martedì 12 maggio 2015

THE GOOD WIFE: la sesta stagione


The Good Wife è sempre così denso e articolato che tante volte non ne scrivo proprio per una sorta di timore reverenziale. Ogni puntata meriterebbe una complessa analisi. Anche con la sesta stagione si è confermata una delle migliori serie in circolazione. Con la scesa in campagna elettorale di Alicia in lizza come Procuratore dello Stato la serie si è fatta ancora più politica di quanto non fosse già e ha ben esaminato i labili, porosi confini fra il mondo della gestione della cosa pubblica e quello della legge, fra giustizia e criminalità  - anche con la prima metà della stagione che ha visto Cary Agos (Matt Czuchry) ingiustamente dietro le sbarre, o nel rapporto di tutti i personaggi con lo scomodo Bishop (Mike Colter) -, fra ruoli personali e pubblici. Mi sono molto interrogata, ad esempio, su che cosa intendessero realmente dire in “Read Meat” (1.16) quando Alicia (Julianna Margulies) e Finn (Matthew Goode), dopo la vittoria di lei, uccidono vari nemici in un videogioco, mentre Diane (Christine Baranski), riluttantemente in compagnia repubblicana a seguito del marito Kurt (Gary Cole), si unisce a una battuta di caccia con il potente Gil Berridge (Oliver Platt). Sembra quasi che il senso sia che la politica vera è in fondo un gioco e che la vera politica “accade” spesso altrove, nelle occasioni sociali.

Se c’è una e una sola lezione che mi porto dietro da questa stagione è che non c’è spazio in politica per l’ironia, quel “sorriso della ragione” che tanto mi sta a cuore. Alicia ha dovuto impararlo in fretta. Sempre di più e in modo sempre più esplicito hanno messo in primo piano il tema delle modalità di costruzione e controllo della narrativa: la costruzione ad uso del pubblico di come i personaggi pubblici vengono costruiti per essere percepiti in un modo piuttosto che in un altro e la manipolazione a proprio vantaggio della prospettiva in cui una “storia” (personale, politica, sociale) va raccontata per veicolare il messaggio voluto. Tutto è narrativa e come la costruisci fa la differenza fra vincere e perdere, fra persuadere o dissuadere. Come ci si gioca il rapporto fra sostanza e apparenza può essere tutto. Nella rivalità elettorale fra Alicia e Frank Prady (David Hyde Pierce), che cercano di essere corretti l’uno nei confronti dell’altra, e attraverso i consigli professionali di Johnny (Steven Pasquale), si ritorna con insistenza su questo punto, così come emerge nel rapporto con la stampa, in particolare con Petra Moritz (Lily Rabe) che intervista Alicia dopo la vittoria. Ma puntare il dito su un dettaglio specifico è superfluo, perché tutta la serie, davvero, esplora questa tematica in modo intenso. E affidandola spesso alle esagerate preoccupazioni di Eli (Alan Cumming) si fanno notare strategie e tattiche in modo estremamente umoristico. Le scene con lui, così come quelle con David Lee (Zach Grenier), sono dosate con il contagocce, ma forse anche per questo sempre attese e godibilissime.

Si fa notare anche la concezione per cui la legge deve essere equa, non impersonale. È sempre personale, altrimenti sarebbe senza significato, per parafrasare quanto detto da Diane Lockhart (6.18). Ed è interessante anche notare come il praticarla porti Alicia a non considerarla più come una cosa buona, ma neutrale, anche consapevoli che ciò che è giusto e ciò che è legale non sempre vanno a braccetto (6.21). 

Continua poi il forte interesse per il collegamento fra legge e tecnologia. Un esempio è stato quello sul malfunzionamento di un arma realizzata in casa con una stampante 3D con le istruzioni trovate online (1.15). E, anche se solo accennato, è affascinante il rapporto con la religione. Non si può non notare che, mutatis mutandis, The Good Wife e The Americans affrontano la stessa tematica di giovani adolescenti che si avvicinano alla fede lì dove i genitori sono indifferenti o contrari. Grace, la figlia di Alicia, ha una crisi di fede poi nel corso di questa stagione, ma la tematica è rimasta aperta.
L’attesa uscita di scena di Kalinda (6.20) è stata costruita in modo certosino e credibile, e non è mancato un momento di commozione quando, apparentemente rivolta a Grace, la figlia di Alicia, si è rivolta in camera e ha detto al pubblico il suo “goodbye” definitivo, pur comparendo anche nelle due puntate successive. Ben calibrata poi la “solidificazione” nel cast di Finley “Finn” Polmar, entrato nella scorsa stagione.  


Una stagione avvincente, con un cast sempre superbo, guest star comprese, per un programma pregno che mi lascia sempre ispirata. E una finale che, ancora una volta, sorprende e si apre a mille nuove possibilità. 

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