Dal pilot (il cui titolo
è appropriatamente “Launch”) The
Autronaut Wives Club, che è stata “lanciata” lo scorso 18 giugno sull’americana
ABC, è sembrata una superficiale Army
Wives in versione vintage, o un Pan
Am, un po’ più “gossipposa”, ma concederò qualche altra puntata a
questa serie sviluppata per la TV da Stephanie Savage (Gossip Girl) e basata sul libro dallo
stesso titolo di Lily Koppel. Le critiche che ho sentito su quest’ultimo lamentavano
la presenza di troppi personaggi, senza che nessuno venisse realmente approfondito
e un eccesso di pettegolezzo. È la sensazione avuta in partenza anche
dalla serie, dove i tanti personaggi sono poco nitidi o appena abbozzati e alla
fine del primo appuntamento solo tre o quattro si riescono a focalizzare.
Siamo agli inizi degli
anni ’60 e gli Stati Uniti, in rivalità con l’Unione Sovietica, intraprendono
delle missioni per inviare l’uomo nello spazio e poi sulla luna. Gli astronauti
(gli originali Mercury Seven) diventano dei veri eroi nazionali, e le donne che
stanno loro accanto come mogli attraggono la stampa “leggera” che all’improvviso
vuole sapere tutto di loro. Diventano quasi una sorta di club e si creano alleanze
e rivalità e dietro all’apparenza di famiglie perfette, si scoprono le vite
vere. I personaggi sono persone realmente vissute.
Sono Betty (JoAnna
Garcia Swischer), sposata con Gus Grissom (Joel Johnstone); Rene (Yvonne
Strahovski), sposata con Scott Carpenter (Wilson Bethel); Louise (Dominique
McElliott), sposata con Alan Shephard (Desmond Harrington); Trudy (Odette
Annable), sposata con Gordon “Gordo” Cooper (Bret Harrison); Marge (Erin
Cummings), sposata con Deke Slayton (Kenneth Mitchell); Annie (Azure Parsons),
sposata con John Glenn (Sam Reid); e Jo
(Zoe Boyle), sposata con Wally Schirra (Aaron McClusker). Le segue un
giornalista, Max Kaplan (Luke Kirby).
L’attenzione di queste
donne sotto i riflettori è direttamente proporzionale a quella dei propri
mariti. La prima a emergere del gruppo è Louise Shepard, ultrariservata e schietta
nel dire al consorte di non umiliarla privatamente o pubblicamente nel momento
in cui lo vede amoreggiare con un’altra donna. Alan è stato scelto come il
primo uomo per andare sullo spazio, ma i russi battono tutti mandandoci Yuri
Gagrin. Un evento epico come questo è menzionato come occasione di delusione
per Alan, per bocca di Dunkan “Dunk” Pringle (Evan Handler, Californication), addetto alle pubbliche
relazioni della NASA, ma ha davvero poco
impatto emotivo-narrativo. E l’entusiasmo per il fatto che comunque rimane il primo americano è presente, ma molto
tiepido. Qui e lì ci sono pagliuzze dei cambiamenti socio-culturali e
femministi che stanno avvenendo a quell’epoca, ma almeno per ora sembrano
estremamente deboli.
Uno degli aspetti più
godibili è la commistione fra tranche di filmati di repertorio risalenti a
quell’epoca e fiction attuale. Ad esclusione di quello il risultato è molto
fiacco.
Nessun commento:
Posta un commento