Nel pilot della serie
comica Fleabag (BBC3, Amazon), la protagonista
arriva a casa del padre nel mezzo della notte e gli dice: “Ho l’orribile
sensazione di essere una donna avida, pervertita, egoista, apatica, cinica,
depravata e moralmente corrotta che non può nemmeno definirsi una femminista”.
“Beh”, esita un momento il padre, “Hai preso tutto da tua madre”.
All’autodemolizione del personaggio, di cui non a caso non conosciamo mai il
nome (così come accade per altri all’interno della serie), ma solo il nomignolo
del titolo, che potremmo tradurre in italiano come “sacco di pulci”, “topaia”,
“cesso”, segue una battuta che, se fa ridere, è allo stesso tempo spietata.
Rende bene il tono della serie che è inteso come uno studio sul dolore, sulla
difficoltà di esprimerlo, sulle maschere e le strategie usate per coprirlo, e che,
pur cedendo alla malinconia e a molta drammaticità, assicura risate vigorose, non
mancando mai di lasciare come preminente un forte senso umoristico e ironico,
accentuato dalla tecnica di rompere la quarta parete, per
commentare con lo sguardo e le parole quanto accade e cercare la complicità
dello spettatore. Se in House of Cards,
che pure usa questa tecnica, accade occasionalmente, qui è un elemento
ricorrente, usato con sagacia e efficacia.
Fleabag - a cui dà il volto Phoebe Waller-Bridge, che ha
sviluppato la serie sulla base di un’opera teatrale da lei stessa scritta e
interpretata - è una giovane londinese
che gestisce da sola, dopo che la sua amica e partner in affari Boo (Jenny
Reinsford) è accidentalmente morta, un locale in crisi che ha come logo e leit
motiv un simpatico porcellino d’India. Ha perso la madre in giovane età, e
nella sua vita ci sono la sorella Claire (Sian Clifford), bella, posata e di
successo, sposata con Martin (Martin Gelman), il padre (Bill Paterson) emotivamente distante
e una matrigna (Olivia Colman) passivo-aggressiva che lei non sopporta e da cui
ruba una piccola scultura a inizio di stagione. Ha una serie di relazioni con
uomini diversi: da tempo, a intermittenza, con Harry (High Skinner); brevemente
con “il roditore dell’autobus” (Jamie Demetriou), un ragazzo dai denti
sporgenti; con l’attraente “arsehole guy” (Ben Aldridge), dove il nickname
potrebbe sì significare “il tipo stronzo”, ma qui è da intendersi in modo più
letterale come il “ragazzo del buco del culo” per il fatto che ama il sesso
anale. Nella sua vita ha un posto anche il manager di una banca (Hugh Dennis) a
cui lei si rivolge, senza successo, per un prestito.
Fleabag si comporta come
una ragazzina dispettosa e un po’ fuori di testa, pronta sempre a combinarne
una, allegramente diabolica, offensiva anche, o comunque senza filtri o senso
di appropriatezza - la “sorpresa” nella doccia fatta al suo fidanzato fa scompisciare
dal ridere anche solo a pensarci ed emblematico è il suo comportamento in
occasione di una sorta di ritiro in cui a lei a alla sorella viene richiesto di
rimanere in silenzio. Agisce con distacco e menefreghismo, è triste, auto-distruttiva
e intensamente sola - in fondo il suo
rompere la quarta parete è un segno di alienazione, quasi un appigliarsi a un
esterno dove la sua realtà non le basta. È cupa e briosa allo
stesso tempo. Con una riuscita mescolanza di commedia e tragedia si parla di
fragilità e connessione umana. “Penso
che [il mio obiettivo] fosse davvero di
parlare di amicizia in un modo che evitasse il sentimentalismo delle migliori
amiche per sempre, e anche di mostrare come possiamo darla per scontata, e la
perdita, la profonda perdita di qualcuno che ti conosce meglio di chiunque
altro” (AV
Club). Una dark
comedy che è uno dei migliori debutti del 2016.
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