ATTENZIONE SPOILER IN
TUTTO IL PEZZO. La seconda stagione di Kidding
ha tenuto lo stesso tono della prima. Era difficile far uscire il
protagonista Jeff (Jim Carrey) dalla distruttiva finale in cui aveva
volontariamente investito il nuovo amore della moglie, da cui era separato ma
ancora innamorato, Jil (Judy Greer). Come mattatore di un programma per bambini
che ha costruito tutto il suo essere intorno ai concetti di gentilezza e
amorevolezza, ammettere quello che ha fatto significa perdere tutto. Da sempre
la serie ci ha fatto credere che l’alter ego televisivo di Jeff non è una
finzione, lui crede sul serio in quei principi, e può scivolare in quanto
essere umano, ma non li rinnega, si impegna per metterli in pratica, anche dove
gli costa. Ed è così ancora una volta, nel corso di questo arco tutto: confessa
quello che ha fatto alla donna che ama e all’uomo che ha ferito, gli dona una
parte del suo fegato per permettergli di sopravvivere. La lezione, che non è
una predica, è che essere brave persone non è facile, forse è la cosa più
difficile di tutte, ma si cerca di esserlo perché è un modo di rendere il mondo
migliore.
Molto di questo segmento
è stato costruito sui flashback di cui si è fatto un uso ricostruttivo della
memoria, ma anche legato a una storia in cui il figlio di Jeff, Will (Cole
Allen), desidera tornare nel passato, e si auto-convince che è possibile farlo.
Il senso ultimo che si è voluto trasmettere è che fermare il tempo non è possibile, ma lo si può rubare, ovvero ce
lo si può dedicare a vicenda, decidendo di trascorrerlo con le persone che per
noi contano – a questo proposito uno dei passaggi di montaggio più belli che
abbia mai visto in molto tempo è proprio quello che vede Jil chiedere a Jeff se
la colpevolizzi rispetto alla scomparsa dell’altro figlio, il gemello di Will, morto
per incidente mentre era in macchina con lei: Jeff sembra ripercorrere con la
memoria tutta la loro storia, fino al momento delle nozze. Sull’altare, quando
chiedono a Jeff se voglia sposarla, si stacca, e la risposta di allora, “sì
(voglio sposarti)” è la risposta di ora, “sì (ti incolpo)”. Davvero una
costruzione notevole e inaspettata.
Ancora una volta si è
insistito su alcune idee care alla serie. In primis quella sulla mascolinità: è
importante essere considerati gentili, e questo non deve farsi equivalere con
l’essere omosessuali (quello si chiama omofobia). Comportarsi in modo educato e con considerazione per gli
altri è un valore. E mirare a ciò non significa negare le proprie pulsioni
negative. Tutti abbiamo più di due
dimensioni e un lato oscuro, e dobbiamo imparare a conviverci e a gestirlo. La
lotta umana di Jeff è proprio quella. Nella diegesi cerca di mettere in scena
la realtà dolorosa del suo divorzio (2.05), anche se ha conseguenze in parte
rovinose (il Mr Pickles della versione filippina, in un Paese dove divorziare è
illegale, muore, e la produzione ne è ritenuta responsabile).
Un tema esplorato più a
fondo in questo arco è stato quello della necessità di prestare attenzione ai
bambini, la missione a cui il protagonista si è sempre dedicato con uno spirito di
vocazione monacale (in proposito c’è perfino un incontro con il Dalai Lama in
2.10), la necessità di connessione, un avvicinamento umano diverso da quello potenzialmente tossico dei social media, qualcuno con cui parlare e qualcuno
che stia ad ascoltare – e studia un giocattolo che abbia proprio questa
funzione.
Si insiste anche sul
potere taumaturgico della fantasia: “la realtà è la malattia, la fantasia è la
pillola”. Il padre Sebastian comincia ad avere problemi di contatto con la
realtà, dovuti a un attacco di cuore e senilità, e lui ed altri come lui vengono aiutati in una
apposita clinica proprio nutrendo le loro fantasie, con l’ausilio di attori. Le
fantasie personali sono importanti e le fantasie collettive sono un vero patrimonio.
La sorella di Jeff Deidre, che è la creatrice dei molti pupazzi, divorzia dal
marito che le sottrae i diritti alle sue creazioni, ora svendute per scopi per
cui non erano state pesate. È una ferita personale, ma è una ferita
per tutti.
Questa stagione di Kidding è sembrata più caotica della
precedente, meno asciutta, perché ha affrontato forse fin troppe realtà
insieme. Ha mantenuto però il polso saldo sulla sua etica di fondo, sulla
malinconia che la contraddistingue e sul rifiuto di posizioni ciniche. Diversamente
dalla scorsa volta, poi, ha terminato su una nota positiva, di speranza di una
riappacificazione fra Jeff e Jil. Forse non ci sarà mai, ma si è rubato
quell’attimo fuggente di speranza fino ad una eventuale prossima stagione.
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