lunedì 10 ottobre 2016

BLACK-ISH: una brillante seconda stagione


La celebrata “Hope” (2.16) è con ogni probabilità il vertice della eccellente seconda stagione di Black-ish. Papà Dre (Anthony Anderson), Mamma Rainbow (Tracee Ellis Ross), la primogenita Zoey (Yara Shahidi), il figlio Junior (Marcus Scribner), i gemelli Jack (Miles Brown) e Diane (Marsai Martin) e i nonni Pops (Laurence Fishburne)  e Ruby (Jenifer Lewis) sono in soggiorno davanti alla TV e gli adulti cercano di spiegare a figli e nipoti come mai ci sono molti giovani arrabbiati, come reazione all’ennesimo evento di violenza da parte di poliziotti nei confronti di neri disarmati. Punteggiano la puntata riferimenti a “Between the world and me” di Ta-Nehishi Coates, libro mostrato anche fisicamente. E si discute seriamente, fra le molte battute. È stata una volta in più quello che la sit-com è riuscita spesso ad essere sin dal suo esordio e in modo acuto in questo secondo round: attuale, pregnante, rilevante. Lo è in generale per la cultura americana e anche specificatamente in questo caso per la cultura Afro-Americana. I Johnson sono neri, e giustamente non vogliono fingere di non esserlo anche se si è nella cosiddetta società post-razziale.

In “The Word” (1.01) si è discusso su chi e quando può usare l’epiteto fortemente razzista e insultante che inizia con la lettera enne, in americano, quella che appunto chiamano “the n word”, dopo che il piccolo usa la parola in uno spettacolo scolastico; in “Rock, Paper, Scissors, Gun” (2.02) si è affrontato il tema dell’opportunità di tenere o meno un’arma in casa, per ragioni di sicurezza per la propria famiglia, con Dre favorevole, e Bow contraria; in “Keeping up with the Johnsons” si sono trattate questioni di danaro, tema in realtà trasversale in molte delle puntate – la serie ripudia la romanticizzazione facilona della povertà, visto come cosa sofferta in più occasioni (si pensi anche alla 2.10, su cui farò un post apposito, o a 2.22 o alla finale 2.24); in “Sink o Swim” (2.14), oltre a posizionarsi contro gli stereotipi razziali – dei neri come mangiatori d’anguria o incapaci di nuotare, attività che non avrebbero mai avuto il tempo di apprendere impegnati nel loro “tirocinio non pagato”, come scherzosamente è definita la schiavitù – ci si scaglia anche contro gli stereotipi di genere: i gemelli, seguendo le proprie inclinazioni, si scambiano le attività che la nonna e la comunità vuole loro imporre in base al loro sesso, lui cucina e lei si dà al salvataggio; Dre si definisce un femminista, ma in casa si discute ferocemente se sia opportuno o meno per la moglie prendere il cognome del marito in “Johnson & Johnson” (2.20), perché lui lo vorrebbe, ma lei no; il ruolo della paternità (2.04) e della maternità, le cure mediche e i check up dei neri (2.03), il ruolo del barbiere della comunità (2.08), l’amicizia (2.11), l’educazione dei figli (2.19)…

C’è una prospettiva multi-generazionale e spesso, con foto dei tempi andati, si dà proprio anche una prospettiva storica. Si riportano fatti veri, spesso con molta ironia. Le risate infatti sono abbondanti, anche per i commenti spesso esageratamente razzisti o comunque fuori dalla realtà nera dei colleghi di lavoro di Dre, esilarante coro greco sulle vicende, anche per le reiterate situazioni di assoluto egoismo della vendicativa e tremendissima piccola Diane, anche per le disfunzionali dinamiche suocera-nuora che elevano l’insulto a arte umoristica nella tradizione de I Jefferson,  anche infine per l’autentica capacità espressiva attoriale, e penso in particolare alla magnificamente plastica Ross, o Deon Cole, che interpreta Charlie, a cui basta un’espressione degli occhi per elicitare il riso. Non sono mancate nemmeno parodie su modalità narrative specifiche, come quella del documentario (in 2.17 con Diane che deve fare un documentario appunto su Jack che gioca a basket) o quella del promo elettorale (in 2.18, con Diane impegnata in una sua personalissima campagna).

Un tema emerso in modo esplicito è la pressione a essere un modello per una comunità nera in mancanza di una pluralità di opzioni. Gli Obama vengono menzionati in più di un’occasione  - e i Johnson si vestono anche come  la famiglia Obama per Halloween (2.06) – ma è alla TV che molto si guarda. Casi giudiziari recenti a parte, pure menzionati, ci si inchina dinanzi a “I Robinson” che sono stati un faro da cui si vuole raccogliere la staffetta – ne ripropongono perfino  la sigla, con loro stessi come protagonisti, in pochi secondi che mostrano una volta di più la loro eccellenza (2.21). In alcuni di questi dibattiti, davvero il metatesto si fa testo. Si menzionano comunque altri show “neri”, che siano i più recenti Scandal (2.03) ed Empire (2.08) o i più vintage Arnold o Good Times (2.24). È chiaramente uno show con una propria consapevole identità televisiva, conscio anche dell’eredità che reclama.

Nominata all’Emmy come miglior serie comica, Black-ish, non ha portato quest’anno a casa una statuetta che avrebbe facilmente meritato per una stagione che è stata vincente su tutta la linea: vibrante, appassionata, intelligente, amorevole, esilarante.

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