martedì 4 ottobre 2016

MACGYVER (2016): stantio


I cosiddetti MacGyverismi ammetto che lasciano sempre un po’ di stucco, ma il nuovo MacGyver, reboot dell’omonima serie TV degli anni ’80 con Richard Dean Anderson, delude moltissimo, anche se alla fine del pilot si spiega l’origine della Phoenix Foundation per cui l’eroe ha sempre lavorato e anche se si intravedono alcune delle sue caratteristiche distintive (la sua riluttanza all’uso delle armi da fuoco, ad esempio). Non è solo che non si rende giustizia all’iconico personaggio ideato da Lee David Zlotoff, è che il risultato è proprio pessimo.

Il giovane Angus MacGyver (Lucas Till), che qui non ha problemi a presentarsi col suo nome di battesimo, mentre nell’originale questo è un gran segreto per lungo tempo, dopo studi all’MTI, esperienza militare e trofei vari vinti in campo scientifico, lavora ora per il segretissimo Dipartimento di Servizi Esterni, al cui vertice c’è Patricia Thornton (Sandrine Holt, Hostages), che deve occuparsi dei soliti progetti di distruzione o conquista del mondo da parte di cattivi di turno. Accanto a lui troviamo Jack Dalton (George Eads, CSI), abile con le armi, e la sua ragazza Nikki (Tracy Spirikados, Revolution). Per la fine del pilot lei è uscita di scena (o forse no?) e al suo posto come analista informatica entra l’hacker fino ad allora tenuta in carcere di massima sicurezza, Riley Davis (Tristin Mays). Mac, come lo chiamano come nomignolo, ha poi un compagno di stanza (il cui ruolo sembra quello di consentire un momento leggero-comico), Wilt (Justin Hires).

Non si capisce davvero perché la CBS abbia deciso di riesumare quello che ha tutta l’aria di uno zombie, se non voleva impegnarsi a fare sul serio. Nessuno si aspetta cronaca vera, ma i personaggi sono così inverosimili da apparire risibili (un esempio per tutti Riley e la sua uscita dal carcere), quasi parodistici. Le vicende sono trite e il dialogo sono puramente di servizio – e nella prima puntata che esordisce con delle scene girate sul lago di Como non si ha avuto nemmeno l’accortezza di assumere degli under-five (così nel sistema americano vengono contrattualmente definiti quegli attori che sono più di mere comparse, ma hanno meno di 5 battute) che sapessero pronunciare l’italiano in modo decente.


Un primo pilot era stato cestinato perché non convinceva. Forse sarebbe stato meglio fare lo stesso con questo. Il cast è anche più che dignitoso, ma la qui non si dice nulla che non sia stato già detto, e meglio, in passato. Questa incarnazione sviluppata da Peter M. Lenkov  odora già di stantio. 

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