sabato 20 giugno 2015

THE ASTRONAUT WIVES CLUB: fiacco e poco nitido


Dal pilot (il cui titolo è appropriatamente “Launch”) The Autronaut Wives Club, che è stata “lanciata” lo scorso 18 giugno sull’americana ABC, è sembrata una superficiale Army Wives in versione vintage, o un Pan Am, un po’ più “gossipposa”, ma concederò qualche altra puntata a questa serie sviluppata per la TV da Stephanie Savage (Gossip Girl) e basata sul libro dallo stesso titolo di Lily Koppel. Le critiche che ho sentito su quest’ultimo lamentavano la presenza di troppi personaggi, senza che nessuno venisse realmente approfondito e un eccesso di pettegolezzo. È la sensazione avuta in partenza anche dalla serie, dove i tanti personaggi sono poco nitidi o appena abbozzati e alla fine del primo appuntamento solo tre o quattro si riescono a focalizzare.

Siamo agli inizi degli anni ’60 e gli Stati Uniti, in rivalità con l’Unione Sovietica, intraprendono delle missioni per inviare l’uomo nello spazio e poi sulla luna. Gli astronauti (gli originali Mercury Seven) diventano dei veri eroi nazionali, e le donne che stanno loro accanto come mogli attraggono la stampa “leggera” che all’improvviso vuole sapere tutto di loro. Diventano quasi una sorta di club e si creano alleanze e rivalità e dietro all’apparenza di famiglie perfette, si scoprono le vite vere. I personaggi sono persone realmente vissute.

Sono Betty (JoAnna Garcia Swischer), sposata con Gus Grissom (Joel Johnstone); Rene (Yvonne Strahovski), sposata con Scott Carpenter (Wilson Bethel); Louise (Dominique McElliott), sposata con Alan Shephard (Desmond Harrington); Trudy (Odette Annable), sposata con Gordon “Gordo” Cooper (Bret Harrison); Marge (Erin Cummings), sposata con Deke Slayton (Kenneth Mitchell); Annie (Azure Parsons), sposata con  John Glenn (Sam Reid); e Jo (Zoe Boyle), sposata con Wally Schirra (Aaron McClusker). Le segue un giornalista, Max Kaplan (Luke Kirby).

L’attenzione di queste donne sotto i riflettori è direttamente proporzionale a quella dei propri mariti. La prima a emergere del gruppo è Louise Shepard, ultrariservata e schietta nel dire al consorte di non umiliarla privatamente o pubblicamente nel momento in cui lo vede amoreggiare con un’altra donna. Alan è stato scelto come il primo uomo per andare sullo spazio, ma i russi battono tutti mandandoci Yuri Gagrin. Un evento epico come questo è menzionato come occasione di delusione per Alan, per bocca di Dunkan “Dunk” Pringle (Evan Handler, Californication), addetto alle pubbliche relazioni della NASA,  ma ha davvero poco impatto emotivo-narrativo. E l’entusiasmo per il fatto che comunque  rimane il primo americano è presente, ma molto tiepido. Qui e lì ci sono pagliuzze dei cambiamenti socio-culturali e femministi che stanno avvenendo a quell’epoca, ma almeno per ora sembrano estremamente deboli. 

Uno degli aspetti più godibili è la commistione fra tranche di filmati di repertorio risalenti a quell’epoca e fiction attuale. Ad esclusione di quello il risultato è molto fiacco. 

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