Se descrivo Mrs America (sull’americana Hulu) come
il corso di storia, di scienze politiche, di femminismo, di attivismo e di
narrativa biografica che ritengo che sia, lo faccio sembrare un polpettone
lagnoso e quello, al contrario, non ritengo lo sia: è una sagace, appassionante
battaglia per i diritti delle donne, e con una prospettiva inaspettata che dà
peso e rilievo anche a chi quella lotta l’ha combattuta e persa. Si rimane con
il fiato sospeso, anche se si sa già come va a finire. E i parallelismi con la
contemporaneità rendono tutto ancora più pregnante. Quali di quelle
conversazioni sono conversazioni che facciamo tutt’ora? La reazione alla
finzione della narrativa possiamo anche intenderla come un potenziale test di
Rorschach sulla propria posizione rispetto alle questioni trattate.
Siamo negli USA, negli
anni ’70 (si procede cronologicamente a partire dal ’71). I grandi nomi della
seconda ondata femminista – Gloria Steinem (Rose Byrne, Damages), Betty Friedan (Tracey Ullman, The Tracey Ullman Show), Bella Abzug
(Margo Martindale, The Americans, The Good Wife), Shirley Chisholm (Uzo
Aduba, Orange is the New Black), Jill
Ruckelshaus (Elizabeth Banks) – si stanno battendo per far ratificare da tutti
gli Stati americani, perché sia considerato costituzionale, l’ERA, ovvero l’Equal
Rights Emendment, l’emendamento sulla parità dei diritti, approvato da entrambi
i rami del Congresso in modo bipartisan e perfino sostenuto dal presidente
repubblicano, ma osteggiato da chi sente minacciata la famiglia americana
tradizionale, capitanato dalla reazionaria Phyllis Schlafly (Cate Balchet) che
ha fondato l’Eagle Forum, un gruppo conservatore, sostenuta a denti stretti dal
marito Fred (John Slattery, che dopo Homefront
e Mad Men si sta facendo tutte le
decadi) e contornata da altre donne che ne condividono i principi, come Alice
Maccray (Sara Paulson, American Horror
Story) e Rosemary Thomson (Melanie Lynskey).
Le puntate si aprono con
il disclaimer che si tratta di eventi realmente accaduti, ma con un margine di
invenzione, se non altro rispetto alle conversazioni a porte chiuse. La
creazione di Dahvi Waller è particolarmente interessate nel taglio proprio
perché, pur dedicando ogni puntata a una icona del movimento per i diritti delle donne, per terminare poi con una visione corale, sceglie di guardare
molto a chi si è battuto intensamente contro, mostrando intanto anche le
ragioni, non sempre retrograde e ottuse, di queste persone: casalinghe con poca
esperienza fuori dall’ambiente domestico si sentivano minacciate e in fondo
giudicate come poco importanti da parte di donne agguerrite che cercavano un
proprio ruolo fuori dalle mura domestiche, ridicolizzate per essere orgogliose
del loro ruolo di casalinghe, quando altrettanto legittima doveva essere
giudicata la loro aspirazione di realizzarsi come madri e mogli. Si mostrano
attivamente le donne come ultimo baluardo del patriarcato: hanno paura di
perdere l’amore e la protezione dell’uomo e si fa vedere come siano state sfruttate
le loro paure, ritraendole con un misto di ingenuità e di finto perbenismo
(condiscendenza? Non mi pare), ma illustrando come nella concretezza quello che
facevano non era lavoro casalingo, ma in tutto e per tutto quello che facevano
le femministe a loro opposte: il contenuto era in senso inverso, ma il tipo di
impegno era lo stesso.
Bella Abzug lo dice chiaro
e tondo a tre di loro (fa cui Alice e Rosemary). Parlando di Phylis Schlafly,
la dichiara come una femminista a tutti gli effetti, anzi come forse la donna
“più liberata” d’America. Vogliono stare a casa con i propri figli, non essere
donne che lavorano, dichiarano. E lei le incalza con una serie di domande su
quello che dicono di aver imparato da lei, conoscendo bene la risposta: vi ha
insegnato come fare lobbismo sui legislatori? Vi ha insegnato come stendere un
comunicato stampa? Come rispondere alle domande dei giornalisti, come
procurarsi le interviste televisive? Come preparare e far quadrare un bilancio?
Ovviamente sì. Per cui può solo commentare: “Congratulazioni, siete donne che
lavorano” (1.07).
