The Good Wife è sempre così denso e articolato che tante
volte non ne scrivo proprio per una sorta di timore reverenziale. Ogni puntata
meriterebbe una complessa analisi. Anche con la sesta stagione si è confermata
una delle migliori serie in circolazione. Con la scesa in campagna elettorale
di Alicia in lizza come Procuratore dello Stato la serie si è fatta ancora più
politica di quanto non fosse già e ha ben esaminato i labili, porosi confini
fra il mondo della gestione della cosa pubblica e quello della legge, fra
giustizia e criminalità - anche con la
prima metà della stagione che ha visto Cary Agos (Matt Czuchry) ingiustamente
dietro le sbarre, o nel rapporto di tutti i personaggi con lo scomodo Bishop (Mike
Colter) -, fra ruoli personali e pubblici. Mi sono molto interrogata, ad
esempio, su che cosa intendessero realmente dire in “Read Meat” (1.16) quando
Alicia (Julianna Margulies) e Finn (Matthew Goode), dopo la vittoria di lei,
uccidono vari nemici in un videogioco, mentre Diane (Christine Baranski),
riluttantemente in compagnia repubblicana a seguito del marito Kurt (Gary Cole),
si unisce a una battuta di caccia con il potente Gil Berridge (Oliver Platt). Sembra
quasi che il senso sia che la politica vera è in fondo un gioco e che la vera
politica “accade” spesso altrove, nelle occasioni sociali.
Se c’è una e una sola
lezione che mi porto dietro da questa stagione è che non c’è spazio in politica
per l’ironia, quel “sorriso della ragione” che tanto mi sta a cuore. Alicia ha
dovuto impararlo in fretta. Sempre di più e in modo sempre più esplicito hanno
messo in primo piano il tema delle modalità di costruzione e controllo della
narrativa: la costruzione ad uso del pubblico di come i personaggi pubblici
vengono costruiti per essere percepiti in un modo piuttosto che in un altro e la
manipolazione a proprio vantaggio della prospettiva in cui una “storia”
(personale, politica, sociale) va raccontata per veicolare il messaggio voluto.
Tutto è narrativa e come la costruisci fa la differenza fra vincere e perdere,
fra persuadere o dissuadere. Come ci si gioca il rapporto fra sostanza e
apparenza può essere tutto. Nella rivalità elettorale fra Alicia e Frank Prady
(David Hyde Pierce), che cercano di essere corretti l’uno nei confronti
dell’altra, e attraverso i consigli professionali di Johnny (Steven Pasquale), si
ritorna con insistenza su questo punto, così come emerge nel rapporto con la
stampa, in particolare con Petra Moritz (Lily Rabe) che intervista Alicia dopo
la vittoria. Ma puntare il dito su un dettaglio specifico è superfluo, perché
tutta la serie, davvero, esplora questa tematica in modo intenso. E affidandola
spesso alle esagerate preoccupazioni di Eli (Alan Cumming) si fanno notare
strategie e tattiche in modo estremamente umoristico. Le scene con lui, così
come quelle con David Lee (Zach Grenier), sono dosate con il contagocce, ma
forse anche per questo sempre attese e godibilissime.
Si fa notare anche la
concezione per cui la legge deve essere equa, non impersonale. È sempre
personale, altrimenti sarebbe senza significato, per parafrasare quanto detto
da Diane Lockhart (6.18). Ed è interessante anche notare come il praticarla
porti Alicia a non considerarla più come una cosa buona, ma neutrale, anche consapevoli
che ciò che è giusto e ciò che è legale non sempre vanno a braccetto
(6.21).
Continua poi il forte
interesse per il collegamento fra legge e tecnologia. Un esempio è stato quello
sul malfunzionamento di un arma realizzata in casa con una stampante 3D con le
istruzioni trovate online (1.15). E, anche se solo accennato, è affascinante il
rapporto con la religione. Non si può non notare che, mutatis mutandis, The Good
Wife e The Americans affrontano
la stessa tematica di giovani adolescenti che si avvicinano alla fede lì dove i
genitori sono indifferenti o contrari. Grace, la figlia di Alicia, ha una crisi
di fede poi nel corso di questa stagione, ma la tematica è rimasta aperta.
L’attesa uscita di scena
di Kalinda (6.20) è stata costruita in modo certosino e credibile, e non è
mancato un momento di commozione quando, apparentemente rivolta a Grace, la
figlia di Alicia, si è rivolta in camera e ha detto al pubblico il suo
“goodbye” definitivo, pur comparendo anche nelle due puntate successive. Ben
calibrata poi la “solidificazione” nel cast di Finley “Finn” Polmar, entrato
nella scorsa stagione.
Una stagione avvincente,
con un cast sempre superbo, guest star
comprese, per un programma pregno che mi lascia sempre ispirata. E una finale
che, ancora una volta, sorprende e si apre a mille nuove possibilità.
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