Mi sento di dire “ut
pictura poësis”, citando Quinto Orazio Flacco, quando si tratta di Normal People - Persone Normali (BBC3 e Hulu):
come nella pittura, così nella poesia e viceversa, o nel nostro caso, come nel
romanzo così nella miniserie. L’autrice Sally Rooney, che ha adattato il
proprio libro
per la televisione insieme ad Alice Birch e Mark O’Rowe ha dichiarato: “La
storia e i personaggi sono rimasti intatti, ma il nostro modo di drammatizzare
il loro rapporto è cambiato, e abbiamo dovuto prendere decisioni su come
cambiarlo. Non per incasinare gli aspetti fondamentali del libro, ma per
preservarli. Se cerchiamo di attenerci troppo al libro, ci ritroviamo con qualcosa
che non preserva l'essenza della storia” (cfr. l’intervista
su THR). Ho letto il libro, e
purtroppo lo ricordo poco nonostante sia stata una delle mie letture preferite
nel 2019 (è uscito nel 2018), ma la serie me ne ha fatto appassionare di nuovo
e l’ho amata altrettanto, trovandola fedele nell’essenza al ricordo che ne
avevo. Slate
segnala le differenze fra la versione cartacea e quella video: non molte.
La complessa relazione
fra Marianne (Daisy Edgar-Jones) e Connell (Paul Mescal) è al centro di tutto.
Si conosco al liceo nella contea di Slingo, in Irlanda: lei vive con la madre Denise
(Aislín McGuckin), anaffettiva e fredda, e il fratello Alan (Frank
Blake), invidioso e abusante, alienata dai compagni di scuola che la esludono e
bullizzano e che lei tratta con sufficienza; lui, laconico e dolce, abita con la madre single, Lorraine (Srah
Greene) che fa le pulizie nella ricca casa di lei; in seguito continuano a
frequentarsi all’università Trinity College di Dublino, dove entrambi eccellono
negli studi e hanno le proprie cerchie. Hanno una relazione, inizialmente
segreta, a intermittenza. Il loro è un rapporto di sesso,
di amore, di amicizia, di intimità, di affinità intellettuali, di
conversazioni, di incomprensioni, di reciproco saziarsi l’uno dell’altra e
completarsi e di comprendesi in profondità contemporaneamente nell’incapacità talvolta di farlo nel modo più
basico ed elementare. Due anime diversamente tormentate, specie quella di lei
che si sente perennemente non amata, non voluta e inadeguata, con impulsi
masochistici, ma anche quella di lui, che non riesce a dimostrare quello che
prova o che pensa e si nasconde perché si vergogna dell’opinione che gli altri
hanno di lei pur non condividendola. Entrambi sono molto vulnerabili al di là
dell’apparenza coriacea.
La resa televisiva è
stata superlativa, nella messa in scena, nella sceneggiatura, nella recitazione
spettacolosa da parte di tutti, riservata e coinvolta insieme, nei silenzi e
nelle conversazioni anche apparentemente casuali, misurate, nel detto come nel
non detto, nelle romantiche, spinte ma appropriatissime scene di sesso –
raramente ho visto sullo schermo rapporti sessuali che sapessero così bene
esprimere come al di là del piacere siano in grado di costruire un rapporto,
dove l’intimità non è dovuta alla nudità frontale, ripetutamente mostrata, o
nell’agio di abbandonarsi l’uno all’altra, ma è proprio sul piano fisico
l’espressione del reciproco bisogno e appagamento e l’incarnazione del rapporto
spirituale. E non sono certo la prima a lodare il modo in cui hanno reso
integrante e naturale il loro modo di confermarsi il consenso reciproco. Sul
set hanno anche utilizzato una “coordinatrice di intimità”, Ita O’Brien,
che nel suo lavoro si fa guidare da tre
principi, “comunicazione aperta e trasparenza, accordo e consenso nel tatto e
coreografia chiara” (Los
Angeles Times) e lei stessa dichiara come “quelle scene descrivono la
delicatezza, la bellezza, l'apertura” del rapporto. La stessa Rooney ha
paragonato le scene di sesso a un’altra forma di dialogo. (The
Guardian)
Due altri aspetti
emergono in modo mirabile: l’evoluzione della loro storia e conoscenza, con il
maturare anche in semplici termini di età, e le difficoltà comunicative che
possono portare a rovinosi fraintendimenti anche fra persone che apparentemente tengono molto l’uno all’altra e che sono intelligenti e colte e hanno
presumibilmente la capacità di esprimersi. Quello che per uno è auto evidente,
per l’altro non lo è affatto.
Il tono melanconico,
quieto ed elegante della regia – di Lenny Abrahamson (Room) nella prima parte, di Hettie MacDonald nella seconda – ha reso tutto alla
perfezione, compresa la gestione fra i momenti privati e quelli pubblici, fra la loro storia
d’amore e il loro vivere pubblico, e nei loro momenti separati.
Lirico. Sublime. Assolutamente impeccabile. In 12 episodi, per me è il programma migliore dell’anno.
Lo aggiungo ai preferiti su Raiplay, grazie !
RispondiEliminaGrazie a te, spero non ti deluda.
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