Kirsten (Emma Ishta),
una ragazza che soffre di una fittizia malattia chiamata displasia che la rende
incapace di percepire lo scorrere del tempo, viene arruolata in un programma di
“tessitura”: con un sistema bioelettrico gestito da una agenzia federale segreta guidata da Maggie (Salli
Richardson-Whitfield, Eureka), la sua
coscienza viene “tessuta” (“stitched” in inglese) nella memoria di persone da
poco morte, al fine di recuperare a vari fini i loro ultimi ricordi. Nel pilot,
ad esempio, la “cuciono” nella mente di una persona che ha posizionato delle
bombe pronte ad esplodere, per capire dove si trovano e per disinnescarle. Una
squadra, di cui fanno parte il neuroscienziato Cameron Goodkin (Kyle Harris) e
l’ingegnere bioelettrico Linus Ahluwalia (Ritesh Rajan), monitorizza le sue
reazioni, pronta ad intervenire lì dove è necessario e a “scucirla”.
Questa è la base narrativa da cui parte Stitchers: un pizzico di Fringe, un po’ di iZombie, qualche goccia di Alias
e una spruzzata di The Big Bang Theory.
Ideata da Jeffrey Alan Schechter, che
non la considera fantascienza ma fiction speculativa, questa serie di ABC
Family avrebbe anche avuto del potenziale. Poteva diventare un telefilm capace
di indagare i limiti della memoria e del tempo, nella confezione di un
procedurale leggero. È ben lungi dall’esserlo: si prende decisamente troppo sul
serio, o forse semplicemente quando cerca di scherzare non ci riesce fino in
fondo.
La protagonista si vuole
che sia poco reattiva e competente emozionalmente – con la compagna di stanza
Camille Engelson (Allison Scagliotti) ha un pessimo rapporto, se tale si può
definire; il suo passato familiare pure ha molte aree poco chiare. Questo sulla
carta è una buona base per consentirle un apprendimento mediato dalla psiche
degli altri. È evidente che è quella sarebbe l’intenzione, ma sullo
schermo non si vede che ci si possa riuscire, se non in modo molto superficiale.
Almeno in partenza, la
serie è scritta alla carlona e assemblata quasi fosse una specie di
Frankenstein: gli stitches narrativi,
i punti di sutura, sono troppo approssimativi e visibili. Ne è uscito un
mostro.
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