Ormai mi sono rassegnata
che con il termine “lolita” venga utilizzato come sinonimo di una ragazza
sessualmente precoce e disinibita. Quello che invece mi scandalizza - cosa che
è successa qualche tempo fa in almeno un telegiornale Mediaset (purtroppo non
mi sono segnata gli estremi per essere più precisa) in occasione del
cinquantesimo anniversario dell’uscita del film di Kubrik - e che soprattutto
trovo davvero pericoloso è che ci si riferisca a “Lolita” come ad una storia
d’amore fra una donna giovanissima e un attempato signore, quando si tratta di
una storia di abuso su minore.
Non ho visto il film, e
magari questo giustifica il fraintendimento, ma ho letto il libro di Nabokov,
che di per sé ha curato anche la sceneggiatura della pellicola: le sue
“ninfette”, come le chiama lui, quelle che lo seducono e che desidera
coinvolgere nella “ritmica routine che scuote il mondo” sono bimbe fra i 9 e i
14 anni! “Vorrei effettivamente che il lettore vedesse ‘nove’
e ‘quattordici’ come i contorni – spiagge di specchio, scogli rosati – di
un’isola incantata, racchiusa in un vasto mare brumoso e infestata dalle mie
ninfette”. Lolita ne ha 12, Humbert Humbert (il professore che se ne
invaghisce) è un quarantenne.
Ma ammettiamo che sia amore da parte di lui:”(v)edete, io l’amavo. Era
amore a prima vista, a ultima vista, a eterna vista”. Sicuramente non è
reciproco, e nella nostra società si
tratta di stupro e abuso, e nel libro si è molto espliciti nel considerarli
tali, non solo a uso del lettore, ma anche per i personaggi nell’auto-definire
la relazione. Chiamarla storia d’amore trovo sia davvero pericoloso.
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