lunedì 29 aprile 2019

CRAZY EX-GIRLFRIEND finale: "l'amore romantico non è una fine"


L’apprezzata Crazy Ex-Girlfrind, che ha avuto il dubbio onore si essere ufficialmente la serie meno vista dei network, ha chiuso la quarta stagione di 17 puntate seguite dalla registrazione di uno spettacolo musicale messo in scena dal cast in un effettivo teatro, con un messaggio chiaro e deciso, nelle parole della protagonista: “l’amore romantico non è una fine. Non per me né per nessun altro qui. È solo una parte della vostra storia – una parte di quello che siete”.

All’esordio, Rebecca Bunch (Rachel Bloom) era un’avvocatessa infelice che aveva deciso di trasferirsi a West Covina, in California, perché lì viveva l’uomo che da ragazzina l’aveva fatta innamorare. In sua compagnia era l’ultima volta che era stata felice, e nel corso delle stagioni aveva fatto di tutto per conquistarlo, con una serie di detour sentimentali e crisi personali, fra cui notabilmente un tentato suicidio e la straziante canzone in cui nel ritornello dice a se stessa “You stupid bitch” (tu stupida stronza) con grande odio per se stessa. Era la classica eroina che punta tutto sull’amore, con grossi problemi di autostima. Nel tempo è cresciuta e si è evoluta, fino ad arrivare a questa conclusione che mi pare significativa, ma soprattutto originale.

Nel sottofinale, deve scegliere fra le attenzioni amorose dei tre uomini che le hanno fatto battere il cuore nel corso delle vicende: Josh (Vincent Rogriguez III), Greg (Skyler Astin in questa stagione, precedentemente era stato interpretato da Santino Fontana)  e Nathaniel (Scott Michael Foster). Come di fatto era anche immaginabile per chi coglieva lo spirito della serie che, nel tarpare gli illusori slanci romantici autolesionistici della protagonista, è stata attenta a dire sempre che non c’è destino, ma che dobbiamo assumerci la responsabilità della nostra felicità, Rebecca non ha scelto nessuno dei tre.

Quello che è stato significativo è che si sia scelto di dire, non che bastiamo a noi stessi e stiamo bene da soli, negando perciò legittimi desideri di amore romantico e di connessione umana sentimentale, ma che quello non è tutto, è solo una parte, bellissima e speciale, ma appunto solo una parte.

Crazy Ex-Girlfriend è stata tante cose: commedia femminista, esilarante musical, drammatica descrizione di problemi psicologici seri, acuta decostruzione dei meccanismi narrativi e stilistici con grande autocoscienza metatestuale, riflessione sull’identità personale, commento culturale su femminilità e mascolinità, meditazione sull’importanza delle fantasie e dei sogni, esame degli influssi culturali che influenzano le nostre vite, ode all’amicizia… E alla fine di tutto, davvero, questa è la bella eredità che lascia agli spettatori: ci dice che l’amore romantico c’è, esiste, ma la vita non è una favola, non c’è solo quello. Di più, è bello che non esista solo quello.   

venerdì 19 aprile 2019

COUNTERPART: la seconda stagione


Riprende da dove ha lasciato la seconda stagione di Counterpart (Starz) la serie spionistico-fantascientifica  (ne ho parlato qui) che vede due mondi che sono uno la copia dell’altro, il mondo Alpha e quello Prime, in comunicazione fra loro attraverso intricate relazioni diplomatiche. C’è forse stata più azione in questo arco,  ma il tono è rimasto quello di prima, cogitabondo e greve, apparentemente lento, sebbene accada molto.

In questa stagione assistiamo alla “origin story” della creazione dei due mondi, nella puntata “Twin Cities” (2.06), scritta dall’ideatore Justin Marks qui anche al suo debutto come regista. L’episodio si apre significativamente  nella Berlino Est del 1987 (quindi prima della caduta del muro che divide le due città “gemelle”, a cui fanno eco quelle della fantasia della serie), quando per un errore tecnologico, a cui assiste Yanek (James Cromwell), si creano due mondi che sono l’uno lo specchio dell’altro, e a questo punto, dopo una parte involontaria, ne segue una volontaria.

ATTENZIONE SPOILER. I due Yanek decidono di coinvolgere il proprio staff e portare avanti un esperimento, da scienziati quali sono. Un gesto banalissimo - uno dei due decide di acquistare una cassetta musicale alla figlia, l’altro no – diventa esiziale. Questo infatti porterà delle conseguenze enormi nelle loro vite. In una versione il figlio muore (la sorella, che sta ascoltando musica con gli auricolari, non si accorge di quello che gli sta capitando), nell’altra no (la sorella, che sta non sta ascoltando musica, si accorge e lo salvano).

E da questo evento più stravolgente si instaura una terza fase, che nasce dal raffronto della propria vita con quella dell’altro: insieme al dolore nasce l’invidia e il risentimento e diventano Caino e Abele, e tradiscono se stessi e i principi dell’esperimento. In quella che è una delle migliori puntate della stagione ci si interroga sulla natura umana e su quello che è un tema portante, ovvero sul modo in cui le circostanze ci rendono chi siamo.  

