“They did a bad bad
thing” suona sotto l’incipit della terza stagione di The Good Wife, con Alicia (Julianna Margulies) felice della sua
relazione con Will (Josh Cherles), che tengono segreta a tutti e che si
interrompe al giro di boa di metà stagione per vedere Alicia nella season finale guardare la vecchia casa
abitata dall’ex-marito (Chris Noth) e dai figli che lì ha cresciuto. La sua
vita viene vista in un cerchio completo, potremmo dire, ed è scritta da
maestri, con tanta tensione erotica ed emozionale, ma tirata perfetta, senza
sbavature, o melodrammaticità. Impeccabile davvero.
La terza è stata ancora
una volta una stagione molto forte, con forse il solo anello debole della
vicenda del marito di Kalinda. Nessun altro programma riesce a rendere
altrettanto bene i complessi meccanismi con cui interagiscono legge, lavoro e
politica, e le manipolazioni a cui si prestano, mantenendo ambivalenze,
ambiguità, spessore. La storia di Will che viene sospeso dalla professione ne è
un esempio perfetto. Anche l’apparenza di quello che accade in contrasto alla
sostanza è un tema molto forte, che fa riflettere sulla realtà. La partecipazione
come guest-star di Matthew Perry nel ruolo
di Mike Kresteva depone a favore di questo. E anche quando la serie propone personaggi un
po’ sopra le righe, come può essere con gli avvocati Patti Nyholm (Martha
Plimpton), Louis Canning (Michael J. Fox) o Elsbeth Tascioni (Carrie Preston),
non perde mai il controllo delle redini.
In questo arco le cause si sono globalizzate,
potremmo dire, concentrandosi su questioni in cui coinvolti erano Paesi esteri:
China (3.06), Afghanistan (3.07), Siria (3.15)…
E ancora una volta tanto peso ha la
tecnologia. Così come un tema caro alla serie rimane quello dell’educazione dei
figli e in particolare l’argomento della religiosità, di come i genitori siano spesso a disagio o
impreparati o qualche volta semplicemente troppo impegnati per affrontare l’argomento in modo convincente.
Sono rimasta poi quasi
sbalordita di come la serie riesca a trattare la questione del femminismo. È il
sottotesto di tutte le vicende, quindi è una nota di fondo che c’è sempre, ma
letteralmente con due battute è riuscita in questa stagione a fare la sintesi
di tanto dibattito femminista. Caitlin D’arcy (Anna Camp), giovane associata
nipote di David Lee assunta in studio e di cui Alicia è mentore, rimane incinta
e decide di lasciare la professione per fare la mamma a tempo pieno (3.17).
Diane (Christine Baranski) chiede ad Alicia di dire alla ragazza che non è
necessario fare una scelta di questo tipo, ma Caitlin la rassicura dicendo che
è effettivamente ciò che vuole, e non le serve avere tutto per sentirsi
realizzata. Quando Alicia lo riporta a Diane le si domanda se è per questo che
hanno rotto il soffitto di
cristallo, e Alicia le risponde che forse sì, forse è proprio per quello. In
poche scene e poi letteralmente in due frasi è incapsulato il dibattito sulla
vecchia e nuova generazione di femministe.
Sotto numerosi aspetti The Good Wife è televisione al suo
meglio. Potrà sfuggire nella visione di un singolo episodio, che facilmente si
sottovaluta magari, ma è una serie che costruisce la sua complessità sulla narrazione
lunga. Da non perdere.
Nessun commento:
Posta un commento