensità, complessità e qualità nelle prime tre stagioni – con un apice forse nella puntata “Prom Queen – La regina del ballo” (3.03) scritta da Eileen Myers. Poi la serie ha avuto un drastico calo nella quarta stagione, con l’esclusione della storia di Alby Grant (Matt Ross), un personaggio sempre straordinario recitato in modo mozzafiato - la sua glaciale follia dopo che è stato distrutto dal dolore per la perdita dell’uomo amato ha retto fino alla fine. Si è risaliti qualitativamente nella quinta stagione. Per me, la nota caratterizzante della serie nei momenti in cui più ha brillato è stata la disperazione: le talvolta quiete, piccole disperazioni e finte felicità quotidiane. E concordo con The Daily Beast su quelli che sono stati i momenti più memorabili.
La quinta stagione, caratterizzata atmosfericamente e metaforicamente dall’inverno, si apre (5.01) con la famiglia riunita insieme in campeggio, dove sono scappati per ritrovare la calma dopo la loro “uscita allo scoperto” come famiglia poligama. Tutti si sentono isolati e attaccati: Barb (Jeanne Tripplehorn) beve, il figlio di Nicki (Chloë Sevigny) è oggetto di bullismo, Margie (Ginnifer Goodwin) perde il lavoro, e Bill (Bill Paxton) viene attaccato su più fronti: i cittadini che lo hanno sostenuto e creduto gli voltano le spalle (uno gli sputa), quelli che lavorano per lui al negozio si licenziano, al senato si dimette uno che lui aveva sostenuto e si ritrova senza alleati, perfino famiglie poligame come loro non vogliono essere a loro associate. Ciascuno cerca di ritrovare se stesso, e insieme tentano di trovare uno spazio all’interno della comunità.
Il tema che si nota di più in questa stagione è probabilmente quello del femminismo, soprattutto attraverso la figura della prima moglie Barbara, nella sua convinzione che anche alle donne spetti il sacerdozio, leit motiv di tutto il segmento: con lei che vuole la possibilità di poter impartire una benedizione (5.02); con la sua delusione per il fatto che a Natale il marito fa benedire il sacramento al figlio Ben e non a lei, in una cerimonia che si apre con uno speciale saluto alle donne, madri e figlie (5.03); con il suo scagliarsi contro la dottrina e il rivendicare per sé il sacerdozio (5.05), pur non vedendosi femminista per questo (5.06) e consapevole che, come le viene ricordato, l’emancipazione della donna dai dettami vittoriani nella comunità mormona è avvenuta proprio attraverso la poligamia, ma convinta che le donne siano uguali agli uomini nella loro relazione con il Padre Celeste; dispensatrice di un’ultima benedizione, su sua richiesta, al marito morente. Un po’ mi dispiace, devo ammettere, che ci sia dovuta essere “la morte dell’uomo” perché la donna potesse avere ciò che riteneva essere giusto.
Barb non è il solo personaggio a cui questo tema è stato legato nel corso della stagione: Nicki vuole che sua figlia studi (5.02), vuole evitarle il matrimonio precoce che è toccato a lei, e si impegna a trovare un tetto per quelle donne che vogliono scappare dalla tenuta di Juniper Creek; Margie rivela che ha mentito sulla sua età (5.03) per potersi sposare e avere la vita che desiderava, e cerca un nuovo lavoro tutto suo vendendo succhi di frutta Goji e poi parte per un viaggio missionario (5.10). “Il gran segreto del programma è che è sempre stato uno show femminista”, ha sottolineato l’ideatore Will Scheffer in un’intervista all’“Hollywood Reporter”: “E anche se [la serie] metteva in scena un sistema in qualche modo molto patriarcale, le opportunità che le donne hanno trovato – particolarmente in questo sistema in cui ci sono molti abusi – per supportarsi reciprocamente è stato quello che ci ha attirato verso il materiale come prima cosa, e ci ha dato una ragione per volerlo esplorare”.
