lunedì 9 settembre 2019

PEN15: vita di due pre-adolescenti


In PEN15 (da leggersi come “pen-fifteen”, ma anche come “penis” ovvero “pene”, dell’’americana Hulu) due attrici trentenni, Maya Erskine e Anna Konkle, co-ideatrici insieme a Sam Zvibleman. interpretano due ragazzine delle medie  – se stesse da giovani, si può immaginare, considerato anche che i personaggi hanno lo stesso nome di battesimo e che la serie è ambientata nei primi anni 2000, in un’epoca pre-cellulari ed e-mail. Con una vibrante commedia in cui si mostrano i dolori e le gioie della pre-adolescenza si porta attenzione, con rara onestà e assenza di pudore, a verità su quella fase della vita che si tendono a dimenticare o ignorare.

Maya, la cui madre (Matsuko Erskine, vera madre dell’attrice) è giapponese, vive con lei e il fratello in un nucleo familiare felice: il padre batterista (Richard Karn) è spesso via per lavoro, ma manda ogni sera un fax alla figlia per farle sentire la sua presenza; Anna è amata dai genitori (interpretati da Taylor Nichols e Melora Walters) che però fra loro non fanno che litigare e sono prossimi al divorzio. Le due amiche sono come sorelle e condividono tutto, che sia giocare coi Sylvanian, fumare la prima sigaretta, parlare delle cotte per i ragazzi o depilarsi per la prima volta…

Ci sono momenti in cui è evidente che si tratta di due adulte che interpretano delle ragazzine, ma la sospensione dell’incredulità funziona alla grande, anche perché per la gran parte del tempo risultano assolutamente credibili. Il resto del cast giovane è composto da ragazzi che hanno effettivamente l’età che si suppone debbano avere, e anche se non ce ne è bisogno perché si immagina, la serie rassicura con una scritta in sovrimpressione che in alcune scene vengono usati dei body double.

Sono partita un pochino tiepida nei confronti di questo programma apprezzato dalla critica. Avevo l’impressione che si proponesse una versione di quell’età un po’ come, quando avevo quegli anni, me la suggeriva la rivista “Cioè” ovvero donne giovanissime interessate solo ai ragazzi, al look e alla musica. Io a quell’età non mi ci ritrovavo, e ora da adulta ritengo tutt’ora che quella versione della pre-adolescenza sia stereotipata e riduttiva, ma anche che probabilmente ero uno po’ fuori dal coro, io che, di fatto, sono sempre probabilmente stata anche percepita come un po’ “strana”, rispetto alle mie coetanee. Ritengo vero, ad esempio, che le persone di quell’età fossero e siano interessate ai cantanti, per quanto a me non avesse mai potuto interessare di meno, quando avevo già un forte interesse nei confronti del piccolo schermo, che veniva all’epoca ignorato. All’inizio vedevo perciò in questa serie un ennesimo specchio distorto, un falso rispetto al mio sentire e pensare a quell’età. Presto però, e con il passare degli episodi, mi sono completamente ricreduta e penso che sia siano raggiunti livelli di profondità notevoli nello scavare nella psiche verde di quei momenti così vulnerabili e fondanti.

PEN15 non mostra adolescenti extra-cool da copertina di rivista patinata, come troppo spesso accade in TV, ma quelle della vita reale, impacciate e inesperte, che cercano di imparare a navigare le prime relazioni sociali, e a gestire situazioni più grandi di loro, il giudizio e le aspettative dei coetanei e degli adulti (1.04 in questo senso è particolarmente significativa), e a capire chi sono (in 1.06 Maya fa i conti con la parte giapponese di sé, ad esempio, e si parla di razzismo in modo sorprendentemente originale, nella misura in cui nasce in modo apparentemente innocuo e sotterraneo, non crudelmente voluto)… da un lato sono apparentemente adulte, dall’altro di un’ingenuità disarmante. Si fanno magari pesanti allusioni sessuali, contemporaneamente ci si incanta ad occhi aperti a vedere il compagno di classe che entra nella stanza, si costruiscono e distruggono amori a ritmo di bigliettini di carta passati fra i banchi di scuole, si scopre la masturbazione…

A quest’ultimo tema è dedicata la puntata “Ojichan” (1.03) e c’è una buona dose di umorismo nel mostrare l’imbarazzo di Maya, che vive questo momento di scoperta del sé come se venisse costantemente osservata da un antenato defunto. Pur consapevole del fatto che questo sia un campo della vita in cui non esiste un’età fissata per essere scoperto, personalmente mi sembrava un’età decisamente molto tardiva. Mi ero posta lo stesso interrogativo, se appunto non fosse un po’ tardi, anche guardando “Ramy” che fa fare le prime esperienze al protagonista maschile grosso modo alla stessa età. Ho cercato di indagare in proposito, ed evidentemente, ammesso appunto che non c’è mai un troppo presto o troppo tardi, è un’età in cui nella media è ragionevole iniziare.

La parte sorprendente è anche quanto espliciti si sia nel mostrare la realtà: la sostanza lubrificante della vagina viene mostrata sulle mani di Maya, che la osserva; quando le arriva il ciclo (che lei non confessa perché ha timore di diventare donna e vorrebbe rimanere ancora un po’ bambina), si vede il sangue, anche raggrumato, sulle mutante e sulla carta igienica; quando si mettono nella vasca da bagno a radersi le gambe, si vedono i peli lunghi. Non ci si nasconde da realtà quotidiane della vita delle giovani donne insomma, quando normalmente queste sono aspetti ancora tabù, che raramente si mostrano senza imbarazzo. Non  ci sono sterilizzazioni e addolcimenti, si aspira all’autenticità.

Lo stesso vale per i sentimenti, le prime cotte e simpatie, delicatissimi e appena abbozzati, tante volte, e proprio per questo forse così difficili da rendere con la pregnanza e l’acume con cui ci si riesce. Qui c’è un lavoro di messa in scena, ma ancora prima di scrittura, davvero lodevole. Le puntate della prima stagione sono 10.

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