Dice bene poi Scott Tobias su Vulture quando afferma che lo show “rende metafisica la lotta umana”, nel momento in cui le persone non sono solo in conflitto gli uni con gli altri, ma con se stessi e le proprie contraddizioni. E Counterpart è esplicito esso stesso, per bocca dei propri personaggi, nel rivelare come l’allotropia del reale porta una crisi esistenziale perché mette ciascun “allotropo umano” di fronte all’interrogativo se il suo doppio sia migliore o peggiore di sé, se abbia fatto delle scelte più o meno sagge: è meglio l’Howard Silk (J.K. Simmons) che vede il mondo con chiarezza e distacco, che affronta la moglie Emily (Olivia Williams) quando vede che lei gli mente con la successiva dissoluzione del proprio matrimonio, o è meglio quello che guarda gli eventi con empatia, e sceglie di non chiedere spiegazione alla moglie per i propri comportamenti e costruisce un rapporto con lei che non è di totale condivisione come potrebbe essere? In “In from the cold”, scritta da Erin Levy (2.08), che vede le due coppie scambiate, si medita con grande pregnanza su questi temi e in fondo anche sulla loro labilità. E sull’amore, in che cosa consista. Le due Emily sono molto critiche l’una dell’altra, ma allo stesso tempo riescono ad apprezzare i reciproci pregi. Ci piaceremmo se ci incontrassimo? Con il personaggio di Claude Lambert (Guy Burnet), ambasciatore del mondo Prime in quello Alpha, in “Something Borrowed” (2.03) si porta a tutto in nuovo livello il termine “onanismo”.

Ciascuno viene messo sotto i riflettori perché non può non interrogarsi su quali siano gli elementi che fanno la differenza nella propria vita, se la realtà tutta non andrebbe in modo diverso se noi stessi fossimo in primo luogo diversi, anche nelle piccole scelte. Il doppelgänger di Peter Quayle (Harry Lloyd), un personaggio dominato dalla paura, che nella versione copiata si trova in una sorta di carcere costruito appositamente per rinchiudere personaggi di rilievo nell’altra parte di cui si vogliono conoscere dettagli del passato, a un certo punto si chiede proprio se sia lui a essere l’elemento che cambia la realtà (2.05). Ha importanza la nostra vita? Che significato e peso hanno le nostre scelte, quello che facciano e diciamo?

La crisi di Clare (Nazanin Boniadi) in questo è particolarmente significativa: mette in dubbio il fatto di essere lei l’eroina della vicenda. Se siamo gli uni lo specchio degli altri, se vediamo la comune umanità, non ci sono noi e loro, questa è solo un’illusione: loro sono noi e noi siamo loro, solo in circostanze diverse. Il personaggio della donna, reclutata da piccolissima dalla scuola Indigo per venire nel mondo Alpha come cellula dormiente, “Shadow” (Ombra), come viene chiamata, vede crollare le proprie certezze e la propria identità nel rendersi conto che probabilmente è vedo che è stata indottrinata. E di essere una fanatica, suo malgrado. Ci sono echi di The Americans nel riflettere sulla bontà della causa per cui si combatte, e la metafora della divisione fra Germania Est e Ovest non è mai stata così forte come in questo momento. La creazione di un virus contro l’altra parte e la mentalità del “se lo pensiamo noi, lo pensano anche loro” è l’allegoria per la corsa agli armamenti. Il rischio di una guerra batteriologica all’interno della diegesi non può non far riflettere anche sulle politiche di relazioni internazionali contemporanee. La via per la sopravvivenza, si ipotizza, non è quella di sradicare, ma accettare l’altro noi.

Parentesi: ditemi che non sono la sola ad aver pensato spesso, durate la visione, alle vicende personali della Boniadi, che interpreta Clare - era stata “reclutata” da Scientology per essere la compagna di Tom Cruise.   

Oltre a scoprire come è nato tutto e perché, in questa stagione si dà anche un volto per la prima vota a coloro che tirano le fila di tutto. “Management”, i manager delle relazioni fra i due mondi. Fino a questo momento erano una forza distante, invisibile, potente, entità simili a dei nella arbitrarietà e imponderabilità delle proprie decisioni. Nel dare loro il volto di quei primi scienziati, si riesce ad umanizzarli, nel bene e nel male, a vedere le loro buone intenzioni, forse anche la loro hubris iniziale, ma sicuramente anche la loro buona fede.

