venerdì 29 maggio 2020

L'AMICA GENIALE - seconda stagione: intelligenza e cultura



È egregia su tutta la linea la trasposizione della quadrilogia de “L’Amica Geniale” di Elena Ferrante da parte di Saverio Costanzo per HBO, Rai Fiction e TIMvision. L’ho letta interamente e mi è piaciuta molto, e mi sta convincendo altrettanto nella sua incarnazione televisiva.

Non ho scritto sulla prima stagione, lo faccio sulla seconda, “Storia del nuovo cognome” (su Raiplay la si trova qui), ma non per parlarne in senso ampio. Preferisco concentrarmi su un aspetto specifico che era presente anche prima, ma che, con le protagoniste ora più grandi, si è focalizzato ora in modo più specifico. Si tratta di uno degli aspetti che ho apprezzato di più anche sulla pagina scritta e qui vedo trascritto altrettanto efficacemente. Non si cade in quello che è un errore fin troppo comune (Modern Family docet) di confondere e far equivalere intelligenza e cultura.

Chi ha letto i romanzi e visto la serie sa bene che la storia si concentra sulle vite e l’amicizia dall’infanzia alla vecchiaia di due donne, Raffaella/Lila ed Elena/Lenù – in questa tranche interpretate rispettivamente da Gaia Girace e  Margherita Mazzucco. Il titolo “L’amica geniale” non è chiaro a chi delle due faccia riferimento: alla brillante e talentuosa Lila, a cui non è permesso di continuare a studiare e rimane culturalmente rozza, o alla diligente e preparata Lenù, meno appariscente ma sgobbona, che finisce per ricevere una borsa di studio per frequentare la Normale di Pisa e prosegue con successo gli studi? L’ambiguità è ovviamente voluta e probabilmente il titolo fa riferimento a entrambe.

Le due si ammirano a vicenda e si spingono e proteggono a vicenda nella propria formazione, e si invidiano anche: Lenù vede in Lila quell’acume naturale che lei ritiene di non avere, Lila vede in Elena qualcuno che ha saputo affinare il proprio intelletto attraverso lo studio, qualcosa che lei agognava a fare e in cui è stata ostacolata. Cerca di rimediare come può leggendo il più possibile, ma non è sufficiente. La narrazione non cade nell’illusione o nel pregiudizio che essere dotati ed essere colti siano la stessa cosa, ma riflette in modo forte su come la cultura, e il confronto fra menti che studiano, sia importante nel raggiungere la pienezza intellettuale. Se non viene stimolata, se non viene coltivata, l’intelligenza viene sprecata.

“Eri destinata a grandi cose” dice a Lila con rammarico la maestra Oliviero (2.07), che dalle elementari ha cercato di stimolare e proteggere il futuro delle due sue migliori allieve; “Si è proprio persa, Lila. Che peccato” commenta Nino Sarratore (Francesco Serpico), dopo che lei se ne va infastidita per una conversazione dalla quale ritiene di non aver appreso niente da loro che studiano. Lila si sente inadeguata di fronte  a quelli che sono più istruiti di lei, vede che a certi concetti non arriva più nonostante i suoi sforzi di stare al passo. E Lenù pure si sente inadeguata di fronte a Lila perché riconosce una capacità di penetrare gli argomenti che nonostante la sua cultura non è altrettanto incisiva. Lei aveva ottenuto quasi quello che voleva, ma “Lila come sempre era senza quasi” (2.07) e lei si sente rimpicciolita dalle parole dell’amica. C’è rivalità fra le due, ma una rivalità che è ammirazione reciproca e reciproco desiderio di successo per l’altra che però non è piatto e amorfo, è tinto anche dall’amor proprio e dalle insicurezze personali. Viene reso in modo sopraffino.

Gli autori (uso il plurale per intendere tanto la Ferrante come fonte primaria, quando Costanzo come fonte televisiva) pongono un grande valore alla cultura, allo studio, ai libri. Lila spinge continuamente Lenù a impegnarsi e quest’ultima le presta continuamente i propri testi e le letture che la appassionano. Quando Elena riceve per la prima volta dei libri nuovi, non usati (2.03) la madre Immacolata (Anna Rita Vitolo) li annusa, quasi si commuove. 

Si indaga costantemente il ruolo dell’ambiente della formazione culturale di una persona, e su che margine ci sia per un riscatto. Un professore universitario scoraggia Elena dal tentare la carriera accademica in favore dell’insegnamento alle magistrali, per formare studenti futuri, dicendo che l’affinamento avviene in generazioni e che la natura non fa salti (2.08). Le parole vagamente sdegnose e demolitorie deludono la giovane donna. Ci si domanda, con la protagonista che si interroga sul fatto se sarà mai in grado di affrancarsi dal rione che l’ha vista crescere, che il padre una volta laureata le fa attraversare quasi in passerella per vantarsi orgoglioso, quanto di vero e quanto di pregiudizio ci sia in una posizione del genere. E  quanta intelligenza nella lungimiranza nelle maestre di quartiere e dei genitori che, pur nella loro ignoranza, hanno saputo vedere oltre e scommettere sulle capacità delle proprie figlie.  In parte c'è di fondo il perenne quesito di natura vs cultura, ma forse proprio perché non si mettono in contrapposizione, ma se ne guardano le interazioni, il ragionamento che ne esce è molto complesso.  

Nella vita di tutti i giorni, ho spesso incontrato riflessioni su questo tema, ma mai l’ho visto trattato con tanta sagacia, acume, e sottigliezza come qui. E la serie ha reso completamente giustizia al libro – ai libri, volendo. Geniale davvero.   

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