Mi è forse piaciuta più
del libro la miniserie Picnic at Hanging
Rock (Showcase, Sky Atlantic), tratta dall’omonimo classico australiano di Joan Lindsay, e la ragione principale è
che ha saputo fare un buon fill in the
blanks, ovvero ha saputo colmare gli spazi vuoti, avanzando ipotesi sul
perché e il per come gli eventi si siano sviluppati nel modo in cui hanno
fatto, senza per questo stravolgerne il contenuto. Approccio inusuale per me,
ho guardato la prima puntata della serie arrivata a metà della lettura del
libro, la seconda mentre finivo di leggerlo e le successive una volta terminato
il testo. Se sulla pagina scritta ci sono dei voli pindarici, delle volute
lacune che lasciano più interrogativi di quanti ne risolvano, il programma
televisivo di Beatrix Christian e Alice Addison riesce a spiegare di più
probabilmente, prendendosi il lusso di fare delle aggiunte. Il taglio è più
gotico e sovrannaturale, con tinte più lesbo-sessuali di quanto non fosse nel
libro.
ATTENZIONE SPOILER. Siamo
a Victoria, in Australia. Il giorno di San Valentino del 1900, un gruppo di
giovani donne che frequentano l’Appleyard College, una scuola per signorine di
buona famiglia diretto dalla inflessibile preside dal passato misterioso Hester
Appleyard (Natalie Dormer, Game of
Thrones), fanno con le proprie insegnanti un picnic in una località
chiamata Hanging Rock, dove c’è un monolite geologico. Quattro studentesse si
allontanano per vederlo da vicino e si arrampicano lungo le rocce. Una di loro,
Edith (Ruby Rees,) ritorna urlante ma non sa raccontare nulla di utile su quello
che potrebbe essere successo, mentre le altre tre – Miranda (Lily Sullivan),
Irma (Samara Weaving) e Marion (Madeline Madden), più la loro insegnante di matematica, Miss
McCraw (Anna McGahan), spariscono nel nulla. Quando Mademoiselle Dianne de
Poitier (Lola Bessis), l’insegnante di francese che pure le accompagnava,
rientra al collegio, cominciano le ricerche e le teorie su quello che può
essere accaduto. Il giovane Michael Fitzhubert (Harrison Gilbertson), che le
aveva viste e per un tratto seguite, con l’aiuto dell’amico Albert Crundall (James
Hoare), uno stalliere che lavora presso i suoi zii, dopo molti giorni riesce a
ritrovare viva Irma. Ripresasi, non ricorda o non vuole ricordare quello che è
accaduto. Tutto rimane avvolto nel mistero, e la scuola comincia a perdere
prestigio. Sembra che le giovani donne avessero fatto un voto a se stesse, ma
che cosa sia accaduto non si saprà mai. L’insegnante di religione e ginnastica
Miss Dora Lumley (Yael Stone), insieme anche al fratello, lascia l’istituto, e
finirà bruciata in un incendio. Non molto dopo, la giovanissima orfana Sara
Waybourne (Inez Curro) viene trovata morta in un cespuglio. La preside
Appleyard, tormentata dai ricordi dell’infanzia, del defunto marito Arthur
(Philip Quast) e da un passato che ha cercato di rinnegare costruendosi un’immagine
nuova nel Nuovo Mondo, vede sgretolarsi la realtà educativa che ha costruito, e
decide di andare lei stessa e di lanciarsi nel vuoto da quelle rocce.
Le vicende già avevano
avuto un adattamento cinematografico, con un film di Peter Weir del 1967. Se
nell’opera letteraria si abbonda di descrizioni naturalistiche mozzafiato, qui la
cinematografia non è forte a sufficienza da trasmettere quello stesso stupore e
magnificenza, per quanto la natura rigogliosa offra scenari sontuosi. L’estetica
insiste soprattutto sul senso del mistero, mostrando a volte atmosfere
rarefatte e oniriche, colori molto saturi (su cui si stagliano i vestiti
bianchissini delle ragazze), premonizioni, inquietanti sonni improvvisi che
colgono i personaggi, e si insiste sul campo magnetico inusuale fra quelle
formazioni rocciose, tanto che gli orologi non funzionano, ma sono bloccati
sulle dodici. Allo stesso tempo si scava di più sulla backstory dei personaggi (il passato di Mrs Appleyard in
particolare) e sui loro rapporti.
Spiriti liberi in una
società che le opprime e le vuole confinate in ruoli che non appartengono loro,
vincolate a valori di purezza e raffinatezza, sono fuggite, dopo aver lanciato
nell’aria i propri corsetti, o hanno deciso di togliersi la vita o forse ancora
sono state uccise? Se la relazione saffica fra Miss McCraw e Marion ha senso,
così come il legame non solo platonico fra Miranda, Irma e Marion e la passione
di sorellanza di Sara per Miranda, una nota stonata è stata per me il cenno di
una attrazione omoerotica fra Michael e Albert: inutile, oltre che uscita dal
nulla. Mi verrebbe da dire “ridondante”, anche se lo fa suonare come frutto di eteronomia
obbligata. Spiego meglio: per ridondante intento che già si è data una lettura
omosessuale alle relazioni fra le ragazze, serviva fare tutti gay e suggerirlo
anche fra i ragazzi? Mi critico da sola l’osservazione dicendomi che questo
forse è frutto dell’idea che le relazioni omosessuali sono l’eccezione di
fronte alla regola dell’eterosessualità e che una presenza sia sufficiente ad
escluderne altre, quando non c’è ragione invece di fatto per la presenza dell’uno
e dell’altro. A rigore in effetti non sarebbe un problema, ma insinuarlo senza
un vero appiglio al testo per poi nemmeno svilupparlo mi è parso controproducente
e falso e, reitero, appunto ridondante.
La scomparsa delle
giovani donne coinvolge tutta la città, ma alla fine rimane scarsa sostanza. Il ritmo è lento e quello che rimane sono
soprattutto le sensazioni. Da un punto di vista speculativo, non è pregnante l’interrogazione
sul genere di istituzione educativa rappresentata, sulla costruzione dei rapporti
fra docenti e studenti, sui rapporti fra donne della stessa età e di età
diverse, sulla sessualità, ma si rimane solo con un’aura di indefinitezza
e di irrisolvibilità dei misteri in cui
la natura fa da padrone.
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