Anche più che nella prima,
ha continuato a essere godibilissima la seconda stagione di Evil (che dalla CBS si è spostata
alla Paramount+) dove, attraverso l’espediente di un procedurale in cui il trio
di protagonisti deve indagare sulla validità di presunte possessioni demoniache,
eventi sovrannaturali vari e affini, esamina questioni pesanti come la natura
del male, il libero arbitrio, psicologia e spiritualità, traumi e paure, fede e
ragione…E per certi versi sarà anche considerata una sorta di X-Files più moderna e religiosa, ma vede
i protagonisti molto personalmente compromessi, e immersi in modo personale tanto
quanto i personaggi della settimana il cui caso devono investigare. Nella seconda
stagione in particolare emergono i loro demoni più oscuri.
David Acosta (Mike Colter,
Luke Cage), che è prossimo all’ordinazione sacerdotale della season finale (2.13),
è tormentato da visioni che cerca di decifrare. E a pungolarlo è anche il demoniaco
Leland Townsend (Michael Emerson, Person
of Interest, Lost). Tutte le
interpretazioni sono molto convincenti, ma come sempre Emerson è sinistramente
magnetico, creepy, minacciosamente
umoristico anche: qualunque scena con lui è must-see,
non si riesce a smettere di guardarlo. Schernisce, irride, pungola, stuzzica, e
si infiltra nella vita dei personaggi: un vero incubo. Lo scettico Ben (Aasif Mandvi, The Daily Show), che non crede ma è stato
comunque cresciuto in una famiglia dove la madre era una devota musulmana, deve
fare i conti con quella eredità spirituale, pur rigettandola, e permette alla
serie di espandere il suo sguardo al di là della chiesa cattolica, che qui è il
loro “datore di lavoro”. Perfino il vescovo Marx (Peter Scolari, recentemente
scomparso) è stato al centro di un episodio in cui sono venuti a galla i suoi
fin troppo umani peccati.
Chi in quest’arco è stata
più messa sotto pressione è stata la psicologa Kristen Bouchard (una
spettacolosa e versatile Katja Herbers, Westworld).
Si lamenta il fatto che mentre agli uomini ormai è stato permesso di avere dei
forti antieroi (The Sopranos e The Shield sono i primi due programmi
che di primo acchito mi saltano alla mente), per le donne non è stato finora
altrettanto facile. Ho apprezzato intellettualmente, ma sono stata anche
moralmente in difficoltà ad accettare una “eroina” che ha ucciso in modo
premeditato l’uomo che minacciava le sue figlie. La stagione si apre proprio a
ridosso di quell’atto. Aveva tutte le giustificazioni possibili, ma è diventata
un’assassina, tormentata lei stessa da quanto ha fatto. Non un terreno facile
su cui tenerla. Si rivolge al suo psicoterapeuta, il dottor Bogg (Kurt Fuller).
E attraverso sogni e visioni e altri espedienti il rimorso di lei e la paura
sono venuti a galla, fino al crollo (2.13). Il suo comportamento è cambiato, è
diventato aggressivo e violento in alcune occasioni, ed è stato notato. La
scomodità della sua posizione è stata tanto più rilevante in quanto lei stessa
lo condanna razionalmente e non vuole che diventi l’insegnamento che lascia
alle sue quattro figlie. La serie rimane ambigua, e questa è parte della sua
forza.
Ogni puntata si apre con
un “caso della settimana” che viene annunciato da un libro pop-up di cose
terrificanti che ha il titolo dell’episodio. Ha dialoghi intelligenti e storie
che vengono direttamente dai titoli dei giornali, così come i King, che qui
sono ideatori e produttori esecutivi, ci hanno abituato in The Good Wife e The Good
Fight. Non condivido che abbia un livello di caos pari a The Leftovers, per quanto senza essere
pretenzioso, come ha twittato
Emily Nussbaum, ma sottoscrivo il fatto che continui a sorprendere per la sua
capacità di miscelare gonzo e filosofico. A volte si vorrebbe che quest’ultimo
aspetto fosse maggiormente approfondito. La linea di fondo sembra essere, a
dispetto di tutto lo scetticismo, che c’è una guerra in corso fra bene e male,
una guerra spirituale che diventa tanto più fisica quanto ci sia avvicina alla
sua realtà, verità, essenza.
E i personaggi che
incarnano varie prospettive sono sempre messi in crisi essi stessi.
Un tema caro già nella
prima stagione è stato quello della misoginia. Questo giro torna ad esempio in
“S sta per Silenzio” (2.07), quando si recano in un convento dove i monaci
hanno fatto voto di silenzio e dove lavora una giovane suora al loro servizio, che
stringe un’istantanea gioiosa amicizia con Kristen. La disparità e la
segregazione fra uomini e donne così come il trattar male delle donne non viene
accettata perché quello è il loro modo di fare, ma viene sottolineata in più
passaggi. E l’introduzione dell’apparentemente mite Sorella Andrea (Andrea
Martin), particolarmente ostile, dà un ulteriore rinforzo femminile alla serie.
La storyline orizzontale di sottofondo, già ripresa dalla precedente stagione, che vede la squadra credere che i demoni abbiano il controllo di una clinica della fertilità e corrompano spiritualmente gli ovuli delle donne in attesa, ancora deve trovare una risoluzione, e il coinvolgimento sempre maggiore della madre di Kristen, Sheryl (Christine Lahti), offre molto materiale per una prossima attesa terza stagione.
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