Counterpart non è stata rinnovata per una terza stagione e ha concluso la proprie vicende in modo forse scontato, forse inevitabile, ma appagante nella misura in cui non lascia conti in sospeso, ma chiude la porta che ha aperto.  

lunedì 8 aprile 2019

RUSSIAN DOLL: un trip ricorsivo metaforico


In Russian Doll (Netflix), ovvero “matrioska”, Nadia Vulvokov (Natasha Lyonne, Orange is the New Black) è una programmatrice di videogiochi che, il giorno del suo 36esimo compleanno, muore investita da un’auto, dopo aver lasciato la casa di Maxine (Greta Lee), l’amica che le ha organizzato una festa nel suo appartamento ad Alphabet City a New York, in quello che era precedentemente una yeshiva. È proprio nel bagno di quell’appartamento però che si risveglia, per morire ancora e ancora in modi molto diversi, e ritrovarsi sempre lì ancora e ancora. Non ne capisce il perché e il per come e cerca di venirne a capo, in particolare con il sostegno di un nuovo amico, Alan Zaveri (Charlie Barnett). Nella vita di Nadia ci sono anche il suo ex, John (Yul Vazquez), che sta divorziando e ha una figlia, e Ruth (Elizabeth Ashley), un’amica più anziana che fa la terapeuta e che per lei negli anni è diventata quasi una madre surrogata.
   
È inevitabile, vista la premessa, ripensare al magnifico classico della cinematografia Groundhog Day – Ricomincio da capo, sebbene la sorte del protagonista lì fosse meno cruenta perché non moriva (necessariamente), ma semplicemente riviveva sempre lo stesso giorno, quello della marmotta (ovvero il 2 febbraio), mentre qui il tempo dato fino alla morte successiva non ha un tempo prestabilito. Anche qui una stessa canzone accompagna ogni risveglio, in questo caso “Gotta Get Up” di Harry Nilsson. Qui non assistiamo però a una commedia romantica, ma più a un dramma esistenziale. Che ci sia una dipartita, per quanto temporanea, è significativo, anche se di fatto il tema non sembra essere quello della morte. In un’intervista all’Hollywood Reporter, la protagonista, che è ideatrice insieme a Amy Poehler e Leslye Headland, esplicita il baricentro speculativo, che risulta essere anche autobiografico, ovvero che tutti ci presentiamo in un certo modo al mondo esterno, ma una volta che si scava, si porta alla luce tutta un’altra persona: l’idea è che a un party puoi provare a essere ogni persona che vuoi, ogni volta diversa, ma alla fine rimani con il vero te stesso e con quella persona bisogna fare i conti.

In particolare il tema principale, metaforico, ma piuttosto evidente da subito e anche qui autobiografico, è quello dell’abuso e della dipendenza da sostanze e di un percorso verso la sobrietà. Molti aspetti puntano in questa direzione: dalla menzione diretta di uno spinello e di droghe in senso ampio all’inizio di tutto, che lei individua come possibile causa del trip che sta avendo; al loop di situazioni che vita dopo vita si ripresentano, proprio peraltro come in un videogioco (e i parallelismi in questo senso pure sono ingranati nel testo e risuonano su più livelli); alla possibile presa in considerazione di religione e di psicoterapia; all’idea che si muore ogni giorno; all’incontro al parco con un senzatetto che si fa chiamare Horse (Brendan Sexton III), cavallo, che è uno dei nomi slang che si dà all’eroina; al restringersi della realtà e al perdere via via persone nella propria vita (1.07); all’essere incastrati in un meccanismo tutto proprio mentre per gli altri il resto della vita va avanti, con quel simbolo della frutta che marcisce che si fa progressivamente sempre più evidente, sia nella effettiva presenza sullo schermo che nel suo significato…

Ogni volta che si resetta la realtà si fanno scelte e sono queste che fanno la differenza. La soluzione a cui la serie punta per uscire dall’abisso è un’istruzione precisa: gli altri, la connessione umana, aiutarsi. Quello è il solo modo di non morire ancora e ancora, per non autodistruggersi: non cercare di risolvere i problemi da soli, come fa l’eroina del primo videogioco progettato da Nadia, un game irrisolvibile.  E in conclusione, nel tornare alla normalità (1.08), non riconosciamo chi ci è amico, e chi ci sta aiutando, ma se riusciamo ad avere nell’altro fiducia a sufficienza da farci aiutare, è una strada che è possibile percorrere.
  
Sul New Yorker si fanno accostamenti con il libro di Kate Atkison Life After Life, e con le serie Search Party, Fleabag, The Leftovers e Maniac, ma sebbene colga le ragioni di simili riferimenti, non sento di condividerle. Nel caso di Search Party però ho visto solo il pilot, e Life After Life e Maniac forse sono i più affini, ma non mi sono stati elicitati dalla visione.

La serie ha numerosi livelli di lettura, grazie anche a immagini chiave che aprono porte interpretative multi-significato, come il gatto Oatmeal/Semolino e gli specchi, giusto per citare due totem particolarmente evidenti. Gonfia, densa, pregna, dolorosa, umoristica, Russian Doll, in cui tempo, moralità e mortalità si intersecano con eleganza e originalità, è facilmente uno degli apici creatici di quest’annata televisiva.