Il debutto di Pose (sulla rete americana FX) ha convinto
molto di più di quanto non ci si aspettasse perché, confezionato in una
narrazione molto tradizionale, apre a un mondo totalmente sconosciuto ai più. Il
senso di anticipazione per la nuova serie firmata da Ryan Murphy, che l’ha
ideata insieme a Brad Falchuck e Steven Canals, già era alta: fa la storia
della televisione per avere il più grande numero di attori trans come
protagonisti e il più ampio cast di interpreti LGBTQ di qualunque serie di narrativa.
L’Huffington Post riporta anche (qui)
che tutti i proventi andranno in beneficienza a sfondo “arcobaleno” e in
particolare focalizzata su gruppi transgender.
Siamo a New York alla
fine degli anni ’80 e si guarda alla “ball culture” e alla sua comunità, e al
“house system” che, come
spiega wikipedia e come illustra già il pilot della serie in modo molto
efficace senza essere didascalico, indica una subcultura underground LGBT negli
Stati Uniti, in cui le persone “sfilano” (“walk” in inglese), ovvero competono,
in alcuni eventi chiamati “balls” (balli) davanti a una giuria e a un pubblico
per vincere dei trofei. Alcuni si sfidano proprio nel ballo, nella house dance chiamata “voguing” (resa
popolare da Vogue di Madonna e dal
documentario Paris is Burning), altri
nel travestimento drag, ma ricevono voti anche per i costumi, l’aspetto e
l’atteggiamento. Quelli che si sfidano appartengono a “houses” (case) che sono
una specie di famiglie alternative formate prevalentemente da giovani
omosessuali neri e ispanici che trovano accoglienza. Queste case sono guidate
da “madri” o “padri” che seguono e aiutano i “figli” della casa. Chi fra le
case guadagna più trofei e riconoscimenti diventa “leggendario”.
L’incipit della serie
vede proprio i membri della House of Abundance che rubano da un museo degli
abiti regali per vincere a basi basse nella gara (ve ne sono diverse) che richiede
loro di vestirsi da reali – “La
categoria è…” annuncia il presentatore Pray Tell (Billy Porter) per ognuna. Questo
è il biglietto da visita dello sfolgorante, scintillante mondo che stiamo per
imparare a conoscere. Presto capiamo che è un costume variopinto sotto cui
batte il cuore di un family drama di
inclusione e accettazione. Subito dopo, con una situazione che è fin uno
stereotipo per quanto tragicamente comune era - e magari è, anche se mi illudo
sempre meno -, ci viene presentato Damon (Ryan Jamaal Swain): ha diciassette
anni e adora ballare; quando confessa al padre, che si vergogna di lui, che è
gay, questi lo sbatte fuori di casa dicendogli “per me sei morto”, e la madre
rincara la dose ammonendolo sul fatto che Dio lo punirà dandogli “quella
malattia”, e che si tratti dell’HIV/AIDS pre-possibilità-di-cure non è nemmeno
necessario dirlo. Ad avere la certezza di essere sieropositiva è la transessuale
Blanca (MJ Rodriguez) che decide di lasciare la House of Abundance guidata
dalla “madre” Elektra (Dominique Jackson) per fondare, nel tempo che le rimane,
una casa sua, la House of Evangelista (in onore della modella Linda Evangelista).
Blanca invita Damon, che di tutta questa cultura è digiuno, a entrare a far
parte della sua casa. E a lei si unisce anche Angel (Indya Moore), che inizia
una storia con Stan Bowes (Evan Petters). Nell’era reaganina che permette l’ascesa
dell’impero Trump e di una vita di lusso ed eccesso, Stan lavora per il
magnate, assunto da Matt (James Van De Beek, Dawson’s Creek) e la sera torna a casa dalla moglie Patty (Kate
Mara, House of Cards) e dai figli, ma
non riesce ad arginare l’attrazione per Angel, che sa bene non essere
socialmente accettabile.
La recitazione è
impeccabile e Pose intelligentemente,
forse perché sa quanto inusuali sono questo genere di soggetto e di casting,
usa di proposito una narrazione e uno stile molto tradizionale e “confortante”:
si mostrano persone che, come tutti (generalizzo, ma passatemela), vogliono
essere accettate per se stesse, per la verità di quello che sono intimamente,
amate e circondate da una famiglia che tiene a loro - Angel sogna il principe
azzurro, Blanca pretende che i suoi “figli” tengano all’istruzione perché è il
solo modo di andare avanti nella vita e definisce e si comporta da madre
spingendo perché Damon entri in una scuola di danza…
La società potrà
emarginare certi gruppi, ma rimangono persone la cui umanità qui viene
celebrata. Murphy e i suoi adottano l’approccio più sconcertantemente “già
visto” a cui siamo abituati – con espliciti riferimenti a classici degli anni
’80 come Flashdance o Saranno Famosi, e abbondanti tracce
musicali di quegli anni – quasi proprio a far capire a quelli di noi che non fanno
parte di quella realtà che nonostante l’apparenza non sono poi così distanti da
quello che conosciamo, e a mostrare a chi invece ne fa parte che vengono visti
e riconosciuti e apprezzati. Una scelta che mi ha sorpreso perché è sensata,
elegante, intelligente e coinvolgente. In effetti questi personaggi, anche solo
dal pilot, sanno già di famiglia.
Nessun commento:
Posta un commento