Non mi capacito che Vikings abbia ricevuto addirittura 70 su Metacritic. La mia
reazione dopo il pilot è stata: ha fallito il Bechdel test.
Le donne sono solo buchi in questo show (perdonate la volgarità). So che cosa
non guarderò… Ma, andiamo per ordine.
L’idea di base è
intrigante: costruire una serie TV storica ispirandosi alle leggende nordiche
dei Vichinghi del primo medioevo e alla mitologia norrena, fondata su una ricca
tradizione orale messa poi per iscritto poi nel XIII secolo. Filmata in Irlanda
per il canale canadese History, è stata ideata da Michael Hirst (I Borgia, I Tudor), che ha un gusto da giornale tabloid per la storia, un po’
di verità e un po’ di storie romanzate e vagamente scandalose insomma.
Il protagonista è una
figura leggendaria in quella cultura, l’agricoltore
e condottiero Ragnar Lodbrok (Travis Fimmel), sposato con Lagertha (Katheryn
Winnick), una ex-shieldmaiden cioè, secondo la mitologia Scandinava, una donna
guerriera, dalla quale ha avuto due figli, il più piccolo dei quali Bjorn
(Nathan O’Toole) lo segue nelle sue imprese, mentre la sorella più grande
rimane con la madre. Ragnar, contro il volere del loro capo, Earl Haraldson
(Gabriel Byrne, In Treatment),
intende navigare non solo a est, come sono abituati, ma anche in terre
sconosciute a sud e ovest – in questo The American Spectator ha criticato la
serie come storicamente inaccurata, poiché alle popolazioni dell’epoca le Isole
Inglesi erano ben note e il governo vichingo era all’opposto di come lo si
mostra qui: contavano libertà e democrazia, mentre autocrazia e centralizzazione
erano concetti nuovi, anche se ci sarebbero altre inaccuratezze. In questo suo
progetto Ragnar viene sostenuto dall’amico un po’ svitato, ma abile nel
costruire imbarcazioni, Floki (Gustaf Skarsgǻrd) e dal fratello Rollo
(Clive Standen), personaggio basato sul Rollo storico, che sarebbe diventato
duca di Normandia, che nella finzione della storia concupisce la cognata. Del cast fanno anche parte Siggy (Jessalyn
Gilsig, Glee), la moglie del capo
vichingo, e il monaco Athelstan (George Blagden), catturato da Ragnar.
La recitazione è senz’altro
buona, i dettagli culturali intrigano, e forse sarà una storia di cui
apprezzare i conflitti di potere che si notano sull’arco. Il senso di scoperta c’è.
Non ho notato tanto il “ritmo glaciale”, la “regia fiacca” e la verbosità che
vengono rimproverati da
David Wiegand sul San Francisco
Chronicle, ma forse perché la pessima (sotto)rappresentazione delle donne ha
catalizzato tutta la mia attenzione. Intanto nel pilot saranno loro concessi
solo 5 dei circa 45, e che cosa succede in questo tempo? Lagherta viene minacciata
da due uomini che vogliono violentarla, in un paio di occasioni viene mostrata
a letto con il marito, la seconda volta delle quali gli dice che vuole
cavalcarlo, e poi viene “molestata” dal cognato. Per quanto con il marito le scene
siano di piacere reciproco, il solo momento in cui fa qualcosa che non sia
essere un oggetto in qualcuno infili o voglia infilare dentro il suo coso è
quando dice ai bambini di andare a dormire e lasciare gli uomini parlare. E l’altra
figura femminile, Siggy, non ha proferito una sola parola in tutto il tempo.
Durante una cerimonia di giuramento di lealtà al loro capo di un paio di
ragazzini, durante il quale ricevono dei bracciali (“anelli per le braccia” li
chiamano in originale), lei li bacia per segnare il loro passaggio fra gli
adulti, e la notte, quando il marito si sveglia di soprassalto per un incubo
gli mette una mano sul braccio per rassicurarlo. Direi che la mia opinione,
così come l’ho espressa all’inizio, è abbastanza motivata.
Vickings insomma da quel che ho potuto vedere è solo un Game
of Thrones wannabe,
e non ci arriva vicino nemmeno per sbaglio.
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