Anche in questa stagione poi un tema forte è stato quello della famiglia. Bill dice che non gli interessano né lo Stato, né la Chiesa, gli importa solo della sua famiglia, in apertura di stagione (5.01), e lo ribadisce in chiusura (5.10) quando arriva alla realizzazione definitiva che dei pilastri che guidano la sua vita, famiglia e fede – le due colonne che hanno sempre retto le vicende – è la prima da cui deriva la seconda, non viceversa. Anche quando sembra che il Padre Celeste li abbia abbandonati, lo rendono reale attraverso l’amore reciproco (5.09). In questa prospettiva ma non solo, un altro tema della stagione è stato quello dell’unione e della dissoluzione (con il divorzio fra Bill e Barb ad esempio, ma anche con la demenza della madre di Bill).
E forte qui, come in fondo eredità della stessa esistenza della serie, è stato il discorso politico e il tema della necessità o meno della legalizzazione della poligamia. E sull’opportunità di definirsi Mormoni per i protagonisti. L’invito ad amare anche quelli che ci perseguitano (5.02) e la speranza dichiarata di Bill di essere visti come riformatori della chiesa, come quelli che la tolgono dall’oscurità, dalla segretezza e dall’abuso sono stati pensieri reiterati. Per questi ideali Bill agisce come senatore ed è per lui un modo per onorare la fede organizzare una tavola rotonda con rappresentati della comunità poligama e dello Stato. Fino in fondo i personaggi e la serie rimangono idealisti. E se nessuno si era presentato alla “casa aperta” degli Henrickson, se non approfittando della notte per non essere visti, quando fuori era buio e nevicava (5.01), nell’ultima puntata alla luce del sole la gente va ad appoggiare Bill e a festeggiare la Pasqua (5.10).
La puntata finale, “Where Men and Mountains Meet”, scritta da Olsen e Scheffer, è stata un po’ una chiusura anticlimatica, dopo che lo scontro epico vero e proprio – quasi da sfida all’OK Korall - fra Alby e Bill avviene nel sottofinale (5.09), scritto da Roberto Aguirre-Sacasa. Ci si è concessi un fugace momento metatestuale con Don che guarda Bill in TV (in uno spot pubblicitario) e piangendo gli dice “È la fine Bill”, frase che lui riferisce alla catena di negozi “Home Plus” di cui sono stati proprietari, ma che chiaramente leggiamo come riferito alla serie stessa. La scena in macchina delle tre mogli è stato uno dei momenti più toccanti e racchiude in sé il senso della conclusione. Il colpo di scena della morte inaspettata di Bill non riesco a valutarlo a dovere perché mi rendo conto che doveva essere molto inaspettato, ma lo sapevo in anticipo per averlo inavvertitamente letto. Al momento mi è parso appropriato e inappropriato allo stesso tempo, ma il sigillo della coda che mostra le vite dei protagonisti a 11 mesi di distanza me lo ha reso adeguato.
Durante la quinta stagione gli Henrickson vanno a pattinare, cosa che ha richiamato alla mente la sigla delle prime tre stagioni (la quarta e la quinta stagione hanno un’altra sigla), in cui appunto pattinano tenendosi per mano e ad un certo punto il ghiaccio si spacca costringendoli a staccarsi uno dall’altro. Sulla chiusura di serie riparte la canzone, “God only knows” dei Beach Boys, ri-registrata da Natalie Maines delle Dixie Chicks, che era quella che accompagnava quella sigla d’apertura all’inizio. “Solo Dio sa che cosa sarei senza di te” dice il testo. Qui, quelle parole, cantate ora da una donna, trovano compimento. E allora i protagonisti li si mostravano attorno a un tavolo su un pianeta diverso dalla terra – erano in qualche modo “alieni” – ora ci stacchiamo da loro lasciandoli a casa. Il cerchio si chiude, e non siamo più estranei.
Complimenti bellissima recensione. Big love è stata una piacevole sorpresa e la 5 serie (anche se partita un pò piatta) l'ho trovata piena di spunti e mi ha tenuto incatenato alla tv fino alla fine inaspettata...
RispondiEliminaGrazie! :)
EliminaVero. Ottima recensione. Complimenti!
RispondiEliminaVero. Ottima recensione. Complimenti!
RispondiElimina:) Grazie!
EliminaGrazie! :)
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