Il femminismo non è
evidentemente una cosa unica, e l’autrice riesce a mostrare questo aspetto, e a
far emergere questioni cruciali trasversali (aborto, lavoro), ma anche ben a
mostrare esigenze variegate (le nere, le lesbiche), come si sia cercato il
compromesso e come nella negoziazione certi interessi, tutti riconosciuti
importanti e validi nella ricerca di giustizia e uguaglianza, alcuni siano
stati sacrificati o abbiano rischiato di esserlo a favore di altri per paura di
perdere tutto. Ci sono molti punti di vista, e la serie cerca di mantenerli. Era
un movimento magari caotico, ma idealmente inclusivo, se non consapevolmente
ancora intersezionale, e con molti obiettivi. Di contrasto gli oppositori ne
avevo uno e uno solo: fermare le femministe.
C’è chi si è risentito
di una visione forse troppo generosa nei confronti della Schlafly, che sarebbe
stata dipinta come un’antieroina. In realtà l’autrice non le fa sconti. Non ci
si fa scrupoli nel ritrarla come una persona che sì è una brillante
organizzatrice, ma è una donna assetata di potere, manipolatrice e ipocrita –
che non riconosce che, se riesce a portare avanti la battaglia che le sta a
cuore è anche perché ha l’aiuto della cognata Eleanor: Jeanne Tripplehorn (Big Love) ha saputo molto
espressivamente mostrare l’amarezza e la delusione di sentirsi disprezzata e ignorata
pubblicamente, alla prova dei fatti, quando privatamente le si faceva credere
il contrario. Si allude più volte all’uso strumentale da parte della Schlafly
di estremismi e fanatismi (l’appoggio del Klu Klux Klan, ad esempio), delle
fake news e della volontaria distorsione delle informazioni a proprio
vantaggio. Il rancore, il risentimento e la rabbia schiumavano cristalline nella
recitazione di una fulgida Cate Blanchett, e non sono passate nemmeno
inosservate per Alice, che la Paulson ha reso un personaggio molto acuto,
rendendo più che credibile il suo cambiamento di posizione, pur nel non
rinnegare il proprio percorso. Insieme a quella della Martingale, queste sono
state le interpretazioni più riuscite, in un cast in cui scegliere la migliore
è veramente volersi fare del male.
La Waller (si ascolti
l’intervista per TV Top 5: qui)
riconosce che il punto di vista privilegiato della Schlafly è stato scelto per
riconoscerne l’appeal nella consapevolezza che ad ogni rivoluzione fa da
contrappeso una controrivoluzione per cui è necessario capirla per sapersene
difendere, per evitare di essere compiacenti. C’è sempre il rischio di tornare indietro rispetto ai
progressi fatti.
Molta della riflessione
si concentra proprio sulle dinamiche di potere, sulle strategie politiche e
comunicative, sulle modalità per vincere - ad esempio si dice che le persone a
cui si presta attenzione sono quelle che vincono, quindi può essere rilevante a
chi viene riservata attenzione; si riflette sull’importanza della presenza
fisica, sul potere dell’impatto emozionale… - , sulla retorica, sui concetti
che fanno parte del DNA culturale di un’epoca e non necessariamente sono sempre
esplicitati, ma sono comunque “nell’aria”. È un testo denso proprio
perché si fa carico delle filosofie che lo animano.
La palette di colori usati
richiama quelle dell’epoca, e alla mente affiorano programmi come Good
Girls Revolt (che tratta tematiche affini) o Swingtown (che tratta tematiche differenti, ma è ambientato nella stessa
epoca – nel caso si legga un mio saggio in proposito qui). La
sigla, che meriterebbe un pezzo a sé, usa come musica “A Fifth of Beethoven” di
Walter Murphy, un pezzo strumentale disco-funk che adattava il primo movimento
della quinta sinfonia di Beethoven, uscito in origine nel 1976. So per certo
che questa stessa musica è stata usata in passato (forse proprio negli anni ’70)
da un altro telefilm, ma nonostante mi sia scervellata non poco per cercare di
ricordarlo o recuperare quale fosse ne sono uscita a mani vuote. Anzi, se
qualcuno lo ricorda e me lo segnala mi fa un piacere.
Mrs America è stata concepita come una miniserie, ma non si
esclude un approccio antologico, con nuove stagioni. Da parte mia sarebbero
benvenute.
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