venerdì 13 novembre 2020

NORMAL PEOPLE: ut pictura poësis

 

Mi sento di dire “ut pictura poësis”, citando Quinto Orazio Flacco, quando si tratta di Normal People - Persone Normali (BBC3 e Hulu): come nella pittura, così nella poesia e viceversa, o nel nostro caso, come nel romanzo così nella miniserie. L’autrice Sally Rooney, che ha adattato il proprio libro per la televisione insieme ad Alice Birch e Mark O’Rowe ha dichiarato: “La storia e i personaggi sono rimasti intatti, ma il nostro modo di drammatizzare il loro rapporto è cambiato, e abbiamo dovuto prendere decisioni su come cambiarlo. Non per incasinare gli aspetti fondamentali del libro, ma per preservarli. Se cerchiamo di attenerci troppo al libro, ci ritroviamo con qualcosa che non preserva l'essenza della storia” (cfr. l’intervista su THR). Ho letto il libro, e purtroppo lo ricordo poco nonostante sia stata una delle mie letture preferite nel 2019 (è uscito nel 2018), ma la serie me ne ha fatto appassionare di nuovo e l’ho amata altrettanto, trovandola fedele nell’essenza al ricordo che ne avevo. Slate segnala le differenze fra la versione cartacea e quella video: non molte.  

La complessa relazione fra Marianne (Daisy Edgar-Jones) e Connell (Paul Mescal) è al centro di tutto. Si conosco al liceo nella contea di Slingo, in Irlanda: lei vive con la madre Denise (Aislín McGuckin), anaffettiva e fredda, e il fratello Alan (Frank Blake), invidioso e abusante, alienata dai compagni di scuola che la esludono e bullizzano e che lei tratta con sufficienza;  lui, laconico e dolce,  abita con la madre single, Lorraine (Srah Greene) che fa le pulizie nella ricca casa di lei; in seguito continuano a frequentarsi all’università Trinity College di Dublino, dove entrambi eccellono negli studi e hanno le proprie cerchie. Hanno una relazione, inizialmente segreta, a intermittenza. Il loro è un rapporto di sesso, di amore, di amicizia, di intimità, di affinità intellettuali, di conversazioni, di incomprensioni, di reciproco saziarsi l’uno dell’altra e completarsi e di comprendesi in profondità contemporaneamente nell’incapacità talvolta di farlo nel modo più basico ed elementare. Due anime diversamente tormentate, specie quella di lei che si sente perennemente non amata, non voluta e inadeguata, con impulsi masochistici, ma anche quella di lui, che non riesce a dimostrare quello che prova o che pensa e si nasconde perché si vergogna dell’opinione che gli altri hanno di lei pur non condividendola. Entrambi sono molto vulnerabili al di là dell’apparenza coriacea.

La resa televisiva è stata superlativa, nella messa in scena, nella sceneggiatura, nella recitazione spettacolosa da parte di tutti, riservata e coinvolta insieme, nei silenzi e nelle conversazioni anche apparentemente casuali, misurate, nel detto come nel non detto, nelle romantiche, spinte ma appropriatissime scene di sesso – raramente ho visto sullo schermo rapporti sessuali che sapessero così bene esprimere come al di là del piacere siano in grado di costruire un rapporto, dove l’intimità non è dovuta alla nudità frontale, ripetutamente mostrata, o nell’agio di abbandonarsi l’uno all’altra, ma è proprio sul piano fisico l’espressione del reciproco bisogno e appagamento e l’incarnazione del rapporto spirituale. E non sono certo la prima a lodare il modo in cui hanno reso integrante e naturale il loro modo di confermarsi il consenso reciproco. Sul set hanno anche utilizzato una “coordinatrice di intimità”, Ita O’Brien, che  nel suo lavoro si fa guidare da tre principi, “comunicazione aperta e trasparenza, accordo e consenso nel tatto e coreografia chiara” (Los Angeles Times) e lei stessa dichiara come “quelle scene descrivono la delicatezza, la bellezza, l'apertura” del rapporto. La stessa Rooney ha paragonato le scene di sesso a un’altra forma di dialogo. (The Guardian)

Due altri aspetti emergono in modo mirabile: l’evoluzione della loro storia e conoscenza, con il maturare anche in semplici termini di età, e le difficoltà comunicative che possono portare a rovinosi fraintendimenti anche fra persone che apparentemente tengono molto l’uno all’altra e che sono intelligenti e colte e hanno presumibilmente la capacità di esprimersi. Quello che per uno è auto evidente, per l’altro non lo è affatto.  

Il tono melanconico, quieto ed elegante della regia – di Lenny Abrahamson (Room) nella prima parte, di Hettie MacDonald nella seconda ha reso tutto alla perfezione, compresa la gestione fra i momenti privati e quelli pubblici, fra la loro storia d’amore e il loro vivere pubblico, e nei loro momenti separati.

Lirico. Sublime. Assolutamente impeccabile. In 12 episodi, per me è il programma migliore dell’anno.

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