La celebrata “Hope”
(2.16) è con ogni probabilità il vertice della eccellente seconda stagione di Black-ish. Papà Dre (Anthony Anderson),
Mamma Rainbow (Tracee Ellis Ross), la primogenita Zoey (Yara Shahidi), il
figlio Junior (Marcus Scribner), i gemelli Jack (Miles Brown) e Diane (Marsai
Martin) e i nonni Pops (Laurence Fishburne) e Ruby (Jenifer Lewis) sono in soggiorno
davanti alla TV e gli adulti cercano di spiegare a figli e nipoti come mai ci
sono molti giovani arrabbiati, come reazione all’ennesimo evento di violenza da
parte di poliziotti nei confronti di neri disarmati. Punteggiano la puntata riferimenti
a “Between the world and me” di Ta-Nehishi Coates, libro mostrato anche
fisicamente. E si discute seriamente, fra le molte battute. È
stata una volta in più quello che la sit-com è riuscita spesso ad essere sin
dal suo esordio e in modo acuto in questo secondo round: attuale, pregnante,
rilevante. Lo è in generale per la cultura americana e anche specificatamente in
questo caso per la cultura Afro-Americana. I Johnson sono neri, e giustamente
non vogliono fingere di non esserlo anche se si è nella cosiddetta società
post-razziale.
In “The Word” (1.01) si
è discusso su chi e quando può usare l’epiteto fortemente razzista e insultante
che inizia con la lettera enne, in americano, quella che appunto chiamano “the
n word”, dopo che il piccolo usa la parola in uno spettacolo scolastico; in “Rock,
Paper, Scissors, Gun” (2.02) si è affrontato il tema dell’opportunità di tenere
o meno un’arma in casa, per ragioni di sicurezza per la propria famiglia, con
Dre favorevole, e Bow contraria; in “Keeping up with the Johnsons” si sono
trattate questioni di danaro, tema in realtà trasversale in molte delle puntate
– la serie ripudia la romanticizzazione facilona della povertà, visto come cosa
sofferta in più occasioni (si pensi anche alla 2.10, su cui farò un post
apposito, o a 2.22 o alla finale 2.24); in “Sink o Swim” (2.14), oltre a
posizionarsi contro gli stereotipi razziali – dei neri come mangiatori
d’anguria o incapaci di nuotare, attività che non avrebbero mai avuto il tempo
di apprendere impegnati nel loro “tirocinio non pagato”, come scherzosamente è
definita la schiavitù – ci si scaglia anche contro gli stereotipi di genere: i
gemelli, seguendo le proprie inclinazioni, si scambiano le attività che la
nonna e la comunità vuole loro imporre in base al loro sesso, lui cucina e lei
si dà al salvataggio; Dre si definisce un femminista, ma in casa si discute
ferocemente se sia opportuno o meno per la moglie prendere il cognome del
marito in “Johnson & Johnson” (2.20), perché lui lo vorrebbe, ma lei no; il
ruolo della paternità (2.04) e della maternità, le cure mediche e i check up
dei neri (2.03), il ruolo del barbiere della comunità (2.08), l’amicizia (2.11),
l’educazione dei figli (2.19)…
C’è una prospettiva
multi-generazionale e spesso, con foto dei tempi andati, si dà proprio anche una
prospettiva storica. Si riportano fatti veri, spesso con molta ironia. Le
risate infatti sono abbondanti, anche per i commenti spesso esageratamente
razzisti o comunque fuori dalla realtà nera dei colleghi di lavoro di Dre,
esilarante coro greco sulle vicende, anche per le reiterate situazioni di assoluto
egoismo della vendicativa e tremendissima piccola Diane, anche per le
disfunzionali dinamiche suocera-nuora che elevano l’insulto a arte umoristica
nella tradizione de I Jefferson, anche infine per l’autentica capacità
espressiva attoriale, e penso in particolare alla magnificamente plastica Ross,
o Deon Cole, che interpreta Charlie, a cui basta un’espressione degli occhi per
elicitare il riso. Non sono mancate nemmeno parodie su modalità narrative
specifiche, come quella del documentario (in 2.17 con Diane che deve fare un
documentario appunto su Jack che gioca a basket) o quella del promo elettorale
(in 2.18, con Diane impegnata in una sua personalissima campagna).
Un tema emerso in modo
esplicito è la pressione a essere un modello per una comunità nera in mancanza
di una pluralità di opzioni. Gli Obama vengono menzionati in più di
un’occasione - e i Johnson si vestono
anche come la famiglia Obama per
Halloween (2.06) – ma è alla TV che molto si guarda. Casi giudiziari recenti a
parte, pure menzionati, ci si inchina dinanzi a “I Robinson” che sono stati un
faro da cui si vuole raccogliere la staffetta – ne ripropongono perfino la sigla, con loro stessi come protagonisti,
in pochi secondi che mostrano una volta di più la loro eccellenza (2.21). In
alcuni di questi dibattiti, davvero il metatesto si fa testo. Si menzionano
comunque altri show “neri”, che siano i più recenti Scandal (2.03) ed Empire
(2.08) o i più vintage Arnold o Good Times (2.24). È
chiaramente uno show con una propria consapevole identità televisiva, conscio
anche dell’eredità che reclama.
Nominata all’Emmy come
miglior serie comica, Black-ish, non
ha portato quest’anno a casa una statuetta che avrebbe facilmente meritato per
una stagione che è stata vincente su tutta la linea: vibrante, appassionata, intelligente,
amorevole, esilarante.
Nessun commento:
Posta un commento