Quasi sicuramente non ci
sarà una terza stagione (peccato) perché la seconda di Big Little Lies, che mi ero augurata ci fosse, ha avuto parecchio
da dire e ha convinto nonostante abbia anche deluso e sia riconoscibile la
criticata “disarticolazione” dovuta ad un attrito dietro le quinte: la regia è
stata affidata ad Andrea Arnold, ma poi in post-produzione è intervenuto il
produttore esecutivo e regista della prima stagione Jean-Marc Vallée con lo
scopo unificare lo stile visivo a quello della prima, con il risultato di scene
discontinue e prive di ritmo interno. Ci sono state polemiche, per la lamentata
mancanza di controllo creativo, ma la dirigenza HBO ha difeso quello che è
sempre stato un classico modo di operare televisivo, affermando che anche Vallée
aveva dovuto lavorare collaborativamente e che comunque in questo caso non era
arrivato all’ultimo in postproduzione per stravolgere il lavoro di qualcun
altro, ma è stato coinvolto nella fase di sceneggiatura e aveva avuto modo di
confrontarsi con la Arnold prima delle riprese. Sulla questione si legga qui
e qui.
Si potrebbero trarre numerose riflessioni sull’autorialità televisiva, ma non è
questa la sede.
In questo arco
narrativo, sempre con la storia di David E. Kelley e Liane Moriarty, e il teleplay
del primo, è stata messa molta carne al fuoco per ciascuna delle protagoniste,
e come non mai si è visto che è un programma al femminile, dove gli uomini sono
relegati ai ruoli secondari solitamente riservati alle donne: Madeline (Reese
Whitherspoon) ha dovuto ricostruire il proprio matrimonio, dopo che il marito
Ed (Adam Scott) ha scoperto la sua infedeltà; Renata (Laura Dern) ha affrontato
il tracollo economico dovuto alla bancarotta del marito Gordon (Jeffrey
Nordling); Jane (Shailene Woodley) ha cercato di proteggere il figlio dalla scoperta
che è il risultato di uno stupro e ha iniziato una relazione con un giovane
collega all’acquario dove lavora, Corey (Douiglas Smith), pur nelle difficoltà
a trovare l’intimità a seguito di quell’evento; Bonnie (Zoë
Kravitz) si è macerata nei sensi di colpa per aver spinto Perry (Alexander
Skarsgård) nella notte della sua morte, cosa che l’ha progressivamente
allontanata dal marito Nathan (James Tupper), e ha fatto i conti con il difficile rapporto con
la madre Elizabeth (Crystal Fox); Celeste (Nicole Kidman), infine, ha elaborato
il lutto della perdita del marito e ha dovuto combattere in tribunale la
suocera Mary Louise (una smagliante Meryl Streep) che voleva toglierle la
custodia parentale dei figli. Tutte, unite dal patto, tengono il segreto su
quello che è accaduto quella famosa notte, mentre la polizia ancora nutre
sospetti che non sia andata come hanno testimoniato.
La narrativa ha tenuto,
anche con carnose riflessioni sui rapporti umani che come nucleo speculativo intersecavano
le vicende, rispetto alle quali risultavano trasversali. Si è parlato di essere
madre e dei rapporti madri-figli (Celeste con i suoi; Mary Louise e Perry; Jane
e Ziggy; Bonnie ed Elizabeth). Si è indagato il tema della crisi dei rapporti
matrimoniali (Madeline ed Ed; Bonnie e Nathan; Celeste e Perry; Renata e
Gordon). Che cosa significa essere una coppia, ed essere una famiglia? Che cosa
è nella vita la cosa più importante? Si è gettata luce sulla difficoltà di
superare “traumi” che segnano la propria vita, fisici e no (lo stupro a Jane,
le botte a Celeste e il fatto che i figli l’abbiano vista; la colpevolizzazione
di Perry da parte della madre; l’infanzia di Bonnie e il tragico evento
che l’ha vista coinvolta). E poi i
segreti, il conoscere davvero una persona, l’istruzione, il denaro,
l’aggressività e il deflettere la responsabilità sugli altri a cui viene
immediatamente attribuita la colpa (e in quest’ultimo caso, in una modalità che
io personalmente vedo come molto americana, penso in particolare a Renata e al
rapporto con la figlia Amabella).
La tematica forse più
originale, incarnata principalmente dalla storia in cui era coinvolta una Meryl
Streep davvero grandiosa, è se sia possibile conservare un buon ricordo di
qualcuno che ha commesso delle azioni
terribili. È giusto? Serve? La madre di Perry vuole disperatamente che
la vittima di stupro abbia visto qualcosa di buono in suo figlio, che era un
bambino gentile, da piccolo; Celeste discute con la terapeuta perché, anche se
abusava di lei, vuole poter mantenere
dei ricordi belli del marito, che ha anche amato, come se l’essere stato un “mostro”
fosse solo una finzione, quella che creava per i bambini per divertirli. Anche
nella persona che si comporta nel modo più orribile ci sono dei lati umani, dei
lati belli. Non dobbiamo tenerne conto? Che peso devono avere? Che cosa
significa per noi e per l’opinione e il ricordo che dobbiamo avere di loro? Con
disinvoltura, acume e chiaroscuri (di fatto anche in altre delle storie) si
sviscerano queste questioni. Il solo rammarico che ho è che vorrei che Kelley
rinunciasse alla sua coperta di Linus del scontro in tribunale per far emergere
questi conflitti esteriori e interiori. È una forma che lo
permette in modo esplicito, e lui la sa rendere al meglio ma, sebbene sia
risultato organico, avrei voluto che la negoziazione di queste delicate
emozioni avvenisse su un terreno meno definito.
Chi ha amato la prima
stagione, fa bene a veder anche questa. Di fatto, ci sarebbe ancora molto da
far dire alle “cinque di Monterey”.