The Morning Show (Apple TV+) è una serie che ci porta dietro le quinte di un
fittizio programma di notizie mattutino, che è un incrocio, come è evidente dal
titolo, fra i molto reali Good Morning
America e The Today Show, e guardandolo
è impossibile non pensare che sia ispirato almeno in parte alle vicende che
hanno travolto il giornalista Matt Lauer, conduttore di quest’ultimo.
A fare da padrona di
casa di quello che è un amatissimo show per la fittizia UBA è Alex Levy (una
Jennifer Aniston molto convincente nel ruolo). Quando Mitch Kessler (Steve
Carell, anche lui efficacemente preso in prestito da ruoli precedentemente
comici) viene accusato di cattiva condotta sessuale e perde il lavoro venendo
epurato, si scoperchia una situazione spinosa. Fra le “prede” del conduttore c’è
anche Hannah Shoenfeld (Guru Mbatha-Raw), una talentuosa collega che ha fatto
carriera rapidamente. Le denunce di scorrettezza lasciano tutti scossi,
compresa la produttrice Mia Jordan (Karen Pittman), che in passato aveva avuto
una storia con lui. È un colpo anche per Alex, che, separata dal marito Jason
(Jack Davenport), ha sempre avuto un rapporto molto stretto, anche amicale, con
il co-conduttore. Tra l’altro viene a scoprire che intendono approfittare della
situazione per sostituirla nel suo ruolo, cosa che avevano intenzione già di
fare. Nonostante le resistenze iniziali di Charlie “Chip” Black (Mark Duplass),
il produttore esecutivo, a sostituire Mitch a fianco di Alex in trasmissione è
Bradley Jackson (una grintosa Reese Witherspoon), una reporter senza previa
esperienza di questo tipo, molto diretta e impulsiva, voluta fortemente da Cory
Ellison (Billy Crudup), un dirigente della rete che la vede come un’occasione
per svecchiare il contenitore mattutino. Questo lascia scontento Daniel Henderson
(Desean Terry) che contava di essere lui favorito ad ereditarne il ruolo. Il
metereologo Yanko Flores (Néstor Carbonell) e l’assistente alla produzione
Claire Canway (Bel Powley) hanno segretamente una storia, e alla luce dello
scandalo si interrogano sulle ripercussioni sulle loro carriere se si venisse a
scoprire.
Tanti sono i temi che
emergono nelle puntate: come gestire l’immagine di un programma e rilanciarlo
dopo un momento di crisi; le concezioni sul ruolo del giornalismo e della
televisione; le dinamiche all’interno di un network e le politiche aziendali in
merito alla condotta dei propri impiegati; la cultura condivisa; l’apparenza
versus la realtà; i sacrifici individuali; i rapporti personali dai confini non
sempre così ben definiti; le connessioni umane che si creano nei luoghi di
lavoro; il ruolo nel non detto nelle relazioni; l’inesperienza e la
professionalità; il potere; la percezione sociale e l’opinione pubblica;
l’equilibrio fra vita professionale e casalinga; la deontologia e l’etica; il
silenzio e la condivisione; lo spazio delle donne nella realtà contemporanea;
le modalità di costruzione delle narrative degli eventi; il peso degli aspetti
economici e finanziari nelle scelte di ciascuno… Non c’è dubbio alcuno però su
quale sia la tematica centrale sotto i riflettori: le molestie sessuali sul
luogo di lavoro e il movimento #metoo.
Non sempre si ha
l’impressione di trovarsi davanti a una serie rivelatoria e potente, con una
scrittura nitida e graffiante, eppure in molti momenti lo è e quello che la fa
comunque emergere, e fa capire che è meno ingenua di quanto non potrebbe
sembrare a uno sguardo superficiale, è che semplicemente gli autori si
rifiutano di semplificare la questione. La si seziona tenendo conto di tutti.
C’è una condanna netta verso i comportamenti predatori, siano consapevoli o
meno, perché sono distruttivi: la season finale (senza fare spoiler) rivela
quanto possano esserlo. Si dice chiaramente che anche lì dove c’è
apparentemente consenso, il fatto che una persona si trovi in una posizione di
potere nei confronti di un’altra (per età, per esperienza, per fama, per ruolo)
il consenso può essere viziato. Si mostra e si dice come le molestie si
riflettano sull’immagine di sé, sul proprio lavoro, sulla propria vita, di come
ci si possa sentire violati, spaventati, inermi, usati, di come si possa
trovare difficoltoso dire no e difendersi, di come nel parlare si possa temere
di venire definiti da quell’evento…
Questo non significa che
le posizioni personali siano solo bianche o nere, ma in molte gradazioni di
grigio. C’è spazio per la collega che vedeva un clima insalubre ma lo attribuiva
al fatto che è sempre stato un mondo al maschile; c’è spazio per il pubblico
che rimane deluso e non vuole credere alla colpevolezza del proprio beniamino; per
l’affetto della collega che condanna il comportamento, ma vuole comunque bene
alla persona; per gli egoistici interessi personali che fanno agire in un modo
che a posteriori si rimpiange; nel clima culturale esistente c’è spazio per
riconoscere, anche se non si condona, che qualcuno non si possa essere reso
conto di abusare del proprio ruolo, credendosi corretto, ingenuamente magari ma
in buona fede; per chi vuole veramente una relazione sul lavoro, ma ne teme le
conseguenze e le invasioni di privacy; c’è perfino spazio per chi quegli abusi
li ha subiti e apparentemente ne ha avuto dei benefici secondari… in tutto
questo non si giustificano una cultura e quegli atteggiamenti che permettono
abusi, ma si guarda all’umanità delle interazioni. C’è molto su cui riflettere
in questa creazione di Jay Carson. Nelle sfumature, nelle sbavature dei margini,
il programma dimostra la propria grandezza.
In modo tangenziale,
osservo anche un altro dato, una curiosità, più che altro. Ho visto la season
finale, originariamente trasmessa poco prima di Natale 2019, nel marzo 2020, in
piena crisi coronavirus. Quello che non ho potuto non notare, e che
probabilmente mi sarebbe passato indifferente se avessi guardato l’ultima
puntata in un altro momento, è che quando le protagoniste interrompono la
regolare messa in onda per prendere la parola, la notizia che stavano
trasmettendo riguardava la quarantena di una nave per un misterioso virus. Alle
loro spalle si leggeva proprio a caratteri cubitali la scritta “quarantena”. Ha
fatto uno strano effetto, anche proprio in prospettiva della rilevanza che si
può o può non dare a un’informazione in uno specifico momento. La produzione della seconda stagione della
serie è stata peraltro interrotta causa COVID-19.
Per me è stata una sorpresa. Perché mi aspettavo qualcosa di qualitativamente buono ovviamente visti i nomi chiamati in causa, ma non mi aspettavo uno show così complesso (nel senso buono del termine), così intenso e così sfaccettato. Molto equilibrato nel raccontare tutte le varie parti in causa e, anche se concentrato principalmente sul #metoo, comunque teso anche al racconto del mondo del giornalismo e dello spettacolo in generale. Davvero bellissimo.
RispondiEliminaConcordo. Sicuramente continuerò a seguirlo.
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