So di essere in minoranza, ma mi è molto piaciuta la quinta stagione di Game of Thrones, che ho trovato rivitalizzata, a momenti tragedia
greca, a momenti storia romana, biblica e shakespeariana. E la season finale, “Mother’s Mercy – Madre misericordiosa”
(5.10), scritta da David Benioff e D.B. Weiss, mi ha elettrizzata come non succedeva
ormai dalla prima stagione: è stata intensa e così ricca di colpi di scena che
si rincorrevano, grandi e piccoli, che non c’era nemmeno il tempo di prendere
fiato. C’è stato quasi un sovraccarico adrenalinico, ma decisamente appagante. Le
polemiche in proposito si sono sprecate, e alcune critiche hanno anche
fondamenti ragionevoli, ma non le condivido.
Attenzione SPOILER sulla
chiusura della quinta stagione.
Alcuni avvenimenti che hanno
pompato sangue nella puntata – Arya che diventa cieca; Theon/Reek e Sansa che
saltano dalle mura di Winterfell; Daenerys che non riesce a tornare a casa
perché il suo drago è ferito e finisce circondata dai Dothraki – sono veri e
propri cliffhanger nel senso che la
risoluzione della situazione è ormai posticipata alla prossima stagione. Ci
sono stati momenti toccanti (l’incontro padre-figlia fra Jamie e Myrcella, Sam
e John Snow che si salutano, Melisandre che riporta a Davos che Shireen è morta)
e di fugace soddisfazione (Tyrion e Varys che si ritrovano – la forza della
ragione in un mondo fanatico).
E poi naturalmente ci
sono state le morti: quella a flash del cadavere di Selyse che penzola impiccata
per suicidio; quella inaspettata, quasi istantanea, shoccante e ingiusta di
Myrcella che muore avvelenata fra le braccia del padre; quella attesa e da lui
a questo punto quasi desiderata di Stannis , che ha ucciso la figlia come
sacrificio per la vittoria in battaglia (con evidenti echi di Agamennone e
Ifigenia), e su cui Brienne ha fatto cadere la spada (o almeno così presumiamo –
l’evento in sé non si è visto, e questo lascia margine di ipotesi alternative);
e naturalmente quella più sconvolgente di tutte, quella di John Snow, pugnalato
dai confratelli Guardiani della Notte, molto “Giulio Cesare” (Tu quoque, Olly?), avvenuta in chiusura,
che ci lascia con questo gran protagonista steso sulla neve mentre gli cola
fuori il sangue.
Quest’ultima morte
specifica si è trascinata dietro una bufera di reazioni. E se comprendo che l’affetto
per uno specifico personaggio – per quanto per me lagnoso come lui, che ad
esclusione dei momenti delle sue relazioni personali è più interessante da
morto che da vivo – trovo incomprensibile la rabbia e l’indignazione per questa
morte. Valar Morghulis è un motto della
serie – tutti gli uomini devono morire. Se c’è una e una sola regola che è
chiara almeno dal momento della decapitazione di Ned Stark nella prima stagione
è che nessun personaggio è al sicuro, tutti sono sacrificabili e chiunque potrebbe
essere il prossimo a lasciarci le penne. Per quello sdegnarsi tanto della morte
di qualunque personaggio significa solo non aver capito l’ethos della serie, e
mi chiedo per che cosa uno la segua proprio a fare, se è così. Personalmente mi
sorprenderebbero solo le morti di Arya, Daenerys e Tyrion, ma nemmeno loro sono
al sicuro. Anzi, mi aspetto che muoiano anche loro, prima o poi. Io immagino la
chiusura di tutta la storia con l’ipotetica morte di uno degli ultimi due, ad
esempio.
C’è chi ipotizza,
nonostante l’attore abbia dichiarato nelle interviste che non è previsto un suo
ritorno, che in realtà John Snow non sia definitivamente morto: Melisandre
potrebbe averlo resuscitato, potrebbe diventare un Estraneo, il suo spirito
potrebbe essersi trasferito in un metalupo… In quel caso, staremo a vedere. Ma
nel frattempo, in tono molto brusco e poco compassionevole, mi verrebbe da dire
“piantatela di frignare, e godetevi la storia”. E il “frignare” non lo intendo
riferito al piangere il personaggio, il lutto per il quale può ben essere sentito
e anzi è un buon segno per i narratori, ma nel senso di smetterla di considerarlo
un tradimento da parte degli autori che stanno invece proprio per questo
facendo un buon lavoro.
Il secondo altro momento
del contendere della finale di stagione, oltre alla dipartita di John Snow, è
stata la “walk of shame” – la-camminata-della-vergogna di Cersei Lannister, finalmente
liberata dal carcere, ma costretta a percorrere la strada fino al castello nuda,
in mezzo alla folla che la ingiuria e la denigra, seguita da una donna che ad
ogni istante ripete “vergogna”, mentre ferita ai piedi, sempre più laceri,
affamata e disidratata, ricoperta di sterco e sputi trattiene a stento le
lacrime di dolore e umiliazione. La scena, basata
da Martin sulle vicende storiche di Jane Shore, una delle amanti di Edoardo
IV che ha dovuto fare una simile camminata per Londra (sebbene vestita), ha radici
storiche profonde - nella Francia del XIII° secolo, ad esempio, le adultere
venivano portate nude per le strade per la pubblica umiliazione – e questa
punizione richiama numerosi racconti di letteratura medievale di pubblica
prostrazione (con flebili echi di Lancillotto e Ginevra in questo caso, nota
qualcuno). L’ho trovato un momento eccellente, lungo, doloroso e mortificante,
ben recitato da Lena Headey che ha mantenuto una dignitosa compostezza e regale
eleganza, pur nella fragilità e tragicità del momento, mostrando i tentativi di
piegarla e la forza di superarli e la speranza per un riscatto futuro. È
stato un momento “cristico” di una via crucis che mi ha genuinamente provocato
il pianto. La regia di David Nutter ha sempre avuto il polso della situazione,
ed è stato così per tutta la puntata.
Molti vedono in questa
scena un atteggiamento misogino. Non io. La serie mostra parecchia misoginia,
ma non mi sento di accusare la serie di macchiarsene. Anzi. Spesso e volentieri
considero femminista la creazione di George R.R. Martin, anche così come interpretata
per la televisione. C’è molta violenza e tanta è a scapito delle donne, ma
altrettanta è a scapito degli uomini. Game
of Thrones mostra un mondo di stampo medievale. È un
mondo brutale. La finzione fa il mimo della realtà.
E se alla fine di tutto
siete stufi di tragedie e di pianti, fatevi due risate con l’esilarante musical dei Coldplay basato sulla serie
(su FB trovate anche la versione sottotitolata in italiano: qui).
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