In PEN15 (da leggersi come “pen-fifteen”, ma anche come “penis” ovvero
“pene”, dell’’americana Hulu) due attrici trentenni, Maya Erskine e Anna
Konkle, co-ideatrici insieme a Sam Zvibleman. interpretano due ragazzine delle
medie – se stesse da giovani, si può
immaginare, considerato anche che i personaggi hanno lo stesso nome di
battesimo e che la serie è ambientata nei primi anni 2000, in un’epoca
pre-cellulari ed e-mail. Con una vibrante commedia in cui si mostrano i dolori
e le gioie della pre-adolescenza si porta attenzione, con rara onestà e assenza
di pudore, a verità su quella fase della vita che si tendono a dimenticare o
ignorare.
Maya, la cui madre (Matsuko
Erskine, vera madre dell’attrice) è giapponese, vive con lei e il fratello in
un nucleo familiare felice: il padre batterista (Richard Karn) è spesso via per
lavoro, ma manda ogni sera un fax alla figlia per farle sentire la sua
presenza; Anna è amata dai genitori (interpretati da Taylor Nichols e Melora
Walters) che però fra loro non fanno che litigare e sono prossimi al divorzio.
Le due amiche sono come sorelle e condividono tutto, che sia giocare coi Sylvanian, fumare la prima
sigaretta, parlare delle cotte per i ragazzi o depilarsi per la prima volta…
Ci sono momenti in cui è
evidente che si tratta di due adulte che interpretano delle ragazzine, ma la
sospensione dell’incredulità funziona alla grande, anche perché per la gran
parte del tempo risultano assolutamente credibili. Il resto del cast giovane è
composto da ragazzi che hanno effettivamente l’età che si suppone debbano avere,
e anche se non ce ne è bisogno perché si immagina, la serie rassicura con una
scritta in sovrimpressione che in alcune scene vengono usati dei body double.
Sono partita un pochino
tiepida nei confronti di questo programma apprezzato dalla critica. Avevo
l’impressione che si proponesse una versione di quell’età un po’ come, quando
avevo quegli anni, me la suggeriva la rivista “Cioè” ovvero donne giovanissime
interessate solo ai ragazzi, al look e alla musica. Io a quell’età non mi ci ritrovavo,
e ora da adulta ritengo tutt’ora che quella versione della pre-adolescenza sia
stereotipata e riduttiva, ma anche che probabilmente ero uno po’ fuori dal coro,
io che, di fatto, sono sempre probabilmente stata anche percepita come un po’
“strana”, rispetto alle mie coetanee. Ritengo vero, ad esempio, che le
persone di quell’età fossero e siano interessate ai cantanti, per quanto a me
non avesse mai potuto interessare di meno, quando avevo già un forte interesse
nei confronti del piccolo schermo, che veniva all’epoca ignorato. All’inizio
vedevo perciò in questa serie un ennesimo specchio distorto, un falso rispetto
al mio sentire e pensare a quell’età. Presto però, e con il passare degli episodi, mi sono completamente ricreduta e penso che sia siano raggiunti livelli di
profondità notevoli nello scavare nella psiche verde di quei momenti così
vulnerabili e fondanti.
PEN15 non mostra adolescenti extra-cool da copertina di rivista
patinata, come troppo spesso accade in TV, ma quelle della vita reale,
impacciate e inesperte, che cercano di imparare a navigare le prime relazioni
sociali, e a gestire situazioni più grandi di loro, il giudizio e le
aspettative dei coetanei e degli adulti (1.04 in questo senso è particolarmente
significativa), e a capire chi sono (in 1.06 Maya fa i conti con la parte
giapponese di sé, ad esempio, e si parla di razzismo in modo sorprendentemente
originale, nella misura in cui nasce in modo apparentemente innocuo e sotterraneo,
non crudelmente voluto)… da un lato sono apparentemente adulte, dall’altro di
un’ingenuità disarmante. Si fanno magari pesanti allusioni sessuali,
contemporaneamente ci si incanta ad occhi aperti a vedere il compagno di classe
che entra nella stanza, si costruiscono e distruggono amori a ritmo di
bigliettini di carta passati fra i banchi di scuole, si scopre la
masturbazione…
A quest’ultimo tema è
dedicata la puntata “Ojichan” (1.03) e c’è una buona dose di umorismo nel
mostrare l’imbarazzo di Maya, che vive questo momento di scoperta del sé come
se venisse costantemente osservata da un antenato defunto. Pur consapevole del
fatto che questo sia un campo della vita in cui non esiste un’età fissata per
essere scoperto, personalmente mi sembrava un’età decisamente molto tardiva. Mi
ero posta lo stesso interrogativo, se appunto non fosse un po’ tardi, anche
guardando “Ramy” che fa fare le prime esperienze al protagonista maschile grosso
modo alla stessa età. Ho cercato di indagare in proposito, ed evidentemente,
ammesso appunto che non c’è mai un troppo presto o troppo tardi, è un’età in
cui nella media è ragionevole iniziare.
La parte sorprendente è
anche quanto espliciti si sia nel mostrare la realtà: la sostanza lubrificante
della vagina viene mostrata sulle mani di Maya, che la osserva; quando le
arriva il ciclo (che lei non confessa perché ha timore di diventare donna e
vorrebbe rimanere ancora un po’ bambina), si vede il sangue, anche raggrumato,
sulle mutante e sulla carta igienica; quando si mettono nella vasca da bagno a
radersi le gambe, si vedono i peli lunghi. Non ci si nasconde da realtà
quotidiane della vita delle giovani donne insomma, quando normalmente queste
sono aspetti ancora tabù, che raramente si mostrano senza imbarazzo. Non ci sono sterilizzazioni e addolcimenti, si
aspira all’autenticità.
Lo stesso vale per i
sentimenti, le prime cotte e simpatie, delicatissimi e appena abbozzati, tante
volte, e proprio per questo forse così difficili da rendere con la pregnanza e l’acume
con cui ci si riesce. Qui c’è un lavoro di messa in scena, ma ancora prima di
scrittura, davvero lodevole. Le puntate della prima stagione sono 10.
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