Dolorosa. Elegante.
Quieta. Atroce. Asciutta. Sorprendente. È stata tutto questo
l’intensa, pacata miniserie Sharp Objects
dall’omonimo romanzo - “Sulla Pelle” in italiano - di Gillian Flynn, anche sceneggiatrice
in alcune delle puntate, ma portato sullo schermo da per la HBO da Marti Noxon (Dietland, Buffy) e Jean-Marc Vallée, regista di tutte otto le puntate come
era già stato per Big Little Lies.
Siamo a Wind River; una
piccola comunità del Missouri. Un giovane donna è stata assassinata e le sono
stati tolti tutti i denti, e un’altra è scomparsa, e poi lei pure viene trovata
uccisa, e Camille Parker (una Amy Adams che sa essere un nervo scoperto e
mostra che vale tutte le 5 nomination agli Oscar ricevute nella sua carriera) è
una giornalista che viene mandata dal suo capo-mentore-amico Frank (Miguel
Sandoval) a scrivere un reportage sugli eventi perché si tratta della sua città
natale, dove ancora risiede la sua famiglia. Camille, che beve come una spugna e
ha un passato di intenso autolesionismo –l’intero suo corpo è un groviglio di
cicatrici che di è autoinfllitta scrivendosi delle parole sulla pelle e che
nasconde sotto gli abiti – con il ritorno a casa deve fare i conti con i demoni
riaffioranti del passato, e in particolare con la madre Adora (Patricia
Clarckson), che già ha perso una figlia, Marian, in circostanze misteriose, e con
la sorellastra adolescente Amma (Eliza Scanlen), che a casa si sottomette al
ruolo di santerellina impostale dalla famiglia, ma che, fuori con le amiche nel
passatempo cittadino del pattinaggio a rotelle, rivela una capricciosa anima
persa più oscura e pericolosa. Oltre al capo della polizia locale (Matt Craven),
indaga sul caso il detective Richard Willis (Chris Messina).
ATTENZIONE SPOILER IN
QUESTO PARAGRAFO. “Non dirlo alla mamma”, sono le parole pronunciate in
chiusura di “Milk” (1.08). Nell’ultimo minuto, per non dire nel’ultimo secondo,
Camille capisce che è la sorella l’assassina; e per non lasciare il dubbio che
si tratti solo di un suo sospetto, a metà dei titoli di coda finali, si ha un
piccolissimo inserto in cui la si vede insieme alle amiche commettere il
delitto. Nella puntata precedente (1.07) si era scoperto che era stata invece
la madre a causare la morte delle figlia adolescente anni prima. Soffrendo di
Sindrome di Munchausen per procura, la avvelenava per potersene prendere cura,
come da anni ormai faceva con Amma e prova ora a fare con Camille.
Non è però tanto il
giallo il fulcro di interesse delle vicende, quanto la psiche torturata e
l’universo interiore di Camille. I ricordi le affiorano alla memoria come
stilettate, in fugacissimi intrusivi frammenti mnemonici che a flashback le
compaiono davanti agli occhi come potrebbe accadere a ciascuno di noi. Non c’è
un ricordo passato completo e compiuto, ci sono dettagli elicitati da una
parola, o un banalissimo stimolo di qualunque altro tipo. È la
vita passata che intrude in quella presente e la riempie di significati altri,
in questo caso penosi, spesso insopportabili.
Con un’eleganza anche
più raffinata di quella che Vallée ci aveva mostrato in Big Little Lies si scava in emozioni intense e multivalenti e si indaga
la difficoltà di creare intimità. Quello che si dice in fondo è come l’essere
veramente nudi consista nel rivelare se stessi nella propria vulnerabilità,
come sia difficile lasciarla vedere - in questo senso la scena intima fra
Camille e John Keene (Taylor John Smith), il fratello della seconda vittima
sospettato di averla uccisa, in 1.07 è stata un vero capolavoro - e come sia difficile prendersene cura - come
mostra l’allontanamento di Richard da Camille in chiusura. Rabbia, manipolazione, negazione, il morso dei problemi
mentali, il desiderio di popolarità e i mostri che ne derivano sono in primo
piano. Una thriller psicologico feroce che non mola mai la presa.